Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.24005 del 26/09/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PERRINO Angelina M. – Presidente –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Robert – rel. Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 10013/2011 R.G. proposto da:

A.A. rappresentato e difeso giusta delega in atti dall’avv. Gian Antonio Maggio del foro di Milano, con domicilio eletto in Roma, presso lo studio dell’avv. Donato Mondelli, in Corso Trieste n, 109;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio eletto in Roma, via Dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato;

– controricorrente –

Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia n. 123/19/10 depositata l’11/10/2010, non notificata;

Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del 7/6/2018 dal consigliere Roberto Succio.

RILEVATO

che:

– con la sentenza di cui sopra il giudice di seconde cure rigettava l’appello del contribuente avverso la cartella di pagamento di cui al ricorso, confermando la sentenza della CTP impugnata;

– con tal atto, si legge in sentenza, l’Erario richiedeva a seguito di iscrizione a ruolo le somme derivate con la rettifica a fini IVA delle dichiarazioni del contribuente per gli anni 1993, 1994, 1995, che erano state confermate giudizialmente, a seguito di ricorso del contribuente, dalla CTR della Lombardia con sentenza passata in giudicato;

– avverso la sentenza di seconde cure propone ricorso per cassazione il contribuente affidato a quattro motivi. L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo di ricorso si denuncia la violazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68, e della L. n. 289 del 2002, art. 16, tutti in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la CTR erroneamente ritenuto tempestiva l’iscrizione a ruolo e la conseguente emissione della cartella impugnata; il motivo è infondato;

– in forza della giurisprudenza di questa Corte (Cass. Sez. 5, sentenza n. 16730 del 09/08/2016) dal momento che la pretesa è fondata su una sentenza passata in giudicato relativa ai tre originari atti impositivi, non sono applicabili i termini di decadenza e/o prescrizione che scandiscono i tempi dell’azione amministrativa/tributaria, ma soltanto il termine di prescrizione generale previsto dall’art. 2953 c.c., perchè il titolo della pretesa tributaria cessa di essere l’atto e diventa la sentenza che, pronunciando sul rapporto, ne ha confermato la legittimità, derivandone l’inapplicabilità del termine di decadenza di cui al D.P.R. n. 60 del 1973, art. 25, che concerne la messa in esecuzione dell’atto amministrativo e presidia l’esigenza di certezza dei rapporti giuridici e l’interesse del contribuente alla predeterminazione del tempo di soggezione all’iniziativa unilaterale dell’Ufficio; del che la notificazione della cartella è tempestiva;

– con il secondo motivo si censura la sentenza di secondo grado per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68, e della L. n. 289 del 2009, art. 12, entrambi in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la CTR erroneamente ritenuto che la cartella emessa a seguito della sentenza di primo grado – e solo le pretese ivi indicate, vale a dire l’imposta temporaneamente posta in riscossione- sarebbe stata oggetto di definizione in forza della disposizione “condonistica” del 2009 sopra richiamata, ferma restando l’autonoma emissione, poi avvenuta, delle somme ulteriori dovute in corso di causa dopo il rigetto dell’appello del contribuente, sia per tributi (in parte) che per sanzioni e interessi (nella totalità); il motivo è infondato;

– quanto alla prima parte del motivo in esame, è opportuno comporre il quadro normativo di riferimento. Il D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 68, comma 3, prevedeva: “3. Le imposte suppletive e le sanzioni pecuniarie debbono essere corrisposte dopo l’ultima sentenza non impugnata o impugnabile solo con ricorso in cassazione.”. Il D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 29, in vigore dal 1/04/1998, ha abrogato (1 comma, lett. d) le parole “e le sanzioni pecuniarie”. Il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 19, nel riordinare tutte le norme in materia di sanzioni per violazioni di norme tributarie, al comma 1 dispone che: “In caso di ricorso alle commissioni tributarie si applicano le disposizioni dettate dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 68, commi 1 e 2, recante disposizioni sul processo tributario.”. La generica menzione delle commissioni tributarie, in relazione sia al precedente che all’attuale ordinamento, e l’abrogazione, col D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 37, del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 15, comma 2, che regolava la riscossione frazionata secondo il precedente sistema normativo, fanno sì che il citato art. 68, sia divenuto la regola generale in tema di riscossione frazionata nella fase relativa alla pendenza del processo tributario (Cass. 12/11/2010, n. 22997; 10/06/2011, n. 12791). Pertanto, con riferimento alla riscossione frazionata di sanzioni, a norma del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68, commi 1 e 2, nella formulazione vigente dal 1/04/1998, a seguito dell’intervento abrogativo del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 29, riguardante proprio le sanzioni pecuniarie, l’applicazione delle medesime, in caso di esecuzione frazionata, può avvenire anche antecedentemente al passaggio in giudicato della sentenza che ad esse si riferisca;

– e tale regula iuris, applicabile alla fattispecie concreta in esame, consente la riscossione (frazionata) anche delle sanzioni antecedentemente al passaggio in giudicato della sentenza che statuisca su di esse (Cass.4/12/2013, n. 27201; 11/10/2017, n. 23784; in ultimo, leggasi conforme Cass. Civile Ord. Sez. 5 Num. 32794 Anno 2018); il motivo va quindi rigettato;

– con riferimento alla seconda parte del motivo, rileva la Corte come indipendentemente dalla tempestività dell’iscrizione a ruolo, proprio in forza dell’applicazione della L. n. 289 del 2012, art. 12, invocato dal ricorrente, si è già ben chiarito che (Cass. Sez. U, Sentenza n. 3674 del 17/02/2010) come in tema di condono fiscale, la L. n. 289 del 2002, art. 12, nella parte in cui consente di definire una cartella esattoriale con il pagamento del 25% dell’importo iscritto a ruolo, comporta una rinuncia definitiva dell’Amministrazione alla riscossione di un credito già definitivamente accertato, e va pertanto disapplicato, limitatamente ai crediti per IVA, per contrasto con la VI Dir. n. 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977, alla stregua di un’interpretazione adeguatrice imposta dalla sentenza della Corte di Giustizia CE 17 luglio 2008, in causa C-132/06, con cui, in esito ad una procedura di infrazione promossa dalla Commissione Europea, è stata dichiarata l’incompatibilità con il diritto comunitario (in particolare con la citata VI Dir., artt. 2 e 22) della medesima L., artt. 8 e 9, nella parte in cui prevedono la “condonabilità” dell’IVA alle condizioni ivi indicate; dalla disapplicazione della disposizione indicata deriva quindi il rigetto del motivo di ricorso;

– il terzo motivo di ricorso censura la sentenza di secondo grado per violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e violazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 13, oltre che per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1 n. 5;

il motivo è inammissibile, poichè esso deriva dalla commistione di due motivi di ricorso, non separatamente articolati, come richiesto dalla costante giurisprudenza di questa Corte (Cass. Sez. U, Sentenza n. 9100 del 06/05/2015);

– nel quarto motivo di ricorso si eccepisce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per avere la CTR omesso di pronunciarsi in ordine all’eccezione relativa alla mancata indicazione nella cartella impugnata del nominativo del funzionario responsabile del procedimento; il motivo è inammissibile e anche infondato;

– in primo luogo, come effettivamente risulta dalla sentenza impugnata, oltre che dal ricorso, nel ricorso introduttivo del giudizio tal eccezione non risulta esser stata proposta, facendo essa ingresso nel processo come si scrive a pag. 18 del ricorso – solo nella memoria depositata in data 24.2.2008; essa quindi è tardiva;

– secondariamente, stante la risalenza del ruolo a prima del 2008, va applicata quella giurisprudenza di questa Corte secondo la quale (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 11856 del 12/05/2017) l’indicazione del responsabile del procedimento negli atti dell’Amministrazione finanziaria non è richiesta, dalla L. n. 212 del 2000, art. 7, a pena di nullità, in quanto tale sanzione è stata introdotta per le cartelle di pagamento dal D.L. n. 248 del 2007, art. 36, comma 4-ter, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 31 del 2008, applicabile soltanto alle cartelle riferite ai ruoli consegnati agli agenti della riscossione a decorrere dal 1 giugno 2008; ne deriva l’inapplicabilità al caso di specie della ridetta previsione di nullità;

– conclusivamente quindi, il ricorso deve esser rigettato; le spese sono regolate dalla soccombenza.

P.Q.M.

rigetta il ricorso; liquida le spese in Euro 3.915,00 oltre a spese prenotate a debito che pone a carico della parte soccombente.

Così deciso in Roma, il 7 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 26 settembre 2019

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