Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.24045 del 26/09/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi – rel. Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

nei ricorsi riuniti n. 7435/2018 proposto da:

M.S., elettivamente domiciliato in Roma, Via Barnaba Tortolini n. 30, presso lo Studio Placidi Srl e rappresentato e difeso dall’avvocato Claudia Alpagotti in forza di atto separato unito al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di VENEZIA, depositato il 26/01/2018;

e n. 23513/2018 proposto da:

H.S., alias M.N.H., elettivamente domiciliata in Roma, Via Barnaba Tortolini 30, presso lo Studio Placidi s.r.l. e rappresentata e difesa dall’avvocato Claudia Alpagotti, in forza di atto separato unito al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in Roma Via Dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ex lege;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di VENEZIA, depositato il 20/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 08/04/2019 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE SCOTTI;

lette le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale Dott. PATRONE IGNAZIO.

FATTI DI CAUSA

1. Con decreto del 26/1/2018 il Tribunale di Venezia sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea – ha confermato il rigetto dell’istanza di sospensione e respinto il ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 3 presentato da M.S., cittadino afgano, avverso il provvedimento di trasferimento adottato il 30/5/2017, notificatagli il 3/8/2017, con il quale l’Unità Dublino presso il Ministero dell’Interno aveva disposto il suo trasferimento in Norvegia, quale Stato competente all’esame della sua domanda di protezione internazionale.

Il Tribunale ha osservato che il S. era entrato irregolarmente in Italia nel 2017, con la moglie, dopo aver presentato domanda di protezione internazionale in Norvegia, Stato di primo ingresso in U.E., il 26/10/2015; che non sussisteva alcun criterio di collegamento del richiedente asilo con il territorio italiano, tale non potendosi ritenere il rapporto con la moglie che aveva seguito lo stesso iter; che i criteri previsti dal Regolamento “Dublino III” non attribuivano rilievo alle preferenze del richiedente per un determinato Stato membro; che non emergeva allo stato in Norvegia alcun pericolo di violazione dei diritti fondamentali del richiedente; che non sussistevano ragioni per derogare alla competenza dello Stato di primo ingresso.

2. Avverso il decreto del 25/1/2018, comunicato a mezzo PEC il 26/1/2018, ha proposto ricorso S.M., con atto notificato il 25/2/2018, svolgendo cinque motivi.

L’intimata Amministrazione dell’Interno non si è costituita in giudizio.

In data 17/10/2018 il ricorrente ha depositato memoria chiedendo la trattazione congiunta del ricorso con quello presentato dalla moglie recante il numero di ruolo 23513/2018.

A tal fine è stato disposto rinvio a nuovo ruolo e rifissazione per l’adunanza camerale del 8/4/2019.

3. Con decreto del 20/6/2018 il Tribunale di Venezia sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea – ha revocato il provvedimento di sospensione e respinto il ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 3 presentato da H.S., cittadina afgana, avverso il provvedimento di trasferimento adottato il 30/5/2017, notificatagli il 3/8/2017, con il quale l’Unità Dublino presso il Ministero dell’Interno aveva disposto il suo trasferimento in Norvegia, quale Stato competente all’esame della sua domanda di protezione internazionale.

Il Tribunale ha osservato che H.S. era entrata irregolarmente in Italia nel 2017, con il marito M., dopo aver presentato domanda di protezione internazionale in Norvegia, Stato di primo ingresso in U.E., il 26/10/2015; che non sussisteva alcun criterio di collegamento della richiedente asilo con il territorio italiano; che i criteri previsti dal Regolamento “Dublino III” non attribuivano rilievo alle preferenze della richiedente per un determinato Stato membro; che non emergeva allo stato in Norvegia alcun pericolo di violazione dei diritti fondamentali della richiedente; che la documentata ansia depressiva della richiedente che aveva determinato la realizzazione di un tentato suicidio, derivante dall’impossibilità di avere figli, non assumeva rilievo al fine di orientare la scelta del Paese esaminatore, mentre era ininfluente in questa prospettiva il timore della richiedente di dover tornare in Afganistan; che non potevano essere sindacati nel merito gli orientamenti di valutazione di un altro Stato membro, aderente allo spazio “Dublino”; che non sussistevano ragioni per derogare alla competenza dello Stato di primo ingresso.

4. Avverso il decreto del 20/6/2018, comunicato a mezzo PEC in pari data, ha proposto ricorso H.S., con atto notificato il 20/7/2018, svolgendo cinque motivi, analoghi a quelli proposti dal marito.

L’intimata Amministrazione dell’Interno si è costituita in giudizio, notificando controricorso il 13/8/2018 e chiedendo dichiararsi inammissibile o rigettarsi il ricorso.

In data 17/10/2018 la ricorrente ha depositato memoria chiedendo la trattazione congiunta del ricorso con quello presentato dal marito recante il numero di ruolo 7435/2018.

A tal fine è stato disposto rinvio a nuovo ruolo e rifissazione per l’adunanza camerale del 8/4/2019.

5. Il Procuratore generale ha chiesto il rigetto dei ricorsi.

I due ricorsi sono stati preliminarmente riuniti all’adunanza dell’8/4/2019, poichè l’istituto della riunione di procedimenti relativi a cause connesse, previsto dall’art. 274 c.p.c. e volto a garantire l’economia ed il minor costo del giudizio, oltre alla certezza del diritto, trova applicazione anche in sede di legittimità, anche in relazione a ricorsi proposti contro sentenze diverse pronunciate in separati giudizi (Sez. 1, 31/10/2011, n. 22631; Sez. 2, 22/06/2007, n. 14607; Sez. lav., 05/04/2006, n. 7966).

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Gli analoghi motivi separatamente svolti dai due ricorrenti possono essere esaminati congiuntamente, alla luce della totale corrispondenza delle questioni di diritto sollevate.

2. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, i ricorrenti denunciano violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’art. 5 del Regolamento UE n. 604/2013.

2.1. Il Tribunale aveva omesso di procedere all’audizione dei ricorrenti, reiteratamente richiesta da parte loro avvalendosi della discrezionalità prevista dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 3, comma 3 septies in violazione del predetto art. 5 che codifica il diritto del richiedente a un colloquio personale in tempo utile prima della decisione di trasferimento, non potendosi ritenere idoneo il contatto avvenuto il 24/3/2017 presso la Questura di Bolzano.

1.2. Il motivo è infondato.

Il D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 3, comma 3 septies, (introdotto dal D.L. 17 febbraio 2017, n. 13, art. 6, comma 1, lett. Oa), convertito con modificazioni dalla L. 13 aprile 2017, n. 46) prevede che il procedimento de quo sia trattato in camera di consiglio e che l’udienza per la comparizione delle parti sia fissata esclusivamente quando il giudice lo ritenga necessario ai fini della decisione.

Il che non è avvenuto nella fattispecie, in vista dell’assunzione di una decisione di carattere prettamente processuale e documentale.

Nè persuade l’invocazione dell’art. 5 del Regolamento 26/06/2013 n. 604n. 2013/604/CE (cosiddetto Regolamento “Dublino III”), che prescrive, al fine di agevolare la procedura di determinazione dello Stato membro competente, allo Stato membro che ha avviato la procedura di determinazione di effettuare, di regola, un colloquio personale con il richiedente, finalizzato anche alla corretta comprensione delle informazioni fornite al richiedente, da svolgersi in tempo utile e, in ogni caso, prima che sia adottata la decisione di trasferire il richiedente verso lo Stato membro competente ai sensi dell’art. 26, paragrafo 1.

Tale colloquio peraltro attiene alla fase amministrativa, prima della decisione di trasferimento e comunque, come riconoscono la stessa ricorrente, è stato effettivamente espletato presso la Questura di Belluno con modalità di cui non viene nè allegata, nè dimostrata l’inadeguatezza ai sensi dell’art. 5 Reg. CE 604/2013.

3. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, i ricorrenti denunciano violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’art. 17 del Regolamento UE n. 604/2013.

3.1. Secondo i ricorrenti, il Tribunale aveva equivocato la portata della sentenza della Corte di Giustizia UE 6/9/2017, in cause riunite C/643/15 e C647/15, che non affermava affatto l’esclusione del diritto di scelta da parte del richiedente del Paese membro competente per l’esame della sua domanda di protezione internazionale.

3.2. Come chiarisce l’art. 1, il Regolamento 604/2013 stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide.

Il Regolamento si basa sul criterio della competenza, individuando uno e uno solo Stato membro (oppure un solo Stato che, come la Norvegia, ha aderito alla disciplina) competente ad esaminare la domanda del richiedente asilo.

L’art. 3 prevede che gli Stati membri esaminino qualsiasi domanda di protezione internazionale presentata da un cittadino di un paese terzo o da un apolide sul territorio di qualunque Stato membro, compreso alla frontiera e nelle zone di transito e che una domanda d’asilo sia esaminata da un solo Stato membro, quello individuato come Stato competente in base ai criteri enunciati al capo III; è inoltre previsto che quando lo Stato membro competente non possa essere designato sulla base dei criteri enumerati nel regolamento, sia competente il primo Stato membro nel quale la domanda è stata presentata.

Tale normativa è evidentemente finalizzata a evitare fenomeni di scelta dell’autorità esaminatrice ritenuta più favorevole e sovrapposizioni di domande e contrasti di giudicati.

3.3. Come hanno recentemente puntualizzato le Sezioni Unite di questa Corte, la controversia avente ad oggetto la procedura di determinazione dello Stato Europeo competente sulla domanda dello straniero richiedente protezione internazionale e sul conseguente, eventuale, provvedimento di trasferimento emesso dalla P.A., ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 3, comma 3, (anche prima della previsione espressa contenuta nel D.Lgs. citato, art. 3, comma 3 bis, come introdotto dal D.L. n. 13 del 2017, convertito con modificazioni dalla L. n. 46 del 2017) è devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario, in quanto la situazione giuridica soggettiva dello straniero che chiede protezione internazionale ha natura di diritto soggettivo, da annoverarsi tra i diritti umani fondamentali la cui giurisdizione spetta, in mancanza di una norma espressa che disponga diversamente, all’autorità giurisdizionale ordinaria (Sez. un., 30/03/2018, n. 8044).

3.4. Il Procuratore generale richiama il tenore della pronuncia di questa 1 Sezione, n. 31675 del 6/12/2018, apparentemente sostenendo che il giudice ordinario non potrebbe sindacare l’individuazione dello Stato membro competente.

Tale pronuncia peraltro si riferisce alla possibilità di sindacato nell’ambito della procedura giurisdizionale relativa al riconoscimento della protezione internazionale ed afferma effettivamente che “L’individuazione dello Stato competente ad esaminare la domanda di protezione internazionale (Regolamento UE del Parlamento Europeo e del Consiglio n. 603 del 2013, Dublino III) spetta, in base al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 3, comma 3, all’amministrazione e, precisamente, all’Unità di Dublino, operante presso il Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Ministero dell’Interno e non al giudice ordinario”. Tuttavia in quel caso era stato cassato il decreto con il quale il giudice di merito, ritenendosi incompetente, aveva dichiarato inammissibile la domanda di protezione internazionale dello straniero entrato in territorio Europeo varcando il confine della Grecia sul presupposto che essa avrebbe dovuto essere proposta non in Italia, ma in Grecia. In motivazione la pronuncia citata, al contrario, espressamente ribadisce che il provvedimento dell’amministrazione è sottoposto al controllo del giudice ordinario, peraltro in una fase, necessariamente preliminare, all’interno del procedimento di riconoscimento dello status di protezione internazionale.

3.5. Ciò premesso, la tesi dei ricorrenti non può essere condivisa.

La normativa non attribuisce rilievo alla preferenza soggettiva del richiedente ma enuncia una serie gerarchica di criteri, contenuta nel capo III.

La sentenza della Corte di Giustizia UE del 6/9/2017 (cause riunite 643/15 e 647/15) era relativa ad una decisione di ricollocazione, il cui obiettivo era quello di aiutare la Repubblica ellenica e la Repubblica italiana ad affrontare una situazione di emergenza, caratterizzata da un afflusso improvviso, nei loro rispettivi territori, di cittadini di Paesi terzi manifestamente bisognosi di protezione internazionale, alleggerendo la forte pressione gravante sui regimi di asilo di questi due Stati membri.

In tale prospettiva, la Corte di Giustizia ha ritenuto che poichè nell’ambito della procedura di ricollocazione, il richiedente viene informato del fatto che egli costituisce l’oggetto di una procedura, ma non è richiesto il suo consenso, la mancanza di possibilità per i richiedenti di scegliere lo Stato membro che sarà competente per l’esame della loro domanda giustificava il fatto che essi dovessero disporre, conformemente all’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali, di un diritto di ricorso effettivo contro la decisione di ricollocazione.

Non si può però trascurare il fatto che oggetto del giudizio era una decisione di ricollocazione proprio in deroga ai criteri del Regolamento Dublino III, e che gli stessi ricorrenti riconoscono che il preteso diritto di scelta da parte del richiedente ha natura solo di fatto, in relazione alla scelta dell’itinerario per l’arrivo in Europa, che normalmente determina il Paese di primo ingresso.

Dal diritto del richiedente di poter contestare la decisione di individuazione dello Stato preposto all’esame della domanda all’esito di una decisione di ricollocazione non può certo dedursi, contro la lettera e lo spirito del Regolamento, un vero e proprio diritto di scegliere il Paese esaminatore.

Nella specie, tale Paese è stato determinato, in base a criteri neppur specificamente contestati, nella Norvegia, Stato aderente di primo ingresso, individuato ai sensi dell’art. 18, lett. d) Regolamento.

3.6. I ricorrenti aggiungono, in secondo luogo, che l’art. 17 contiene una clausola di discrezionalità che consente allo Stato membro di esaminare comunque una domanda di protezione anche in difetto dei presupposti di competenza previsti dal Regolamento, per nulla presa in considerazione dal Tribunale veneziano.

Il comma 1 di tale articolo prevede che “In deroga all’art. 3, paragrafo 1, ciascuno Stato membro può decidere di esaminare una domanda di protezione internazionale presentata da un cittadino di un paese terzo o da un apolide, anche se tale esame non gli compete in base ai criteri stabiliti nel presente regolamento.”

E’ tuttavia evidente che la norma configura una facoltà discrezionale, in deroga ai criteri tipizzati contenuti nel Regolamento quali presupposti di univoca competenza.

Il motivo appare inammissibile.

I ricorrenti, infatti, si limitano ad affermare che il Tribunale “non ha… minimamente considerato che l’art. 17… attribuisce ampia facoltà discrezionale agli stati membri in ordine all’esame delle domande di protezione internazionale ai medesimi presentati”, non chiariscono che cosa in effetti il Tribunale avrebbe dovuto fare e non censurano specificamente il mancato esercizio di tale facoltà da parte dell’autorità amministrativa,indicando contenuto e presupposti del provvedimento a loro parere doveroso.

4. Con il terzo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 4, i ricorrenti denunciano violazione o falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 112 e 378 (rectius 738) c.p.c.

4.1. Con nota difensiva del 9/12/2017 i richiedenti avevano sollecitato l’acquisizione anche di relazioni in ordine alle condizioni dei richiedenti asilo in Norvegia e alle concrete tutele ad essi riservate, tramite il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.

Il Giudice non aveva provveduto in ordine a tale richiesta, necessaria per la comprensione della vicenda e consentita ex art. 738 c.p.c., comma 3.

4.2. L’art. 3, comma 2 Regolamento attribuisce rilievo preclusivo del trasferimento del richiedente verso lo Stato membro inizialmente designato come competente allorchè vi siano fondati motivi di ritenere che sussistono carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti in tale Stato membro, che implichino il rischio di un trattamento inumano o degradante ai sensi dell’art. 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.

Tuttavia il Tribunale ha negato rilievo alle deduzioni del ricorrente in difetto di elementi di criticità del sistema di accoglienza norvegese capaci di concretare violazione dei diritti umani del ricorrente e dei suoi familiari in pendenza della procedura di asilo, anche in fase di impugnazione dopo il rigetto della richiesta.

I ricorrenti non si confrontano con tale specifica motivazione, fondata sulla irrilevanza delle deduzioni ostative al sistema di accoglienza della Norvegia da esso proposte.

5. Con il quarto motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 4, i ricorrenti denunciano violazione o falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 112,40 ed 274 c.p.c. per la mancata adozione del provvedimento di riunione richiesto fra i due ricorsi, necessaria al fine di prevenire un contrasto di giudicati, contrasto possibile in vista della disposta sospensione dell’efficacia esecutiva del trasferimento disposta quanto alla moglie con decreto del 18/10/2017.

Tale istanza e le ragioni connesse non erano state esaminate dal Tribunale.

Il provvedimento di riunione ex art. 274 c.p.c. delle cause connesse, ha natura ordinatoria e costituisce esercizio della facoltà discrezionale affidata al giudice di merito incensurabile in Cassazione (Sez. un., 06/02/2015, n. 2245; Sez.2 10/09/1999, n. 9638). Il provvedimento di riunione di cause, che si adegua al principio dell’economia dei giudizi, costituisce espressione del potere ordinatorio del giudice che lo esercita incensurabilmente, e, pertanto, non è suscettibile di impugnazione dinanzi ad altri uffici giudiziari; conseguentemente, l’omessa riunione di procedimenti relativi alla stessa causa, che non risulta tra l’altro sanzionata da nullità, non può assolutamente essere configurata come uno dei capi della domanda sul quale manchi la decisione e per il quale può quindi configurarsi il vizio di omessa pronuncia ai sensi dell’art. 112 c.p.c. (Sez. un. 17/07/2008, n. 19693).

6. Con il quinto motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 5, i ricorrenti denunciano omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti, segnalato con nota del 18/11/2017, relativamente al ricovero di H.S. per tentato suicidio dal 26 al 29/10/2017 e successiva consulenza psichiatrica.

6.1. I ricorrenti lamentano il Tribunale non si fosse pronunciato sul rilevantissimo aspetto delle condizioni psicofisiche di H.S., nonostante che tali circostanze assumessero rilievo potenzialmente ostativo al trasferimento secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia sentenza 16/2/2017 in causa C/578/18PPU.

Si tratta del fatto segnalato con nota del 18/11/2017, relativamente al ricovero di H.S. per tentato suicidio dal 26 al 29/10/2017 e alla successiva consulenza psichiatrica.

Il timore principale della ricorrente era quello di essere rispedita in Afghanistan, via Russia, mentre era arduo sostenere che il trasferimento non avrebbe incrinato il suo fragile equilibrio psichico.

6.2. Il nuovo testo dell’art. 360, n. 5 in tema di ricorso per vizio motivazionale deve essere interpretato, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, nel senso della riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione; secondo la nuova formula, è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Sez. un., 07/04/2014, n. 8053; Sez. un., 22/09/2014, n. 19881; Sez. un., 22/06/2017, n. 15486).

Inoltre, secondo le Sezioni Unite, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

6.3. Nella fattispecie l’omesso esame denunciato non sussiste affatto, nel provvedimento emesso con riferimento alla specifica posizione di H.S., perchè la circostanza della sofferenza psichica dedotta è stata puntualmente esaminata e ritenuta irrilevante dal Tribunale, nella prospettiva del trasferimento in Norvegia, perchè collegata ad una circostanza (l’impossibilità di avere figli), del tutto indifferente rispetto al Paese di esame, o perchè determinata dal timore del rientro in Afghanistan, ancora una volta prospettiva del tutto estranea ai temi della competenza a provvedere sulla richiesta.

6.4. E’ pur vero che il provvedimento reso con riferimento alla posizione specifica di M.S., a differenza di quello reso con riferimento al ricorso della moglie H.S., non affronta specificamente l’argomento; tuttavia la circostanza del tentato suicidio della moglie del ricorrente non possiede certamente il necessario carattere decisivo, una volta che sia definitivamente respinto, in questa sede e in sede di esame congiunto dei ricorsi riuniti, il ricorso della stessa avverso il proprio trasferimento anche con riferimento alla stessa specifica censura mossa anche dall’interessata.

7. I ricorsi riuniti debbono essere quindi rigettati e la ricorrente H.S. deve essere condannata a pagare al contro ricorrente, costituto nel suo ricorso, le spese di lite, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta i ricorsi e condanna la ricorrente H.S. a pagare al controricorrente le spese di lite, liquidate in Euro 2.100,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 8 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 settembre 2019

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