Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.24012 del 26/09/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – rel. Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. PERINU Renato – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 10997/2017 R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore p.t., rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso cui è

domiciliata, in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– ricorrente –

contro

D.T.L., rappresentato e difeso dall’Avv. Giuseppe Lanzalone, presso cui è elettivamente domiciliato in Brindisi alla via Gallipoli n. 7.

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2301/2016 della Commissione Tributaria Regionale della Puglia, sezione staccata di Lecce, depositata in data 30/9/2016 e non notificata.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 29/4/2019 dal Consigliere Andreina Giudicepietro;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Umberto De Augustinis, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato dello Stato Alfonso Peluso.

FATTI DI CAUSA

1. L’Agenzia delle Entrate ricorre con due motivi l’avv. D.T.L. per la cassazione della sentenza n. 2301/2016 della Commissione Tributaria Regionale della Puglia, sezione staccata di Lecce, depositata in data 30/9/2016 e non notificata, cha ha rigettato l’appello del contribuente in controversia relativa all’impugnativa del diniego parziale di rimborso delle trattenute INPS in eccesso a seguito di istanza del contribuente, presentata il 29 dicembre 2006 per gli anni dal 1995 al 2006.

L’Amministrazione, con il provvedimento di diniego, aveva rigettato l’istanza limitatamente al periodo dal 1995 al 2001, ritenendo che il contribuente fosse ormai decaduto dalla facoltà di richiedere il rimborso per gli anni suddetti.

2. Con la sentenza impugnata, la C.T.R. della Puglia, sezione staccata di Lecce (di seguito C.T.R.), per quanto di interesse in questa sede, riteneva che l’Amministrazione non avesse formulato alcuna specifica censura sull’applicabilità della prescrizione decennale per l’anno 1995; comunque, per l’intero periodo dal 1995 al 2001, non aveva dedotto l’applicabilità del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, ma si era limitata ad opporsi al rimborso ai sensi del D.P.R. cit., art. 37.

Il giudice di secondo grado rigettava, quindi, l’appello dell’Agenzia delle Entrate.

3. A seguito del ricorso, D.T.L. resiste con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo, la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 56 e 57, artt. 345,346 e 329 c.p.c., art. 2909 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4.

Con il secondo motivo, la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, e art. 2969 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

1.2. I motivi, da esaminare congiuntamente perchè connessi, sono fondati e vanno accolti.

1.3. Contrariamente a quanto sostenuto dalla C.T.R., l’Ufficio ha motivato il diniego di rimborso per le annualità dal 1995 al 2001 per l’intervenuta decadenza ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38; ha reiterato tale argomentazione nell’atto di costituzione del giudizio di primo grado; ha impugnato la sentenza della C.T.P. (che aveva ritenuto l’applicazione all’istanza di rimborso del termine di prescrizione decennale decreto citato, ex art. 37, trattandosi di trattenuta indebita) su tale punto, sostenendo che, trattandosi di versamenti diretti, era applicabile il termine di quarantotto mesi di cui all’art. 38.

Non è, quindi, corretta la sentenza impugnata laddove afferma che l’Ufficio non avrebbe impugnato con l’appello l’applicazione del termine prescrizionale decennale all’istanza di rimborso, nè laddove ritiene che l’Amministrazione abbia mutato i fatti posti a fondamento della propria pretesa tributaria, che sono sempre gli stessi, evidenziati fin dall’atto di parziale diniego di rimborso.

Inoltre, la decadenza dall’istanza di rimborso ex art. 38, è rilevabile anche d’ufficio (Cass. n. 1152/2004), per cui l’eventuale mancata eccezione da parte dell’agenzia delle Entrate non avrebbe precluso al giudice di rilevare d’ufficio la tardività dell’istanza di rimborso per gli anni in contestazione.

Nel merito, deve rilevarsi che, nell’ordinamento tributario, vige, per la ripetizione dell’indebito, un regime speciale basato sull’istanza di parte, da presentare, a pena di decadenza, nel termine previsto dalle singole leggi di imposta o, in difetto, dalle disposizioni sul contenzioso tributario (D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 19, comma 1, lett. g, e art. 21, comma 2), (cfr. Cass. ord. n. 6900/2014; vedi anche Cass. S.U. n. 89/2786; Cass. n. 93/8088; Cass. n. 98/7360; da ultimo Cass. n. 16/7367 e 18/19735).

In conseguenza di tale consolidato e condivisibile orientamento, deve, quindi, affermarsi il principio secondo cui il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, quale norma di portata generale, che si applica a tutte ipotesi di rimborso delle imposte dirette su istanza di parte, sia riferibile anche alle ipotesi in cui l’obbligazione sostanziale sia parzialmente o totalmente inesistente, e che la possibilità per il contribuente di avanzare la relativa istanza sia sottoposta al termine decadenziale vigente ratione temporis (quarantotto mesi nel caso in esame).

L’orientamento consolidato della giurisprudenza di questa Corte, ribadito dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 16476/2014, è rigoroso nella identificazione del detto dies a quo nel giorno del versamento, o in quello di effettuazione della ritenuta, senza che possano trovare tutela situazione di inerzia incolpevole dell’avente diritto al rimborso; rispetto al superiore principio della certezza delle situazioni giuridiche non può infatti riconoscersi tutela alla posizione del contribuente che, sia pure in buona fede, abbia provveduto erroneamente al versamento nella convinzione della sussistenza del presupposto impositivo.

Nè la fattispecie oggetto di causa è riconducibile al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 37, che, per interpretazione costante, si riferisce alle trattenute effettuate direttamente dalle amministrazioni statali.

Infatti, con riferimento alla richiesta di rimborso delle ritenute per I.R.P.E.F. effettuate, come sostituto d’imposta, dal datore di lavoro, sulle somme corrisposte a vario titolo (retribuzioni, premi, indennità, ivi compreso il t.f.r.), al dipendente, è stato chiarito che “queste ritenute, non rientrano nella disciplina delle ritenute dirette di cui allo cit. D.P.R., art. 37, perchè tale ultima nozione implica una sorta di compensazione che lo Stato opera fra credito fiscale e controcredito del contribuente, e pertanto – riguarda esclusivamente le amministrazioni statali” (Sez. 5, Sentenza n. 8789 del 05/04/2017).

In applicazione dei principi fin qui menzionati, più volte affermati da questa Corte, la sentenza impugnata va cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, decidendo la causa nel merito, il ricorso originario va rigettato, poichè l’istanza di rimborso è stata presentata in data 29 dicembre 2006, oltre il termine di decadenza di quarantotto mesi dall’effettuazione della ritenuta con riferimento all’annualità 2001 e di diciotto mesi per le annualità precedenti.

Sussistono giusti motivi, in considerazione del consolidamento dell’orientamento giurisprudenziale citato solo in epoca successiva all’instaurazione della lite, per compensare le spese dei due gradi del giudizio di merito.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

la Corte accoglie il ricorso dell’Agenzia delle Entrate e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo del contribuente;

compensa tra le parti le spese dei due gradi del giudizio di merito;

condanna il controricorrente al pagamento in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 29 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 settembre 2019

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