Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.23963 del 25/09/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

Dott. CAPOZZI Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13332-2018 proposto da:

A.S., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MARIA MESSA;

– ricorrente –

E contro

AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE 13756881002, in persona del Presidente pro tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERIATE DELLO STATO, che li rappresenta e difende, ope legis;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 4409/15/2017 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di MILANO, depositata il 02/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 14/05/2019 dal Consigliere Relatore Dott. RAFFAELE CAPOZZI.

RILEVATO

Che:

A.S. propone ricorso per cassazione avverso una sentenza della CTR della Lombardia, di rigetto dell’appello da lui proposto contro una decisione della CTP di Milano, che aveva a sua volta respinto il suo ricorso avverso un estratto ruolo, riferito ad una cartella di pagamento IRPEF ed IVA 1998.

CONSIDERATO

Che:

il ricorso del contribuente è affidato a tre motivi;

che, con il primo motivo, lamenta violazione e falsa applicazione delle norme in materia di prescrizione e di notifica, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3., in quanto EQUITALIA non avrebbe prodotto la relata di notifica della cartella di pagamento sottesa all’estratto di ruolo impugnato, in quanto sull’avviso di ricevimento non era stata specificata la qualifica di chi aveva ritirato il plico e la firma ivi apposta non era leggibile, si da non consentire l’identificazione dell’autore della firma;

che, con il secondo motivo, viene dedotto omesso esame circa più fatti decisivi per il giudizio, i quali avevano formato oggetto di discussione fra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto sull’argomento della legittimità dell’impugnazione dell’estratto di ruolo la CTR non aveva speso alcuna parola, respingendo il suo ricorso senza fornire alcuna motivazione;

che, con il terzo motivo, viene dedotto omesso esame su di un punto decisivo ed essenziale della controversia, concernente l’eccezione di prescrizione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto i giudici di merito non si erano pronunciati in ordine all’eccezione di prescrizione da lui formulata in ordine ai crediti erariali vantati da controparte; invero dal 18 aprile 2003, data della supposta notifica della cartella di pagamento, cui si riferiva l’estratto conto da lui impugnato, erano trascorsi più di cinque anni, con conseguente maturarsi nei suoi confronti del termine prescrizionale quinquennale previsto dalla legge per i crediti tributari fatti valere nei suoi confronti;

che sia l’Agenzia delle entrate, sia l’Agenzia delle entrate riscossione, sia il Ministero dell’economia e delle finanze si sono costituiti con controricorso;

che va preliminarmente dichiarata l’inammissibilità del ricorso proposto nei confronti del Ministero dell’economia e delle finanze, per non avere esso neppure preso parte ai precedenti gradi di merito del giudizio e per essere il medesimo comunque carente di legittimazione passiva, atteso che, con decorrenza 1 gennaio 2001, data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 300 del 1999, istitutivo delle Agenzie fiscali, la legittimazione passiva in materia di controversie relative a tributi erariali spetta unicamente all’Agenzia delle entrate (cfr., in termini, Cass. n. 9457 del 2018);

che il primo motivo di ricorso è inammissibile, atteso che, con esso, è stato contestato con violazione di legge un vero e proprio accertamento di fatto, avendo la sentenza impugnata accertato, con motivazione incensurabile nella presente sede di legittimità, sia la ritualità della notifica della cartella di pagamento, effettuata a mezzo posta dall’Agente della riscossione con raccomandata con avviso di ricevimento, sia la regolarità dell’avviso di ricevimento, prodotto in copia dall’Agente della riscossione, si che non è dato al ricorrente ritornare nuovamente sull’argomento nel presente fase di legittimità;

che anche il secondo motivo di ricorso è inammissibile, atteso che la CTR ha confermato quanto ritenuto dalla CTP di Milano in ordine alla questione relativa all’impugnabilità degli estratti di ruolo, facendo corretta applicazione dei principi elaborati da questa Corte di legittimità (cfr. Cass. SS. UU. n. 19074 del 2015), secondo i quali l’impugnazione di un estratto di ruolo è ammissibile solo per far constare la mancata notifica della o delle cartelle di pagamento comprese in detto estratto ruolo, si che, una volta accertato, come nel caso in esame, l’avvenuta regolare notifica della cartella indicata nell’estratto ruolo impugnato, nessuna ulteriore censura è dato formulare in ordine all’estratto di ruolo;

che, pertanto, il motivo di ricorso in esame contravviene al principio, al quale questo collegio aderisce, secondo il quale nell’ipotesi di doppia conforme, prevista dall’art. 348 ter c.p.c., comma 5, il ricorrente in Cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto di secondo grado, dimostrando che esse siano fra di loro diverse; il che il ricorrente non ha fatto (cfr. Cass. n. 26774 del 2016; Cass. n. 26860 del 2014) che il terzo motivo di ricorso è infondato al limite dell’inammissibilità, atteso che, contrariamente a quanto sostenuto dal contribuente, la sentenza impugnata ha implicitamente respinto l’eccezione di prescrizione dei crediti erariali portati dall’unica cartella compresa nell’estratto conto impugnato;

che, comunque, alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo, come costituzionalizzato nell’art. 111 Cost., comma 2 e di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 c.p.c., ispirato a detti principi, quand’anche si volesse ritenere che la CTR ha omesso di pronunciarsi su detto motivo di appello, la Corte di Cassazione può omettere la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito, qualora la questione di diritto posta con il suddetto motivo risulti infondata, si che la pronuncia da rendere verrebbe a confermare il dispositivo della sentenza di secondo grado, in tal modo determinandosi l’inutilità di un ritorno della causa nella fase di merito, sempre che si tratti di questione che non richieda ulteriori accertamenti di fatto (cfr. Cass. n. 16171 del 2017);

che, nella specie, non può invero ritenersi prescritta la pretesa erariale, contenuta nella cartella di pagamento anzidetta, in quanto la notifica di tale ultima cartella è stata indicata come avvenuta il 2 maggio 2006 e quindi entro 10 anni dalla data in cui è stato acquisito l’estratto di ruolo impugnato (29 aprile 2013); ed il termine precrizionale dei tributi erariali, quali IRPEF ed IVA, tributi ai quali si riferiva la cartella anzidetta, è decennale, ai sensi dell’art. 2946 c.c. (cfr., ex multis, Cass. n. 16713 del 2016);

che, pertanto, il ricorso del contribuente va respinto, con sua condanna al pagamento delle spese di giudizio, quantificate come in dispositivo;

che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del medesimo art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso proposto contro il Ministero dell’economia e delle finanze; dichiara inammissibili il primo ed il secondo motivo di ricorso proposto contro l’Agenzia delle entrate; rigetta per infondatezza il terzo motivo di ricorso proposto contro l’Agenzia delle entrate e condanna il contribuente al pagamento delle spese di giudizio nella misura di Euro 2.000,00, oltre alle spese generali nella misura forfettaria del 15% ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del medesimo art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 14 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 settembre 2019

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