LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –
Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –
Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –
Dott. FRACANZANI Marcello M. – rel. Consigliere –
Dott. BERNAZZANI Paolo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20322/2014 R.G. proposto da:
Il Sig. L.D., con l’avv. Susanna Pastore nel domicilio eletto preso lo studio dell’avv. Cosimo Damiano Fabio Mastrorosa, in Roma, alla via Nizza, n. 92;
– ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, ed ivi domiciliata in via dei Portoghesi, n. 12;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale per la Puglia, – Sez. 05 n. 232/05/14, depositata in data 28/01/2014 e non notificata.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26 febbraio 2019 dal Co: Marcello M. Fracanzani.
RILEVATO
Per l’anno di imposta 2004 il contribuente si vedeva rideterminato il proprio imponibile in ragione della plusvalenza patrimoniale derivante dalla cessione di un terreno edificabile all’interno di un’area di lottizzazione convenzionata in agro di *****.
Reagiva quindi avanti il giudice di prossimità, trovando apprezzamento tanto sull’eccepito difetto di motivazione sui criteri individuati per dedurre i valori nelle annualità di plusvalenza nonchè sulla violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 68, per errata individuazione del momento iniziale per calcolare la plusvalenza.
Donde interponeva appello l’Ufficio, dolendosi dell’ultrapetizione in cui sarebbe incorso il collegio di prime cure, poichè non era stato chiesto l’annullamento degli atti impositivi, bensì solo il ricalcolo delle imposte dovute, in ragione dell’accertato (ed ormai pacifico) momento in cui si era perfezionata la lottizzazione, ovvero il momento di stipula della convenzione urbanistica che porta a compimento e traduce in obbligazioni le previsioni di piano fissate nella delibera di consiglio comunale, completando così il procedimento bifasico proprio degli strumenti urbanistici attuativi.
Respinte le eccezioni pregiudiziali di rito, la CTR accoglieva il gravame ed in riforma dell’impugnata sentenza fissava i termini di riferimento per il calcolo della plusvalenza, distinguendo fra particelle pervenute al venditore per via ereditaria e quelle giunte tramite titolo oneroso.
Propone ricorso per cassazione il contribuente affidandosi a tre motivi di gravame, cui resiste con puntuale controricorso l’Avvocatura generale dello Stato.
CONSIDERATO
Con il primo motivo si lamenta di gravame violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, e dell’art. 163 codice di rito civile, nn. 3 e 4, come richiamato dal successivo art. 342, in parametro al art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nel concreto affermando non essere presente alcun criterio di individuazione del valore medio dei terreni da cui si possa ritenere motivato il provvedimento impositivo impugnato in origine nè la gravata sentenza che, sostituendolo, ha fatto riferimento al valore normale del terreno ceduto riferito al quinto anno anteriore al 2004.
Nel criticare il riferimento al “valore normale”, il motivo è infondato, poichè tale espressione lungi dall’essere lemma generico e vago, acquista nel contesto in cui si inserisce il significato preciso indicato dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 9, che rinvia ad una serie di fonti di reperimento del valore medio di mercato, cui gli atti impositivi e la gravata sentenza hanno fatto riferimento.
Il motivo è quindi infondato e va disatteso.
Con il secondo motivo si lamenta violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in parametro all’art. 360 cit. codice rito, comma 1, n. 3, nella sostanza si ripropone con altra veste la medesima censura che precede, ritenendo non sia stata data risposta alla domanda di avere dei parametri motivati su cui operare il calcolo della plusvalenza, ormai fissata nel 2004 come momento a quo.
Cosi come posto, il motivo è infondato, poichè il giudicante di secondo grado ha dato risposta alla domanda, indicando un criterio di riferimento per il calcolo del valore del bene, peraltro coerente con le disposizioni di legge appena citate ed utili al fine di ricavare un criterio per l’individuazione di un valore (non assoluto, ma) utile ai fini del calcolo dell’imposta.
Con il terzo motivo ci si duole dell’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in parametro all’art. 360 codice di rito civile, comma 1, n. 5, nello specifico lamentando che non sia stata data contezza del rigetto dell’eccezione pregiudiziale proposta dalla parte contribuente nei confronti dell’appello erariale, affermandone la genericità, che sarebbe stata superata dal giudice di secondo grado senza dar conto dei motivi.
Così come posto il motivo è inammissibile, poichè il ricorrente pur dando atto dell’applicabilità al ricorso del “nuovo” testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, deduce un’insufficiente motivazione peraltro non su un “fatto” quanto piuttosto su una questione di diritto (quale è la genericità dei motivi di appello) ritenuta inammissibile secondo il consolidato orientamento di questa Suprema Corte (cfr. Cass. S.U. n. 8053/2014; Cass. n. 21152/14; n. 24035/2018).
In definitivo il ricorso è infondato e dev’essere rigettato. Le spese seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso, condanna la parte ricorrente alla rifusione delle spese in favore dell’Agenzia delle entrate che liquida in Euro cinquemilaseicento/00 oltre a spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 26 febbraio 2019.
Depositato in Cancelleria il 26 settembre 2019