Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.24009 del 26/09/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. BERNAZZANI Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4496-2012 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

D.M.G., elettivamente domiciliato in ROMA VIALE PARIOLI 43, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO D’AYALA VALVA, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANTONINO PALMERI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 99/2011 della COMM. TRIB. REG. di VENEZIA, depositata il 18/11/2011;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 17/10/2018 dal Consigliere Dott. PAOLO BERNAZZANI.

RILEVATO

che:

Il contribuente D.M.G. presentava ricorso contro il diniego di rimborso parziale delle ritenute effettuate dalla Banca Commerciale italiana, nella veste di sostituto d’imposta, sulla prestazione erogata in forma di capitale dal Fondo pensioni per il personale del predetto Istituto, al quale era stato iscritto sin dal 1961, effettuando regolari versamenti contributivi fino alla data del pensionamento.

Deduceva il ricorrente che dal 1997 a tutto il 2003 aveva ricevuto periodicamente somme a titolo di pensione; nel 2004 il Fondo era stato posto in “liquidazione coattiva” per sopravvenuta incapacità di erogare la rendita, onde gli erano state erogate saltuariamente alcune somme “una tantum” negli anni 2004 e 2005 nonchè, nell’anno 2006, un importo a titolo di capitale, per complessivi Euro 127.568,63 lordi, a seguito di accordo fra le Fonti istitutive de Fondo (la B.C.I. e le organizzazioni sindacali dei lavoratori) che stabiliva la liquidazione di un capitale in sostituzione della rendita originaria, secondo le previsioni del D.Lgs. n. 124 del 1993.

Tale erogazione a titolo di capitale era stata assoggettata a tassazione separata, secondo i criteri utilizzati per il trattamento di fine rapporto, ma senza che: a) fossero stati dedotti i contributi, nel limite del 4% della retribuzione imponibile annua, versati dal contribuente in costanza del rapporto di lavoro, secondo quanto prevede l’art. 17 t.u.i.r., comma 2; b) la base imponibile fosse stata ridotta all’87,50%, in base all’art. 47, lett. h – bis) (secondo cui “sono assimilati ai redditi di lavoro dipendente:… h-bis) le prestazioni comunque erogate in forma di trattamento periodico ai sensi del D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124)” e art. 48 t.u.i.r., comma 7 – bis, come modificato dalla L. n. 335 del 1995, art. 11 (a tenore del quale “per le prestazioni periodiche indicate all’art. 47, comma 1, lett. h – bis, non si applicano le disposizioni del richiamato art. 48 e le stesse costituiscono reddito per l’87,5% dell’ammontare lordo esposto”), nonchè dell’art. 6 t.u.i.r..

In tal senso, il ricorrente sosteneva che l’applicazione di tali norme, pur testualmente riferite a prestazioni in forma di trattamento periodico, all’erogazione di un capitale era imposta dal fatto che la liquidazione del Fondo era avvenuta coattivamente, ossia senza nessun accordo con i pensionati percettori delle rendite ed esclusivamente per la sopravvenuta impossibilità di proseguire nell’erogazione della pensione sotto forma di rendita; conseguentemente, l’erogazione una tantum della predetta somma andava qualificata alla medesima stregua delle rendite e pensioni corrisposte fino alla messa in liquidazione del Fondo.

Si costituiva l’Agenzia delle Entrate, deducendo che la prestazione di capitale era stata volontariamente sostituita a quella di una rendita, sulla base dell’accordo concluso nel 2004 fra le Fonti istitutive del Fondo, avente natura novativa, in base al quale l’obbligazione di erogazione di una rendita si era estinta ed era stata costituita un’obbligazione nuova, avente ad oggetto l’erogazione di un capitale, la cui tassazione non poteva essere disposta secondo gli invocati criteri.

Quanto alla deduzione dei contributi versati sino alla percentuale del 4%, l’Agenzia non ne negava la spettanza, ma affermava che avrebbe dovuto essere operata solo successivamente, in sede di liquidazione definitiva dell’imposta.

La CTP di Vicenza accoglieva integralmente il ricorso del contribuente, disponendo il rimborso degli importi indebitamente trattenuti. L’appello proposto dall’Agenzia veniva rigettato dalla CTR del Veneto, con sentenza n. 99/04/2011 del 19.10/18.11.2011.

L’Ufficio propone ricorso sulla base di due motivi. Resiste con controricorso il contribuente, il quale ha, altresì, depositato memoria.

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo di ricorso, l’Agenzia delle Entrate deduce nullità della sentenza e del procedimento per violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 14, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, avendo la CTR erroneamente rigettato la domanda dell’appellante di dichiarare la nullità del giudizio di primo grado per violazione del litisconsorzio necessario, non essendo stato integrato il contraddittorio nei confronti del sostituto d’imposta.

1.1. Il motivo è infondato.

Questa Corte ha già avuto occasione di stabilire che non sussiste violazione del litisconsorzio necessario per mancata integrazione del contraddittorio nei confronti del datore di lavoro, quale sostituto d’imposta, quando il giudizio sia instaurato dal contribuente-sostituito direttamente ed originariamente nei confronti dell’Amministrazione finanziaria.

Sul tema, in particolare, Sez. 5, n. 8337 del 10/04/2006, Rv. 588620 – 01, ha fatto applicazione di tale principio affermando che “l’impugnazione da parte del lavoratore dell’avviso di accertamento relativo all’imposta sul reddito, emesso nei suoi confronti in dipendenza del mancato versamento della ritenuta d’acconto da parte del datore di lavoro, non comporta la necessità di disporre l’integrazione del contraddittorio nei confronti di quest’ultimo, in quanto, indipendentemente dalla possibilità di ravvisare, nel rapporto tra sostituto d’imposta e sostituito, obblighi tributari diversi ed autonomi ovvero un’obbligazione solidale passiva nei confronti del fisco, non è configurabile tra i due soggetti un litisconsorzio necessario”.

Nella motivazione della sentenza citata si è precisato che “sia partendo dalla teoria della diversità ed autonomia degli obblighi tributari dei due soggetti (Cass. nn. 10057, 13182 e 14995 del 2000, 16469 del 2002, 1652 del 2003), sia allorchè ha, invece, ritenuto configurabile, nel rapporto tra sostituto e sostituito, un’obbligazione solidale passiva nei confronti del fisco (Cass. nn. 10613 del 2000, 5020 e 10082 del 2003), la Corte è, infatti, pervenuta alla medesima conclusione il che esime il Collegio dal prendere posizione sulle tesi anzidette – secondo cui ciascuno dei due soggetti può agire in giudizio nei confronti dell’amministrazione finanziaria, senza che ciò comporti la necessità della integrazione del contraddittorio nei confronti dell’altro”.

Analogamente, si è affermato che “il fatto che il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 64, comma 1, definisca il sostituto d’imposta come colui che “in forza di disposizioni di legge è obbligato al pagamento di imposte in luogo di altri… ed anche a titolo di acconto” non toglie che anche il sostituito debba ritenersi già originariamente (e non solo in relazione alla fase della riscossione) obbligato solidale d’imposta, e quindi egli stesso soggetto al potere di accertamento ed a tutti i conseguenti oneri. In coerenza con i principi generali in materia di solidarietà passiva, tale rapporto di solidarietà non dà luogo, neppure nel processo tributario, a litisconsorzio necessario, ma, eventualmente, solo a quello facoltativo; ne consegue che, in caso di mancato versamento della ritenuta d’acconto da parte del datore di lavoro, obbligato al pagamento del tributo è anche il lavoratore contribuente, il quale, ove, viceversa, pretenda il rimborso dell’indebito tributario, può rivolgere la domanda nei confronti del sostituto, oltre che nei confronti dell’Amministrazione erariale”. (Sez. 5, n. 8504 del 08/04/2009, Rv. 607853 – 01).

1.2. Diverso, invece, e non attinente al caso di specie, è il caso, richiamato dalla stessa Agenzia, di controversia insorta originariamente fra sostituto d’imposta e sostituito, avente ad oggetto la pretesa del primo di rivalersi delle somme versate a titolo di ritenuta d’acconto non detratta dagli importi erogati al secondo – non diversamente da quella promossa dal sostituito nei confronti del sostituto, per pretendere il pagamento (anche) di quella parte del suo credito che il convenuto abbia trattenuto e versato a titolo di ritenuta d’imposta, che investa la legittimità delle ritenute operate da quest’ultimo: essa, infatti, si configura come una causa che deve essere definita in contraddittorio con l’amministrazione finanziaria. (Cass. Sez. U, n. 23019 del 15/11/2005, Rv. 586485 – 01; Cass. Sez. 5, n. 21733 del 09/11/2005, Rv. 584952 – 01).

2. Con il secondo motivo di ricorso, si deduce insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

2.1. Va preliminarmente osservato che dallo svolgimento del motivo, sulla base delle argomentazioni giuridiche ed in fatto svolte dalla ricorrente a fondamento della censura, emerge chiaramente come la stessa abbia inteso sottoporre al Collegio, unitamente alla doglianza formalmente contestata, anche un profilo impugnatorio direttamente riconducibile al paradigma della violazione di legge, ai sensi del n. 3 dell’art. 360 c.p.c., come reso evidente dal periodo che chiude l’esposizione del motivo stesso: (“Erroneamente pertanto è stato giudicato dalla CTR applicabile il regime previsto dall’art. 47 tuir, comma 1 e art. 48 tuir, comma 7 – bis, disposizioni – nel testo all’epoca vigente – che fanno riferimento a prestazioni erogate in forma di trattamento periodico; tale non è l’attribuzione di un capitale”).

In tal senso, occorre richiamare l’orientamento di questa Corte, al quale il Collegio intende dare continuità, secondo cui, ai fini dell’ammissibilità del ricorso per cassazione, non costituisce condizione necessaria la corretta menzione dell’ipotesi appropriata, tra quelle in cui è consentito adire il giudice di legittimità, purchè si faccia valere un vizio della decisione astrattamente idoneo a inficiare la pronuncia (Sez. 2, n. 1370 del 21/01/2013, Rv. 624977 – 01; Sez. 5, n. 23381 del 06/10/2017, Rv. 645638 – 01). Pertanto, “la Corte può procedere alla corretta qualificazione giuridica del vizio denunciato, in quanto la configurazione formale della rubrica del motivo non ha contenuto vincolante, ma è solo l’esposizione delle ragioni di diritto della impugnazione che chiarisce e qualifica, sotto il profilo giuridico, il contenuto della censura”. (cfr. Sez. 5, n. 14026 del 03/08/2012, Rv. 623656 – 01).

Va aggiunto, inoltre, che la Corte può accogliere il ricorso per una ragione di diritto anche diversa da quella prospettata dal ricorrente, sempre che essa sia fondata sui fatti come prospettati dalle parti, fermo restando che l’esercizio del potere di qualificazione non può comportare la modifica officiosa della domanda per come definita nelle fasi di merito o l’introduzione nel giudizio d’una eccezione in senso stretto. (Sez. 3, n. 18775 del 28/07/2017, Rv. 645168 – 01; Sez. 6 – 3, n. 3437 del 14/02/2014, Rv. 629913 – 01).

2.2. Va ulteriormente osservato che lo svolgimento del motivo non contiene specifiche deduzioni in punto di deducibilità dei contributi versati dal lavoratore nei limiti del 4%, nè sotto il profilo del vizio motivazionale nè sotto quello della violazione di legge (non essendo stata dedotta la violazione dell’art. 48 t.u.i.r., comma 1, lett. a), ma soltanto quella dell’art. 47, comma 1 e dell’art. 48, comma 7 – bis relativi alla diversa questione della tassazione nei limiti dell’87,50%) onde la statuizione del giudice di appello deve considerarsi divenuta, sul punto, irrevocabile.

2.3. Ciò posto, dalla motivazione della sentenza impugnata si evince che la CTR ha affermato:

– che l’erogazione di un capitale da parte del Fondo al contribuente aveva natura coattiva e funzione sostitutiva dell’erogazione di una rendita periodica;

– che tali caratteristiche non potevano essere confutate sulla base di un’interpretazione delle vicende giuridiche della liquidazione del Fondo, secondo cui vi sarebbe stata una volontaria novazione del rapporto obbligatorio fra lo stesso ed il contribuente, posto che la trasformazione della prestazione era stata determinata non dalla volontà degli aderenti al Fondo, ma dalla B.C.I. e dalle organizzazioni sindacali, quali Fonti istitutive, per far fronte all’impossibilità sopravvenuta di erogare la prestazione periodica;

– che, dunque, in virtù del fatto che il capitale erogato una tantum aveva funzione sostitutiva della pensione periodica, ai sensi dell’art. 6 t.u.i.r. il trattamento impositivo doveva essere il medesimo, con conseguente determinazione della base imponibile all’87,50%.

Secondo l’Agenzia, l’errore della sentenza sta nel considerare non volontaria la trasformazione della prestazione erogata dal Fondo, posto che le organizzazioni sindacali hanno agito secondo il modello di rappresentatività ampiamente riconosciuto nell’ordinamento ed hanno dato vita ad una intesa in merito ad un’offerta di liquidazione in linea capitale a favore di ciascun pensionato, in luogo della rendita in essere a favore dei medesimi.

2.4. In siffatto quadro argomentativo, ritiene il Collegio che sussista, con rilievo assorbente, il vizio di violazione di legge dedotto dall’Agenzia nello svolgimento del motivo, sebbene non indicato formalmente nella rubrica dello stesso.

Va osservato, in primo luogo, che, in base al quadro normativo evocato dalle parti, il trattamento tributario delle prestazioni erogate dalle forme pensionistiche complementari era strettamente legato alla tipologia delle prestazioni stesse.

In particolare, per le prestazioni consistenti nell’erogazione di un trattamento periodico, va richiamato il D.Lgs. n. 124 del 1993, art. 13, comma 7, come modificato dalla L. n. 335 del 1995, art. 11, comma 1, che ha introdotto nell’art. 47 t.u.i.r. la lett. h – bis), avente ad oggetto “le prestazioni comunque erogate in forma di trattamento periodico” ai sensi del D.Lgs. cit., le quali si collocano tra i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente.

Rispetto ad esse, lo stesso D.Lgs., art. 13, comma 8, ha introdotto nell’art. 48 t.u.i.r. il comma 7 – bis, il cui contenuto è stato successivamente trasferito nell’art. 48 – bis, comma 1, lett. d) t.u.i.r. In base a tale norma, le prestazioni periodiche costituiscono reddito imponibile in misura pari all’87,50% dell’ammontare corrisposto.

Muovendo da tali richiami, secondo la tesi addotta dal contribuente e sostanzialmente accolta dalla CTR, l’importo effettivamente tassabile nella specie sarebbe dato dall’87,50% della somma totale ricevuta, poichè, per determinare la base imponibile assoggettata a tassazione, detto importo dovrebbe essere abbattuto sino a detta misura ex art. 48 bis t.u.i.r., sul presupposto dell’assimilabilità dell’erogazione del predetto capitale alla rendita periodica con conseguenze uniformanti sul piano della disciplina impositiva.

3. Tale tesi, peraltro, anche indipendentemente dalla natura “volontaria” o “coattiva” dell’intervenuta modificazione della tipologia di prestazione dovuta dal Fondo, non è condivisibile alla luce dell’orientamento di questa Corte secondo cui la descritta disciplina non può estendersi alle prestazioni erogate in forma di capitale, imponibili per il loro ammontare netto complessivo, sulla base di una pluralità di ragioni.

3.1. In particolare, la più recente giurisprudenza di questa Corte (cfr. Sez. 6 5, n. 2201 del 09/01/2018, pronunciata proprie in una fattispecie sovrapponibile a quella in esame, avente ad oggetto una richiesta di rimborso IRPEF formulata da un dipendente della Banca Commerciale Italiana) ha affermato che sussiste violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 47 e 48, laddove il giudice d’appello abbia riconosciuto la spettanza della detrazione del 12,50% prevista per le erogazioni periodiche di previdenza complementare, posto che, “a norma dell’art. 47 TUIR, comma 1, lett. h – bis e dell’art. 48 – bis TUIR, comma 1, lett. d, vigente ratione temporis, l’imponibile è ridotto all’87,50% soltanto per le pensioni complementari erogate “in forma di trattamento periodico”, ciò in ragione di un’assimilazione ai redditi di lavoro dipendente che viene meno per le dazioni una tantum (come quella di specie)”.

3.2. Nè sembra al Collegio che tali conclusioni si discostino dalle pronunce di questa Corte secondo le quali l’erogazione, in casi consimili, di una somma capitale costituisce, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 6, comma 2, reddito “della stessa categoria della pensione integrativa”, posto che tale principio è stato inteso nel senso che tale erogazione in “unica soluzione” deve essere soggetta a tassazione separata, ai sensi dell’originario art. 16 t.u.i.r., comma 1, trattandosi di somma che costituisce reddito da lavoro dipendente e non già reddito di capitale, avendo la propria causa genetica nel rapporto di lavoro che ha determinato la nascita del trattamento; ma ciò, in tale dimensione, non implica ancora che all’interno della stessa categoria di riferimento il legislatore non possa differenziare ulteriormente il trattamento impositivo sulla base della specifica e diversa tipologia della prestazione erogata, stabilendo che, ove scaturente dalla capitalizzazione di trattamenti pensionistici, la stessa venga assoggettata a tassazione separata senza la riduzione della base imponibile propria delle prestazioni erogate in forma di trattamento periodico, come tale non estensibile alle erogazioni “una tantum”.

3.3. A ciò si aggiunga un ulteriore ordine di argomentazioni, in base alle quali, anche a voler sostenere, in astratto, la tesi della piena equiparabilità della disciplina afferente alla determinazione della base imponibile fra la fattispecie di corresponsione di un capitale “una tantum” e quella di erogazione di un trattamento periodico, è decisivo il fatto che siffatto abbattimento non era più normativamente previsto al momento, fiscalmente rilevante, della corresponsione del capitale in questione.

Invero, quanto al regime fiscale applicabile al trattamento pensionistico invocato dal contribuente – dato atto che la richiesta di rimborso formulata dallo stesso si riferisce, come risulta, senza contestazioni sul punto, dalla sentenza impugnata, all’anno d’imposta 2006, epoca dell’erogazione del predetto capitale -, deve tenersi conto dei mutamenti della normativa regolatrice della fattispecie.

L’art. 48 t.u.i.r., comma 7 bis, introdotto dalla L. n. 335 del 1995, art. 11, comma 8, entrato in vigore il 17.8.1995, ha disposto che “le prestazioni periodiche indicate nell’art. 47, comma 1, lett. h bis)” dello stesso t.u. “costituiscono reddito per l’87,50% dell’ammontare corrisposto” e non per il loro intero ammontare.

Successivamente, la disposizione di cui all’art. 48 bis t.u.i.r., lett. d), introdotta, con effetto dal 1.1.1998, dal D.Lgs.2 settembre 1997, n. 314, art. 4 – ha stabilito che le prestazioni periodiche richiamate allo stesso decreto presidenziale, art. 47, comma 1, lett. h bis), non sono più soggette alle disposizioni dell’art. 48 dello stesso t.u.i.r. – nel testo sostituito, con effetto dal 1.1.1998, dal cit. D.Lgs. n. 314 del 1997, art. 3 – ma continuano a costituire reddito per l’87,50% dell’ammontare lordo corrisposto.

La disciplina è stata in seguito modificata dal D.Lgs. 18 febbraio 2000, n. 47, art. 10, comma 1, lett. f) – entrato in vigore il 1.1.2001 e con effetto relativamente ai contributi versati, ai rendimenti maturati, ai contratti stipulati, alle prestazioni maturate e alle rendite erogate a decorrere dal 1.1.2001 – con il quale si è previsto che le prestazioni pensionistiche di cui all’art. 47 t.u.i.r., comma 1, lett. h bis) (nel testo modificato dal menzionato D.Lgs. n. 47 del 2000, art. 10, comma 1, lett. e)) non si applicano le disposizioni dell’art. 48. Le stesse si assumono al netto della parte corrispondente ai redditi già assoggettati ad imposta e di quelli di cui alla lett. g – quinquies) del comma 1, dell’art. 41, se determinabili.

Il D.Lgs. 18 febbraio 2000, n. 47, art. 10, lett. f) (avente effetto, come detto, dal 1.1.2001) è rimasto in vigore sino al 31.12.2003, essendo stato soppresso dal D.Lgs. 12 dicembre 2003, n. 344, art. 1, a decorrere dal 1.1.2004.

Analoga disposizione è poi contenuta nel t.u.i.r., art. 52, comma 1, lett. d) (così rinumerato il D.Lgs. 12 dicembre 2003, n. 344, art. 1, art. 48 bis) che, nella forma in vigore dal 1.1.2004 fino al 31.12.2006, disponeva: “d) per le prestazioni pensionistiche di cui all’art. 50, comma 1, lett. h – bis)” (ex art. 47) “già erogate in forma periodica non si applicano le disposizioni del richiamato art. 51” (ex art. 48). “Le stesse si assumono al netto della parte corrispondente ai redditi già assoggettati ad imposta e di quelli di cui all’art. 44, comma 1, lett. g – quinquies), se determinabili”.

3.4. Ne consegue, come ritenuto dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr., ex multis, Sez. 6 – 5, nn. 31916 e 31917 del 22/11/2018 in fattispecie relativa a ritenute operate nell’anno 2006) che le stesse prestazioni pensionistiche di cui all’art. 47 cit., comma 1, lett. h – bis) erogate in forma periodica, per il periodo in oggetto, erano tassabili non già solo sull’87,50% dell’ammontare lordo corrisposto, sebbene sull’intero (cfr. anche Cass. Sez. 5, n. 11156/2010 e n. 240/2015), posto che già dal 1.1.2001 è stato abrogato il riferimento all’imponibile sino al 87,50% con detrazione del 12,50% sulle prestazioni erogate dal Fondo pensioni.

Pertanto, anche a voler astrattamente ipotizzare, come opina la difesa del contribuente, la completa assimilazione sul piano della disciplina impositiva della fattispecie di corresponsione di un capitale in unica soluzione a quella di erogazione di un trattamento pensionistico periodico, originariamente previsto, non potrebbe comunque pervenirsi alle conclusioni fatte proprie dalla CTR in punto di determinazione, in misura ridotta, della base imponibile.

3.5. Invero, in relazione al mutato quadro normativo, risultano applicabili al caso di specie le nuove disposizioni che impongono la tassazione sull’intera base imponibile (cfr. Sez. 5, n. 9996 del 15/5/2015; Sez. 5, n. 11156 del 13/01/2010;

Sez. 5, n. 30751 del 23/11/2011) anche per i diritti maturati anteriormente, posto che il momento fiscalmente rilevante è quello dell’erogazione assoggettata al prelievo fiscale (come d’altronde questa Corte ha già affermato: cfr. Sez. 5, n. 9996 del 15/05/2015; Sez. 5, n. 13982 del 21/06/2016; Sez. 5, n. 30751 del 23/11/2011).

4. A tali principi non si è conformata la CTR nella sentenza qui impugnata, avendo riconosciuto al contribuente il diritto alla liquidazione del tributo sul minore importo dell’87,50% degli emolumenti allo stesso corrisposti.

Pertanto il ricorso dell’Agenzia deve essere accolto sotto il profilo in esame, che riveste natura logicamente assorbente rispetto alle doglianze formulate sotto il profilo motivazionale.

In conclusione, il primo motivo di ricorso deve essere rigettato, mentre va accolto il secondo motivo; la sentenza impugnata deve essere, pertanto cassata con rinvio alla CTR del Veneto, in diversa composizione, cui si demanda di provvedere anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo di ricorso; accoglie il secondo motivo, nei termini di cui in motivazione; cassa, in relazione al motivo accolto, la sentenza impugnata con rinvio alla CTR del Veneto, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 17 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 26 settembre 2019

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