LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PERRINO Angel – Maria –
Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –
Dott. TRISCARI Giancarlo – rel. Consigliere –
Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –
Dott. FICHERA Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
Sul ricorso iscritto al n. 23229 del ruolo generale dell’anno 2011 proposto da:
Immobiliare Montenero s.r.l., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’Avv. Giuseppe Fattori per procura speciale a margine del ricorso, elettivamente domiciliata in Roma, via Crecenzio, n. 19, presso lo studio dell’Avv. Lucilla Lenti;
– ricorrente –
contro
Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici ha domicilio in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12;
– controricorrente –
e nei confronti di:
Agenzia delle entrate, ufficio di Milano;
– intimata –
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, n. 79/20/10, depositata il giorno 2 luglio 2010;
udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 3 luglio 2018 dal Consigliere Giancarlo Triscari.
RILEVATO
che:
la sentenza impugnata ha esposto, in punto di fatto, che: l’Agenzia delle entrate, aveva notificato alla contribuente un avviso di accertamento con il quale aveva disconosciuto il credito Iva relativo all’anno 2002; avverso il suddetto atto impositivo aveva proposto ricorso la contribuente sostenendo che: a) la stessa aveva aderito al condono tombale di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 9, sicchè l’amministrazione finanziaria non poteva contestare il credito; b) l’avviso di accertamento era derivato da un processo verbale di constatazione ad essa non notificato e senza rispetto del termine dilatorio di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7; la Commissione tributaria provinciale aveva rigettato il ricorso; avverso la suddetta pronuncia aveva proposto appello la società contribuente;
la Commissione tributaria regionale della Lombardia ha rigettato l’appello, avendo ritenuto che: non sussisteva violazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, in quanto nel caso in esame nei confronti della società contribuente non era stata eseguita alcuna verifica, sicchè l’atto impugnato derivava da una segnalazione della Guardia di finanza alla Direzione regionale della Lombardia conseguente all’attività di polizia giudiziaria eseguita nell’ambito di un procedimento penale il cui utilizzo era stato autorizzato dalla Procura della Repubblica; le risultanze emerse dall’attività di verifica prodromiche all’emissione dell’avviso di rettifica potevano costituire valido supporto probatorio alla pretesa impositiva sottesa a tale avviso, non essendo ostativa la mancata loro contestazione al contribuente in sede di verifica; non sussisteva vizio di motivazione, in quanto il processo verbale di constatazione era stato allegato all’atto impugnato; la definizione automatica conseguente alla presentazione della domanda di condono non sottraeva all’ufficio finanziario il potere di contestare il credito quando, come nel caso di specie, risultava che l’Iva chiesta a rimborso non era stata versata in quanto relativa a operazioni inesistenti; la società non aveva consentito in alcuna fase del procedimento di esaminare l’origine del credito, non essendo stata rinvenuta presso la stessa alcuna documentazione contabile;
avverso la suddetta pronuncia ha proposto ricorso dinanzi a questa Corte la società contribuente, affidato a tre motivi di censura;
si è costituita l’Agenzia delle entrate depositando controricorso.
CONSIDERATO
che:
con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, non essendo stato rispettato il termine di sessanta giorni tra la data di redazione del processo verbale di constatazione e la notifica dell’atto di accertamento e non avendo l’Ufficio motivato sulle ragioni di urgenza che avrebbero potuto consentire l’emissione dell’atto impositivo prima del decorso del termine;
con il secondo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, per non avere ritenuto che nella fattispecie era stato violato il diritto della contribuente al contraddittorio in sede di verifica ed erano state violate le necessarie garanzie in favore della contribuente;
i motivi, che possono essere esaminati unitamente in quanto attengono alla medesima questione della violazione dell’obbligo di notifica del processo verbale di constatazione e del rispetto del termine dilatorio prima della notifica dell’atto di accertamento, nonchè del rispetto del contraddittorio, sono inammissibili;
gli stessi, infatti, non sono conferenti con la ratio decidendi della pronuncia impugnata;
va osservato, infatti, che il giudice di appello ha ritenuto che, nella fattispecie, l’avviso di accertamento non era stato emesso a seguito di una attività di verifica nei confronti della società contribuente, presupposto necessario per potere ritenere violata la previsione dell’obbligatorietà del contraddittorio endoprocedimentale, ma sulla base della previsione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, utilizzando gli elementi di rilevanza fiscale che erano emersi dalle indagini ispettive compiute nell’ambito del procedimento penale attivato;
in particolare, nella sentenza impugnata è stato precisato che nel caso in esame, nei confronti della società non è stata mai svolta alcuna verifica nè da parte della Direzione Regionale della Lombardia nè da parte dell’Ufficio di Milano 1. L’atto in oggetto non scaturisce da un pvc, che avrebbe dovuto essere notificato alla parte, ma da una segnalazione, come previsto dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54;
la stessa parte ricorrente, a tal proposito, riproduce nel ricorso il contenuto del processo verbale di constatazione del 19 ottobre 2007, allegato all’avviso di accertamento, da cui si evince che in data 11 ottobre 2007, la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Lecco ha autorizzato, limitatamente all’anno di imposta 2002, l’utilizzo ai fini fiscali dei risultati dell’attività di polizia giudiziaria eseguita nell’ambito del procedimento penale n. 440/2007. Tanto premesso i sottoscritti verbalizzanti espongono i fatti di rilievo fiscale, scaturiti dalle indagini, che interessano la società sopra specificata per l’anno di imposta 2002;
pertanto, come accertato dal giudice del gravame e come riscontrato dal contenuto dell’esame del p.v.c., sopra riportato, l’atto di accertamento è stato emesso sulla base di elementi informativi trasmessi all’Ufficio finanziario dalla Direzione regionale delle entrate della Lombardia che, a propria volta, aveva ricevuto dati rilevanti fiscalmente dalla Guardia di finanza che aveva operato nell’ambito di un procedimento penale a carico di diversi soggetti coinvolti;
tale circostanza assume particolare rilevanza, in quanto la vicenda in esame non può essere ricondotta nell’ambito della previsione di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, che prevede la necessità del rilascio di copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo e la decorrenza di un termine dilatorio di sessanta giorni trascorso il quale soltanto l’Ufficio finanziario può emettere l’avviso di accertamento;
questo profilo, relativo cioè alla non applicabilità al caso di specie della previsione di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, non essendovi stata una verifica da parte dei funzioni dell’amministrazione finanziaria, ha costituito il punto centrale della motivazione del giudice del gravame;
i motivi di censura in esame, limitandosi a sostenere la necessità del contraddittorio e del mancato rispetto del termine dilatorio, prospettano, quindi, ragioni di doglianza che non tengono conto del contenuto della decisione sopra indicata;
inoltre, va osservato che, con riferimento all’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale relativo agli accertamenti tributari, questa Corte a Sez. U., (9 dicembre 2015, n. 24823) ha affermato il seguente principio di diritto: “differentemente dal diritto dell’Unione Europea, il diritto nazionale, allo stato della legislazione, non pone in capo all’Amministrazione fiscale che si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente, in assenza di specifica prescrizione, un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, comportante, in caso di violazione, l’invalidità dell’atto. Ne consegue che, in tema di tributi “non armonizzati”, l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi, per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito; mentre in tema di tributi “armonizzati”, avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione, la violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Amministrazione comporta in ogni caso, anche in campo tributario, l’invalidità dell’atto, purchè, in giudizio, il contribuente assolva l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto”;
dunque, pur ritenendosi configurabile, in materia di tributi armonizzati, quale quello oggetto della presente controversia, un generalizzato obbligo di contraddittorio preventivo, si è contestualmente precisato che è onere del contribuente assolvere all’onere di provare la lesione concreta del proprio diritto di difesa (cd. prova di resistenza);
parte ricorrente, nel prospettare la ragione di doglianza relativa alla violazione del contraddittorio preventivo nella materia in esame, non ha offerto, neppure in questa sede, specifici elementi che consentissero di ritenere assolto il suddetto onere;
con il terzo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione della L. n. 289 del 2002, art. 9;
in particolare, la ricorrente postula che, avendo la stessa provveduto a presentare domanda di condono ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 10, sarebbe preclusa all’amministrazione finanziaria la possibilità di procedere ad un successivo controllo sostanziale delle dichiarazioni, ancorchè a credito, relative a periodi di imposta oggetto di definizione, dovendosi quindi riconoscere il diritto del contribuente di ottenere il rimborso del credito esposto in dichiarazione;
il motivo è infondato;
invero, questa Corte (Cass. civ. Sez. Unite, 6 luglio 2017, n. 16692) ha affermato il principio di diritto secondo cui “In tema di c.d. condono tombale, non è inibito all’erario l’accertamento riguardante un credito da agevolazione esposto in dichiarazione, in quanto il condono elide in tutto o in parte, per sua natura, il debito fiscale, ma non opera sui crediti che il contribuente possa vantare nei confronti del fisco, che restano soggetti all’eventuale contestazione da parte dell’Ufficio.”;
la pronuncia censurata è conforme al suddetto orientamento, avendo ritenuto che, nella fattispecie, legittimamente l’ufficio finanziario aveva contestato la sussistenza del credito esposto in dichiarazione in quanto relativo a operazioni inesistenti e, d’altro lato, la contribuente non aveva assolto al proprio onere probatorio relativa alla effettiva esistenza del credito;
non può, peraltro, essere condiviso il motivo nella parte in cui argomenta sulla base della differenziazione tra credito di cui è chiesto il rimborso e credito risultante dalle dichiarazioni in relazione alle quali è stata presentata domanda di rimborso;
infatti, il principio di fondo sul quale si è fondato l’orientamento di questa Corte è che l’operatività del condono fiscale non incide sui crediti vantati nei confronti del fisco, non essendo a questi sottratto il potere di contestarlo per accertare la loro inesistenza;
in conclusione, il ricorso è infondato, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese di lite del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese di lite, che si liquidano in complessive Euro 5.600,00, oltre spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della quinta sezione civile, il 3 luglio 2018.
Depositato in Cancelleria il 26 settembre 2019