LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PERRINO Angelina Maria – Presidente –
Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –
Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –
Dott. TRISCARI Giancarlo – rel. Consigliere –
Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24818 del ruolo generale dell’anno 2011 proposto da:
G & P Porte s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, per procura a margine del ricorso, dall’Avv. Giuseppe Falcone, elettivamente domiciliata in Roma, Corso Vittorio Emanuele II, n. 287, presso lo studio dell’Avv. Antonio Iorio;
– ricorrente –
contro
Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici ha domicilio in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12;
– controricorrente –
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Calabria n. 249/08/10,, depositata il giorno 19 luglio 2010;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 11 aprile 2018 dal Consigliere Dott. Triscari Giancarlo;
RILEVATO
che:
la sentenza impugnata ha esposto, in punto di fatto, che: la società contribuente aveva impugnato dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Cosenza l’avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle entrate aveva richiesto il pagamento di maggiori imposte IRPEG, IRAP e IVA a seguito della redazione di un processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza da cui risultava accertato, sulla base della documentazione extracontabile, che la contribuente aveva effettuato acquisti e vendite senza fatture per un ammontare di Euro 86.195,96; la società contribuente aveva proposto ricorso, assumendo che l’atto impugnato era privo di motivazione e emesso in violazione di legge; la Commissione tributaria provinciale, nel contraddittorio con l’Agenzia delle entrate, aveva accolto il ricorso; l’Agenzia delle entrate aveva proposto appello, cui aveva resistito la contribuente; la Commissione tributaria regionale della Calabria ha accolto l’appello, riformando la decisione del giudice di primo grado, avendo ritenuto che l’avviso di accertamento era adeguatamente motivato e legittimo, che la società contribuente aveva avuto piena conoscenza delle ragioni fondanti la pretesa impositiva e che dalla documentazione extracontabile prodotta, senza peraltro che la contribuente fornisse prova contraria, risultava chiaramente l’acquisto delle merci senza fatturazione;
la società G & P Porte s.r.l ricorre con quattro motivi per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Calabria in epigrafe;
si è costituita l’Agenzia delle entrate con controricorso.
CONSIDERATO
che:
con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 53, degli artt. 342 e 329 c.p.c., dell’art. 111 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), e nullità della sentenza, per non avere rilevato d’ufficio o accolto l’eccezione di inammissibilità o improponibilità dell’appello per mancanza degli specifici motivi di censura alla pronuncia di primo grado;
in particolare, secondo parte ricorrente, rispetto alla statuizione del giudice di primo grado, che aveva accolto il motivo di ricorso introduttivo, relativo al difetto di motivazione della pretesa impositiva in quanto non erano stati allegati all’atto di accertamento nè prodotti in giudizio i documenti extracontabili acquisiti presso la società Nusco Porte s.p.a., l’atto di appello dell’Agenzia delle entrate non conterrebbe specifici motivi di censura e, peraltro, vi sarebbe stata una “acquiescenza” alla decisione, essendo stati prodotti solo in appello i documenti extracontabili sulla cui mancata allegazione e produzione la sentenza di primo grado aveva fondato la decisione;
pertanto, dalle suddette considerazioni, parte ricorrente fa discendere un vizio della sentenza della CTR, in quanto la stessa avrebbe dovuto rilevare d’ufficio o accogliere l’eccezione di inammissibilità dell’appello per mancanza di specificità;
il motivo è infondato;
questa Corte (Cass. civ., 10 maggio 2019, n. 12485; Cass. civ., 15 gennaio 2019, n. 707; Cass. civ., 24 agosto 2017, n. 20379) ha più volte precisato che la mancanza o l’assoluta incertezza dei motivi specifici dell’impugnazione, le quali, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, determinano l’inammissibilità del ricorso in appello, non sono ravvisabili qualora il gravame contenga una motivazione interpretabile in modo inequivoco, potendo gli elementi di specificità dei motivi essere ricavati, anche per implicito, dall’intero atto di impugnazione considerato nel suo complesso, comprese le premesse in fatto, la parte espositiva e le conclusioni, ciò in quanto nel processo tributario la sanzione di inammissibilità dell’appello, per difetto di specificità dei motivi, deve essere interpretata restrittivamente, in conformità all’art. 14 preleggi, trattandosi di disposizione eccezionale che limita l’accesso alla giustizia, dovendosi consentire, ogni qual volta nell’atto sia comunque espressa la volontà di contestare la decisione di primo grado, l’effettività del sindacato sul merito dell’impugnazione;
i passaggi del motivo di appello dell’Agenzia delle entrate, riprodotti nel ricorso (pag. 5), mostrano chiaramente che la ragione di impugnazione era stata rivolta avverso la statuizione del giudice di primo grado che aveva ritenuto che l’atto di accertamento non era motivato, e, sotto tale profilo, era stato evidenziato che, ai fini della valutazione della sufficienza della motivazione dell’atto impositivo, era idoneo l’utilizzo della motivazione per relationem, quindi il rinvio a quanto risultante dal processo verbale di constatazione;
è proprio in considerazione del suddetto motivo di impugnazione che il giudice del gravame ha, quindi, ritenuto che l’atto di accertamento era motivato, avendo avuto la contribuente piena conoscenza delle ragioni della pretesa proprio tenuto conto di quanto contenuto nel processo verbale di constatazione, alla stessa regolarmente notificato;
vi è, quindi, una specifica correlazione tra la statuizione del giudice di primo grado, relativo al vizio di motivazione della pretesa impositiva, ed il motivo di appello proposto, con il quale si è particolarmente fatto riferimento alla sufficienza della motivazione per relationem, e proprio tale ragione è stata assunta dal giudice del gravame a fondamento della decisione;
nè può ragionarsi, come invece argomenta la ricorrente, di condivisione del contenuto della pronuncia del giudice di primo grado per avere prodotto solo in appello i documenti extracontabili acquisiti presso la società Nusco Porte s.p.a.;
va, infatti, distinto il piano relativo alla sufficienza della motivazione della pretesa impositiva da quello dell’assolvimento dell’onere della prova in giudizio;
con riferimento al primo profilo, che opera sul piano formale ed è improntato all’esigenza di tutela del diritto di difesa del contribuente, il giudice del gravame ha espresso il proprio convincimento in ordine alla sufficienza motivazionale dell’avviso di accertamento;
con riferimento al secondo profilo, che opera, invece, sul diverso piano processuale, D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 23 e 32, consentono espressamente all’amministrazione finanziaria, in sede di impugnazione giudiziale dell’atto impositivo, di produrre gli elementi di prova di cui intende valersi al fine di sostenere la fondatezza della propria pretesa impositiva;
la successiva produzione documentale, dunque, è da valutarsi nell’ambito del suddetto secondo profilo, che attiene, come detto, alla prova della pretesa impositiva e che opera su di un piano diverso, sebbene strettamente connesso e consequenziale, a quello della sufficienza motivazionale dell’atto, sicchè non può essere valutata nella diversa prospettiva della ricorrente di adesione alla statuizione del giudice di primo grado in ordine al difetto di motivazione;
con il secondo motivo si censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 c.p.c., e per violazione delle regole del giusto processo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per non avere pronunciato sulla richiesta di inammissibilità dell’appello per mancanza di specificità dei motivi di censura e sulla richiesta di inammissibilità della prova documentale prodotta in secondo grado in violazione del divieto di nuove prove in appello;
va osservato, in primo luogo, che, con riferimento alla questione della inammissibilità dell’appello per mancanza di specificità dei motivi di censura, parte ricorrente ripropone la ragione di contestazione già prospettata in sede di primo motivo di ricorso ma, questa volta, puntualizzando H diverso profilo dell’omessa pronuncia su di una eccezione prospettata;
inoltre, il profilo dell’omessa pronuncia è ulteriormente affrontato in relazione alla diversa eccezione, dalla stessa formulata, di inammissibilità della prova documentale prodotta dalla controparte solo in grado di appello;
in particolare, la ricorrente evidenzia che la pronuncia di primo grado aveva accolto il ricorso ritenendo che l’atto impugnato era insufficientemente motivato, non essendo stati allegati all’avviso di accertamento i documenti extracontabili acquisiti presso terzi e non avendo l’Ufficio finanziario prodotto in giudizio tali documenti;
evidenzia, altresì, che con l’atto di appello, l’Agenzia delle entrate non aveva formulato alcuna censura sulla statuizione in esame, anzi, producendo in grado di appello i documenti extracontabili non prodotti in primo grado, ne aveva riconosciuto implicitamente la fondatezza, ed a tal proposito, trascrive parte dei motivi di appello da cui si evincerebbe l’assenza di censura specifica sulla sentenza del giudice di primo;
precisa, inoltre, di avere espressamente proposto eccezione di inammissibilità dell’appello per mancanza di specifiche censure nei confronti della sentenza di primo grado, per violazione del diritto di difesa in relazione alla produzione documentale eseguita per la prima volta solo in appello e per violazione della regola del divieto di nuove prove in appello, non avendo l’Agenzia delle entrate data alcuna giustificazione della mancata produzione della documentazione nel giudizio di primo grado;
proprio in considerazione delle suddette circostanze, la ricorrente lamenta che il giudice di appello ha del tutto omesso di pronunciare sulla segnalata inammissibilità dell’atto di appello nonchè sulle eccezioni proposte e sopra indicate, sicchè, sotto tale profilo, la pronuncia dovrebbe essere dichiarata viziata di nullità;
ciò precisato, il motivo è infondato;
va osservato che lo stesso denuncia l’omessa pronuncia del giudice di appello su questioni processuali e non di merito e sul punto è costante l’orientamento di questa Suprema Corte (Cass. civ. n. 321 del 2016), secondo cui “Il mancato esame da parte del giudice di una questione puramente processuale (…) non è suscettibile di dar luogo al vizio di omissione di pronuncia, il quale si configura esclusivamente nel caso di mancato esame di domande od eccezioni di merito, ma può configurare un vizio della decisione per violazione di norme diverse dall’art. 112 c.p.c. se, ed in quanto, si riveli erronea e censurabile, oltre che utilmente censurata, la soluzione implicitamente data dal giudice alla problematica prospettata dalla parte”;
con riferimento, quindi, alla questione dell’omessa pronuncia sulla eccezione di inammissibilità dell’appello per mancanza di specificità dei motivi, si è già detto, in sede di esame del primo motivo di ricorso, che il giudice di appello ha ritenuto che l’atto impositivo era sufficientemente motivato, implicitamente superando l’eccezione di inammissibilità proposta, sul punto, dalla ricorrente;
si è peraltro osservato, sempre in sede di esame del primo motivo, che la soluzione implicitamente data dal giudice del gravame alla questione in esame non contrasta con le previsioni normative di riferimento;
con riferimento, poi, alla diversa questione della omessa pronuncia sulla richiesta di dichiarazione di inammissibilità della prova documentale, prodotta solo in secondo grado dall’Agenzia delle entrate, va osservato che il giudice di appello, sebbene non abbia espressamente pronunciato su di essa, ha, comunque, dato rilievo alla circostanza che proprio dalla suddetta documentazione extracontabile si evinceva indiscutibilmente che la contribuente aveva acquistato merce senza fatturazione, implicitamente ritenendo non costituente un limite processuale il fatto che la suddetta produzione era avvenuta solo in sede di giudizio di appello;
tale implicita soluzione, peraltro, è in linea con l’orientamento di questa Suprema Corte, secondo cui, con riferimento al processo tributario “In materia di produzione documentale in grado di appello nel processo tributario, alla luce del principio di specialità espresso dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, comma 2, – in forza del quale, nel rapporto fra norma processuale civile ordinaria e norma processuale tributaria, prevale quest’ultima – non trova applicazione la preclusione di cui all’art. 345 c.p.c., comma 3, (nel testo introdotto dalla L. 18 giugno 2009, n. 69), essendo la materia regolata dal citato D.Lgs., art. 58, comma 2 che consente alle parti di produrre liberamente i documenti anche in sede di gravame, sebbene preesistenti al giudizio svoltosi in primo grado” (Cass. n. 18907/11, 3661/15, orca. 22776/15, 655/14, 20109/12, 25449/17, Sez. L., n. 1518/16 e Corte Cost. 199/17);
il giudice di appello, inoltre, ha ritenuto che la circostanza che la contribuente aveva avuto piena conoscenza delle ragioni della pretesa fiscale e, inoltre, che il verbale di accertamento, regolarmente notificato, era esaustivo circa l’individuazione dei presupposti per fare valere la pretesa, rendevano l’atto di accertamento pienamente legittimo e motivato;
le due circostante sopra indicate, costituiscono passaggi motivazionali che comportano una valutazione implicita di rigetto della doglianza, meramente processuale, proposta dalla parte;
con il terzo motivo si censura la sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione di legge (L. n. 212 del 2000, art. 7; D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42), per avere il giudice di appello consentito la produzione di documenti extracontabili che avrebbero dovuto essere allegati all’atto di accertamento;
con il quarto motivo si censura la sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione e falsa applicazione di legge (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 59, art. 345 c.p.c., L. n. 212 del 2000, art. 7; D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, art. 111 Cost.) per avere il giudice di appello ammesso ed utilizzato, in presenza di una decadenza derivante dalla mancata allegazione di documenti all’avviso di accertamento ed in contrasto con il divieto di nuove prove in appello, documenti la cui produzione non era più consentita;
entrambi i motivi sono infondati;
va in primo luogo osservato che le censure in esame si fondano sulla ritenuta non idoneità dell’atto di accertamento a rendere il destinatario consapevole delle ragioni della pretesa, ma la parte, nel prospettare la ragione di doglianza per violazione di legge o per nullità della sentenza, non ha contestato che le operazioni commerciali non contabilizzate tra la contribuente e l’altra società partecipe dell’operazione fraudolenta non erano state riportate anche nel processo verbale di contestazione che il giudice di appello afferma, in sede di ricostruzione in fatto, essere stato regolarmente notificato alla società;
la circostanza, quindi, della mancata allegazione all’avviso di accertamento dei documenti extracontabili acquisiti presso terzi non assume rilievo, ai fini della valutazione della fondatezza del presente motivo di censura, ove la stessa non deduca, indicandolo espressamente, che delle risultanze dei documenti contabili non era stata data indicazione nel p.v.c., notificato alla parte, ovvero nel medesimo avviso di accertamento;
sul punto, si precisa che, secondo l’orientamento di questa Suprema Corte, (Cass. civ. Sez. V, 6 marzo 2018, n. 5183) “La mancata allegazione all’atto di accertamento di un altro atto al quale si fa riferimento nella motivazione non comporta nullità se l’atto richiamato è stato consegnato al contribuente e se nella motivazione ne venga riportato il contenuto essenziale”;
ne consegue il rigetto del ricorso, coni condanna della ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese di lite del presente giudizio, liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese di lite del presente giudizio, che si liquidano in complessive Euro 2.800,00, oltre spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della quinta sezione civile, il 11 aprile 2018.
Depositato in cancelleria il 26 settembre 2019