LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOCATELLI Giuseppe – Presidente –
Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –
Dott. FRACANZANI Marcello – Consigliere –
Dott. FRAULINI Paolo – Consigliere –
Dott. PANDOLFI Catello – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24759/2013 R.G. proposto da:
F.M., rappresentato e difeso dall’Avv. Antonio Contessa, elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. Livia Ranuzzi, in Roma, Viale del Vignola n. 5, in virtù di procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrente principale –
contro
Agenzia delle entrate, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliata, in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12;
– controricorrente-ricorrente incidentale –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio, n. 181/2/2012, depositata il 9 ottobre 2012.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 30 maggio 2019 dal Consigliere Luigi D’Orazio.
RILEVATO
CHE:
1.L’Agenzia delle entrate, a seguito di invio di questionario, accertava, per quel che ancora qui rileva, un maggior reddito di F.M., odontoiatra, per l’anno 2005, aumentandolo da Euro 13.173,00 (quindi Euro 7.154,00 al netto delle deduzioni di imposta) ad Euro 121.171,00. In particolare, l’Agenzia teneva conto dei rilevanti costi per quell’anno (Euro 53.250,00), dell’acquisto di n. 3.000 bicchieri con fattura del 28-2-2005 e dell’acquisto di n. 1000 aspirasaliva in data 30-4-2005. Calcolava in n. 1.500 gli aspirasaliva utilizzati nel 2005, in quanto, poichè la fattura era del 30-4-2005, restavano otto mesi per l’utilizzo fino a dicembre, quindi 125 aspirasaliva al mese (1000:8), moltiplicando poi 125 per 12 mesi, per n. 1.500 aspirasaliva, con riduzione del 25 % in quanto per ogni prestazione erano necessarie più sedute, quindi si calcolavano 979 prestazioni, con sottrazione delle prestazioni già fatturate pari a 195. I compensi non dichiarati ammontavano ad Euro 106.900,00.
2.La Commissione tributaria provinciale accoglieva il ricorso, mentre la Commissione tributaria regionale accoglieva solo in parte l’appello proposto dalla Agenzia delle entrate, evidenziando la legittimità dell’accertamento effettuato ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, che però “di solito taluni interventi in odontoiatria non si risolvevano in una sola giornata, ma in più sedute”, e che non era lecito presumere l’utilizzo “unitario di tale elemento” (aspirasaliva) a fronte di ogni prestazione, sicchè le prestazioni non fatturate dovevano essere ridotte nella misura del 50 %, con compensi non fatturati pari ad Euro 53.450,00.
3.Avverso tale sentenza propone ricorso il contribuente, che deposita anche memoria scritta.
4.Propone ricorso anche l’Agenzia delle entrate, che resiste con controricorso avverso il ricorso principale del contribuente.
CONSIDERATO
CHE:
1.Anzitutto, si rileva che il ricorso proposto dal contribuente, notificato per primo, va qualificato come ricorso principale, mentre il ricorso dell’Agenzia, notificato successivamente, deve essere qualificato come ricorso incidentale. Invero, costituisce principio consolidato quello per cui il principio dell’unicità del processo di impugnazione contro una stessa sentenza comporta che, una volta avvenuta la notificazione della prima impugnazione, tutte le altre debbono essere proposte in via incidentale nello stesso processo e perciò, nel caso di ricorso per cassazione, con l’atto contenente il controricorso; tuttavia quest’ultima modalità non può considerarsi essenziale, per cui ogni ricorso successivo al primo si converte, indipendentemente dalla forma assunta e ancorchè proposto con atto a sè stante, in ricorso incidentale, la cui ammissibilità è condizionata al rispetto del termine di quaranta giorni (venti più venti) risultante dal combinato disposto degli artt. 370 e 371 c.p.c., indipendentemente dai termini (l’abbreviato e l’annuale) di impugnazione in astratto operativi (Cass., 20 marzo 2015, n. 5695; Cass., 4 dicembre 2014, n. 25662).
1.1. Con il primo motivo di impugnazione principale il contribuente deduce “omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 (testo vigente sino al 12 agosto 2012 applicabile alla presente controversia ai sensi del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 3 bis, convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134)”, in quanto il giudice di appello non ha in alcun modo spiegato il percorso logico seguito per ridurre le prestazioni ed i compensi nella misura pari al 50 %, mentre avrebbe dovuto confermare la sentenza di prime cure che aveva annullato del tutto l’accertamento, senza aggiungere alcuna ulteriore prestazione alle n. 195 annue dichiarate.
2.Con il secondo motivo di impugnazione il ricorrente si duole della “insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 (testo vigente sino al 12 agosto 2012 applicabile alla presente controversia ai sensi del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 3 bis, convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134)”, in quanto il giudice di appello si è limitato ad affermare per ridurre le prestazioni del 50 % “in considerazione di quanto precede nonchè del procedimento seguito dall’Ufficio nell’atto di rettifica”, senza spiegare la ragione di tale riduzione.
2.1. Tali motivi, che vanno esaminati congiuntamente per ragioni di connessione, sono inammissibili.
Invero, poichè la sentenza è stata pubblicata il 9-10-2012, il ricorrente avrebbe dovuto censurare il vizio di motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come modificato dal D.L. n. 83 del 2012, quindi solo per omesso esame di un fatto decisivo e controverso tra le parti.
Nè vi è stata omessa motivazione, in quanto il giudice di appello, seppure in modo sintetico, ha chiarito che alcune prestazioni odontoiatriche richiedono più sedute lavorative e, quindi, l’utilizzo di più aspirasaliva ed ha ridotto le prestazioni da 979 a n. 490, quindi nella misura del 50%, non incorrendo quindi nel vizio di omessa motivazione, perchè indebitamente ridotta al di sotto del minimum costituzionale di cui all’art. 111 Cost., comma 6.
Il giudice di appello ha, infatti, tenuto conto della circostanza che “di solito taluni interventi in odontoiatria non si risolvono in una giornata, ma in più sedute”, che “per il materiale di consumo sono stati presi a riferimento gli aspira saliva, acquistati per il n. 1000 con la fattura n. 21158 del 2005” e che “anche in questo caso è lecito presumere l’utilizzo unitario di tale elemento a fronte di ogni prestazione”, sicchè “in considerazione di quanto precede nonchè del procedimento seguito dall’Ufficio nell’atto di rettifica”, sono state ridotte le prestazioni nella misura del 50 %.
Invero, a seguito della riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (Cass., sez. 3, 12 ottobre 2017, n. 23940; Cass., sez. 6-3, 25 settembre 2018, n. 22598; Cass., 20 giugno 2018, n. 16247).
3.Con il terzo motivo di impugnazione il ricorrente deduce “violazione e falsa applicazione di legge, ed in particolare del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, nonchè degli artt. 2697 e 2727 c.c. e art. 2729 c.c., comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”, in quanto la Commissione regionale non ha applicato correttamente i principi dell’onere della prova e le regole presuntive, in assenza di presunzioni caratterizzate da gravità, precisione e concordanza, con onere della prova a carico dell’Ufficio. In particolare il numero di aspirasaliva, da solo non è sufficiente a dare la dimostrazione di maggiori prestazioni odontoiatriche effettuate. Solo dopo che l’Amministrazione ha fornito la prova, anche presuntiva, della sussistenza di un maggiore reddito, il contribuente ha l’onere della prova contraria.
3.1.Tale motivo è infondato.
Invero, per questa Corte, in tema di presunzioni semplici, gli elementi assunti a fonte di prova non debbono essere necessariamente più d’uno, ben potendo il giudice fondare il proprio convincimento su uno solo di essi, purchè grave e preciso, dovendo il requisito della “concordanza” ritenersi menzionato dalla legge solo in previsione di un eventuale, ma non necessario, concorso di più elementi presuntivi (Cass., sez. 1, 26 settembre 2018, n. 23153).
Più specificamente si è ritenuto, in tema di prova civile conseguente ad accertamento tributario, che gli elementi assunti a fonte di presunzione non debbono essere necessariamente plurimi – benchè l’art. 2729 c.c., comma 1, il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, comma 4, e il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54, si esprimano al plurale – potendosi il convincimento del giudice fondare anche su un elemento unico, preciso e grave, la valutazione della cui rilevanza, peraltro, nell’ambito del processo logico applicato in concreto, non è sindacabile in sede di legittimità ove sorretta da motivazione adeguata e logicamente non contraddittoria (Cass., sez. 5, 656/2014).
Inoltre, per questa Corte, ai fini della ricostruzione del reddito, l’Ufficio può procedere ad accertamento di tipo analitico-induttivo, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, con la verifica del consumo dei guanti monouso utilizzati dal contribuente per la sua attività di odontoiatra, dal momento che esiste una correlazione tra il materiale di consumo utilizzato e gli interventi sui pazienti (Cass., 28 novembre 2018, n. 30782; Cass., 5 giugno 2008, n. 14879). Si è, infatti, evidenziato che esiste una correlazione tra il materiale di consumo utilizzato e gli interventi sui pazienti, sicchè tale elemento costituisce un dato utilizzabile per l’accertamento. Per questa ragione è del tutto plausibile che l’odontoiatra utilizzi un aspira saliva per ogni singola seduta, mentre ogni prestazione può essere svolta anche in più sedute con l’utilizzo di più asciuga saliva.
Nè la valorizzazione di elementi di consumo monouso può essere inibita al giudice da eventuali circolari delle Agenzia delle entrate che non costituiscono fonte normativa (Cass., 30782/2018 cit.).
Il consumo unitario di prodotti monouso, oppure il numero di essi, rappresenta un fatto noto capace, anche di per sè solo, di lasciare ragionevolmente presumere, quindi del tutto legittimamente (senza che intervenga la mediazione di alcuna presunzione di secondo grado o di terzo grado, come lamentato dal ricorrente) il numero delle prestazioni effettivamente eseguite dal professionista, così da ricostruirne i ricavi in sede di accertamento analitico-induttivo di tali poste.
Peraltro, è legittimo il recupero a tassazione di ricavi, a carico di un dentista, ricostruiti induttivamente, ove la cessione o l’impiego in prestazioni d’opera di beni possa desumersi dalla esistenza di documentazione di acquisto (Cass., 3777/2013), dovendosi considerare peraltro che non occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale; è, infatti, sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo un criterio di normalità, cioè che il rapporto di dipendenza logica tra il fatto noto e quello ignoto sia accertato alla stregua di canoni di probabilità, con riferimento ad una connessione possibile e verosimile di accadimenti, la cui sequenza e ricorrenza possano verificarsi secondo regole di esperienza (Cass., sez. 5, 3777/2013; Cass., sez. 1, 1 agosto 2007, n. 16993).
4.Con il ricorso incidentale l’Agenzia delle entrate deduce “insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, in quanto la motivazione presenta una contraddizione, perchè, da un lato, considera corretto il procedimento di accertamento compiuto dalla Agenzia delle entrate, che aveva ridotto del 25 il numero delle prestazioni calcolate, proprio tenendo conto della circostanza che ogni prestazioni poteva richiedere più sedute e quindi l’utilizzo di più asciugasaliva (da n. 1305 prestazioni a n. 979, dopo la decurtazione del 25 %), e dall’altro, ha ridotto in modo forfettario le prestazioni del 50 0/0. Inoltre, il giudice di appello non ha tenuto conto del numero di bicchieri acquistati dal professionista nel 2005 (3.000), nè della circostanza che il contribuente non ha esibito la distinta delle rimanenze iniziali e finali dei materiali di consumo. La Commissione regionale, quindi, non ha illustrato le ragioni che l’hanno indotta ad applicare una più alta percentuale di riduzione, pari al 50 in luogo del 25% applicato dall’Ufficio.
4.1. Il motivo è inammissibile.
Invero, l’Agenzia ha censurato la motivazione per insufficiente e contraddittoria motivazione, mentre avrebbe dovuto utilizzare il motivo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come modificato dal D.L. n. 83 del 2012, applicabile alle sentenze di secondo grado pubblicate a decorrere dall’11-9-2012.
5.Le spese del giudizio di legittimità vanno compensate interamente tra le parti stante la reciproca soccombenza.
6.Risultando soccombente anche l’Agenzia delle entrate, parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica ad essa il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale proposto dal contribuente; dichiara inammissibile il ricorso incidentale della Agenzia delle entrate.
Compensa interamente tra le parti le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 30 maggio 2019.
Depositato in Cancelleria il 25 settembre 2019