LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETITTI Stefano – Presidente –
Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –
Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –
Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –
Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 15516-2016 proposto da:
B.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 22, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO FUSILLO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrenti –
contro
CONSIGLIO NOTARILE LATINA, elettivamente domiciliato in ROMA, V.LE PARIOLI 44, presso lo studio dell’avvocato PAOLO MAZZOLI, che lo rappresenta e difende;
– controricorrenti –
e contro
PUBBLICO MINISTERO PROCURATORE GENERALE CORTE APPELLO ROMA;
– intimati –
avverso l’ordinanza n. 9862/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 16/12/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 04/04/2019 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SGROI Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato Mazzoli Paolo, difensore del resistente che ha chiesto il rigetto del ricorso.
I FATTI DI CAUSA La Corte d’appello di Roma, con ordinanza depositata il 16 dicembre 2015, respinse il ricorso proposto dal notaio B.E. avverso la decisione della Commissione Amministrativa Regionale di Disciplina per il Lazio dell’11 luglio 2014, con la quale, per quel che qui residua d’utilità, era stata negata l’applicazione dell’attenuante di cui all’art. 144, comma 1, legge notarile.
Avverso la predetta statuizione l’interessato propone ricorso per cassazione, corredato da due motivi di censura, ulteriormente illustrati da memoria.
Il Consiglio Notarile Distrettuale di Latina resiste con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- Il ricorrente con i due motivi, fra loro osmotici, lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 144, comma 1, legge notarile, L. 18 dicembre 1997, n. 463, art. 3 ter, e art. 24 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per due distinte e convergenti ragioni.
a) Il professionista, al quale erano state addebitate inadempienze fiscali, per avere provveduto ad autoliquidazioni insufficienti e tardive afferenti a una pluralità di atti stipulati, in corso di causa aveva provveduto a riparare il danno prodotto, corrispondendo quanto portato da una sessantina di avvisi di pagamento notificatigli dall’Amministrazione finanziaria, eccezion fatta per due casi, per i quali la pretesa, da reputarsi ingiusta, era stata contestata dal notaio davanti al giudice tributario.
La Corte locale aveva valutato non ricorrere l’ipotesi del ravvedimento premiato dall’attenuante specifica, rimproverando al professionista lentezza e incompletezza dell’adempimento, in quanto, appunto, non aveva corrisposto il supplemento d’imposta preteso dal Fisco a riguardo di due atti costitutivi di trust; oltre ad essere incorso in un nuovo illecito, avendo omesso, in epoca successiva al ricevimento dell’avviso d’incolpazione, di tempestivamente versare all’Agenzia delle entrate la somma di Euro 830,00.
A parere del ricorrente, individuata la condotta premiale nell’essersi il notaio adoperato, dopo la commissione dell’infrazione, ad eliminare le conseguenze dannose o a riparare interamente il danno, l’applicazione dell’attenuante andava riconosciuta obbligatoriamente, “a prescindere da ogni circostanza di carattere fattuale che ne può rappresentare il contesto in cui opera e senza dunque che all’Organo giudicante sia conferita discrezionalità alcuna”.
b) La decisione era erronea per aver affermato che il notaio, in presenza di pretesa tributaria ingiusta, e perciò fatta oggetto d’impugnazione davanti al giudice tributario, fosse comunque tenuto ad effettuare il versamento, sia pure con animo di rivalsa. Ancor più che all’udienza dell’11 luglio 2014 il B. aveva esibito due libretti di deposito bancari per l’importo preteso dal Fisco, con l’intento che rimanesse vincolato a titolo cauzionale, dichiarati irricevibili dalla Co. Re. Di.
2. Il ricorso deve essere rigettato a cagione dell’infondatezza del primo profilo di doglianza, che rende inutile (assorbimento improprio) il vaglio del secondo.
2.1. La condivisibile statuizione di questa Corte (Sez. 2, n. 3203/2014) invocata dal ricorrente non appare risolvere a favore del notaio la questione che qui in concreto si pone. Con quella pronuncia, infatti, si è affermato che, in astratto, “la doverosità dell’atto ritardato non è ragione per escludere che il successivo compimento di esso, siccome ad ogni modo dovuto, rilevi in funzione attenuante”; indi impegnandosi la sentenza richiamata a porre la distinzione fra “conseguenze dannose”, per eliminare le quali il notaio si sia impegnato, e riparazione del danno (solo quest’ultimo da intendersi in senso patrimoniale).
Nel caso che ci occupa, per contro, è in concreto che il professionista è apparso immeritevole del beneficio, avendo protratto la condotta illecita, con sistematica persistenza per lungo tempo (circa tre anni), mostrando di avere piena consapevolezza dell’illiceità e addirittura, in un caso, reiterando il comportamento pur dopo aver ricevuto l’atto d’incolpazione (cfr., in ispecie pag. 4 e segg. dell’ordinanza) Di conseguenza, la scelta del Giudice del merito non si pone in contrasto con il principio enunciato dalla sentenza n. 3203 cit., non escludendo che possa riconoscersi l’attenuante nei casi in cui, con ritardo, il notaio faccia luogo all’adempimento dovuto, avendo, ben diversamente, negato che il B. fosse meritevole del beneficio, tenuto conto della complessiva condotta tenuta.
Ferma la insindacabilità del giudizio di gravità dei comportamenti addebitati al professionista, avuto riguardo ad una pluralità d’incidenze sfavorevoli (lesione del patto fiduciario col cliente; slealtà nei confronti del Fisco; disdoro professionale; assenza di situazioni contingenti ed eccezionali; ecc.), la Corte locale ha fatto corretta applicazione del principio di diritto in altre occasioni assimilabili enunciato da questa Corte (Sez. 2, n. 8033/2015), la quale ha precisato che “l’attenuante invocata non è compatibile con la rilevata sistematicità delle infrazioni, che denota un atteggiamento connotato da particolare negligenza ovvero incapacità di attenersi alle norme”.
Difatti, la sanzione disciplinare è posta a presidio non già dell’ordinamento generale o di quello tributario, bensì a garanzia del prestigio della funzione e dei clienti, la quale viene irrimediabilmente frustrata da una condotta reiterativa messa in atto per un tempo, se non istantaneo, perlomeno breve. Di talchè il tardivo adempimento, che in casi di violazioni isolate, o, comunque, non sistematiche, può rilevare “in funzione attenuante”, nel caso in esame è stato correttamente giudicato inidoneo a giustificare l’applicazione dell’invocata attenuante.
A ben vedere e in disparte, qui, oltre alla “riparazione del danno” (il pagamento delle imposte evase ed accessori di legge), emerge un profilo di “conseguenze dannose” non patrimoniali, sia nei confronti dei clienti, che della categoria professionale di appartenenza, piuttosto evidente, tenuto conto della sistematicità e gravità delle condotte, preordinate ad attingere dolosamente alla liquidità messa a disposizione dai clienti, per far luogo agli assolvimenti fiscali, al fine di ridurre indebitamente l’esposizione debitoria del professionista verso banche, a riguardo delle quali non costa che il notaio si sia adoperato fattivamente.
3. Le spese legali debbono seguire la soccombenza e possono liquidarsi siccome in dispositivo, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonchè delle attività espletate.
4. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), ricorrono i presupposti per il raddoppio del versamento del contributo unificato da parte del ricorrente, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore del controinteressato, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge, per ciascuno dei gruppi di ricorrenti facenti capo ai due separati controricorsi.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13:
Così deciso in Roma, il 4 aprile 2019.
Depositato in Cancelleria il 25 settembre 2019