LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PERRINO Angel – Maria –
Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –
Dott. TRISCARI Giancarlo – rel. Consigliere –
Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –
Dott. FICHERA Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
Sul ricorso iscritto al n. 22480 del ruolo generale dell’anno 2011 proposto da:
P.T., rappresentata e difesa dagli Avv.ti Giovanni Porzio e Renato Mariani per procura speciale a margine del ricorso, elettivamente domiciliata in Roma, via dei Banchi Nuovi, n. 39, presso lo studio di quest’ultimo difensore;
– ricorrente –
contro
Agenzia della entrate, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici ha domicilio in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12;
– controricorrente –
e contro
Ministero dell’economia e della finanze, in persona del Ministro pro tempore;
– intimato –
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale del Piemonte, n. 46/31/10, depositata il giorno 28 giugno 2010;
udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 3 luglio 2018 dal Consigliere Giancarlo Triscari.
RILEVATO
che:
la sentenza impugnata ha esposto, in punto di fatto, che: la ricorrente aveva proposto ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Torino avverso il rifiuto dell’Amministrazione finanziaria alla propria istanza di rimborso del credito Iva, anno 2000; in particolare, la contribuente, avendo cessato la propria attività nell’anno 2000, aveva evidenziato nella dichiarazione dei redditi 2001 il proprio credito Iva che era stato chiesto a rimborso nella dichiarazione Iva e nel quadro RX DI unico; in mancanza di comunicazioni, aveva presentato richiesta di chiarimenti, cui aveva risposto l’Amministrazione finanziaria negando il diritto al rimborso in quanto l’istanza era stata presentata oltre il termine di decadenza di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, comma 2; avverso il suddetto atto di diniego aveva proposto ricorso la contribuente dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Torino che lo aveva rigettato; avverso la suddetta pronuncia aveva proposto appello la contribuente;
la Commissione tributaria regionale del Piemonte ha rigettato l’appello avendo ritenuto applicabile alla fattispecie la previsione di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, comma 2; avverso la suddetta pronuncia ha proposto ricorso dinanzi a questa Corte la contribuente affidato a due motivi di censura, cui ha resistito l’Agenzia delle entrate depositando controricorso;
la contribuente ha depositato memoria;
il Ministero dell’economia e delle finanze non ha svolto difese.
CONSIDERATO
che:
va preliminarmente dichiarata l’inammissibilità del ricorso in riferimento al Ministero dell’Economia e delle Finanze posto che, come questa Corte ha in più occasioni precisato, nei “rapporti giuridici”, “poteri” e “competenze” in materia tributari, al Ministero sono succedute ex lege (D.Lgs. n. 300 del 1999, art. 57, comma 1, con decorrenza dal 1 gennaio 2001 D.M. 28 dicembre 2000, ex art. 1) le agenzie fiscali, enti dotati di autonoma e distinta soggettività impositiva, nonchè di legittimazione sostanziale e processuale (Cass. 1550/15; 22992/10; 6591/08); con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza di appello ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30 e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2, dovendo trovare applicazione, in caso di rimborso Iva, il termine di prescrizione decennale, non anche il termine decadenziale di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21;
con il secondo motivo si censura la sentenza di appello ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per contraddittorietà della motivazione, avendo affermato che la mancata presentazione del modello VR era ininfluente ai fini della sussistenza del diritto al rimborso del credito Iva, ma, d’altro lato, ha ritenuto che nella fattispecie dovesse, comunque, trovare applicazione il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21;
i motivi, che possono essere esaminati unitamente, sono fondati;
la questione centrale da esaminare attiene alla applicabilità, nel caso di presentazione della domanda di rimborso dell’Iva per cessazione di attività, della previsione di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, comma 2 e della necessità o meno della presentazione del modello VR;
questa Corte ha espresso, sul punto, il consolidato principio secondo cui l’istanza di rimborso non integra il fatto costitutivo del diritto, ma solo il presupposto di esigibilità del credito per dare inizio al procedimento di esecuzione del rimborso stesso (cfr., ex multis, Cass. 22 febbraio 2017, n. 4559; Cass. 28 settembre 2016, n. 19115; Cass. 13 aprile 2016, n. 7223) ed ha specificato che per la domanda di rimborso dell’eccedenza d’imposta è sufficiente la manifestazione di una volontà diretta all’ottenimento del rimborso mediante la compilazione nella dichiarazione annuale del quadro “RX4”, anche se non accompagnata dalla presentazione del modello ministeriale “VR”, cui è subordinata l’esigibilità del credito (cfr. Cass. 9 ottobre 2015, n. 20255; Cass. 15 maggio 2015, n. 9941); siffatta impostazione è coerente con la giurisprudenza formatasi con riferimento alle imposte sui redditi, in base alla quale qualora il contribuente abbia evidenziato nella dichiarazione un credito d’imposta non occorre, da parte sua, al fine di ottenerne il rimborso, alcun altro adempimento, ma egli deve solo attendere che l’Amministrazione finanziaria eserciti, sui dati esposti in dichiarazione, il potere-dovere di controllo secondo la procedura di liquidazione delle imposte, prevista dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, ovvero, ricorrendone i presupposti, secondo lo strumento della rettifica della dichiarazione (cfr. Cass. 30 settembre 2011, n. 20039);
l’interpretazione seguita è, altresì, coerente con la disciplina unionale secondo cui le misure adottate dagli Stati membri per l’adempimento degli obblighi di dichiarazione e di pagamento, nonchè per assicurare l’esatta riscossione dell’imposta e per evitare frodi non possono mai porre in discussione il diritto alla detrazione dell’1.v.a. (cfr. Corte Giust. 8 maggio 2008, Ecotrade);
pertanto, l’esposizione di un credito d’imposta in dichiarazione fa sì che non occorra, da parte del contribuente, al fine di ottenere il rimborso, alcun altro adempimento, atteggiandosi quale formale esercizio del diritto e idoneo a far decorrere l’ordinario termine prescrizionale;
si è peraltro precisato (Cass. civ., 28 giugno 2018, n. 17151) che: “Il riferimento giurisprudenziale alla presentazione del modello “VR” quale “presupposto di esigibilità” deve intendersi nel senso che la stessa rappresenta un elemento fattuale, rimesso nella disponibilità del contribuente interessato, avente funzione sollecitatoria dell’attività di verifica dell’Amministrazione e idonea a dare inizio al procedimento di esecuzione del rimborso stesso”, sicchè “l’esposizione di un credito d’imposta in dichiarazione fa sì che non occorra, da parte del contribuente, al fine di ottenere il rimborso, alcun altro adempimento, atteggiandosi quale formale esercizio del diritto e idoneo a far decorrere l’ordinario termine prescrizionale”;
la pronuncia censurata non ha fatto corretta applicazione del principio di diritto sopra indicato, avendo invece ritenuto che nella fattispecie doveva trovare applicazione la previsione di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, comma 2;
ne consegue l’accoglimento del ricorso, e non essendo necessari accertamenti di fatti, la pronuncia censurata va cassata senza rinvio, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., con accoglimento del ricorso di primo grado della contribuente;
l’accoglimento del ricorso comporta la condanna alle spese di lite del presente giudizio della controricorrente, con compensazione delle spese di lite dei precedenti gradi di giudizio di merito.
P.Q.M.
La Corte:
dichiara inammissibile il ricorso proposto nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze;
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso di primo grado proposto dalla contribuente, con compensazione delle spese di lite relative ai giudizi di merito e condanna della controricorrente al pagamento delle spese di lite del presente grado di giudizio, che si liquidano in complessive Euro 1.500,00, oltre spese generali nella misura del 15%, ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della quinta sezione civile, il 3 luglio 2018.
Depositato in Cancelleria il 26 settembre 2019