LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –
Dott. MELONI Marina – Consigliere –
Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 20467/2015 proposto da:
A.P., elettivamente domiciliato in Roma Via Della Conciliazione 34 presso lo Studio Legale Avv. Mondello unitamente all’Avvocato Armenio Angelo che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
Banca Popolare Sant’Angelo Scpa, domiciliata in Roma, P.zza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’Avvocato Peritore Giuseppe;
– controricorrente incidentale –
contro
A.P.;
– intimato –
avverso la sentenza n. 1527/2014 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 26/09/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/05/2019 da Dott. TRICOMI LAURA.
RITENUTO
CHE:
A.P. citava in giudizio la Banca Popolare S. Angelo, con la quale dichiarava di aver sottoscritto nel 1984 un contratto di conto corrente con apertura di credito ed esponeva che nel dicembre 2001 la Banca gli aveva comunicato la revoca dell’affidamento e dell’autorizzazione ad emettere assegni sul predetto conto corrente, a seguito del riscontro di una gestione anomala del fido, e lo aveva diffidato al versamento di quanto dovuto a quella data. Al fine di chiudere il conto corrente, che nel frattempo aveva raggiunto un saldo debitorio di Euro 125.823,91, le parti avevano concordato un piano di rientro, stipulando un contratto di mutuo/finanziamento dell’importo di Euro 144.085,48.
In giudizio A. deduceva che nel corso del rapporto la Banca aveva posto in essere pratiche illegittime, ed in particolare l’applicazione di un tasso di interesse in misura superiore a quella legale, determinato sulla base dei cc.dd. usi di piazza, la capitalizzazione trimestrale degli interessi e l’addebito trimestrale di una commissione di massimo scoperto, il tutto in assenza di specifica pattuizione. Pertanto, il cliente chiedeva al Tribunale il ricalcolo delle poste del conto corrente e, di conseguenza, che fosse dichiarato nullo il contratto di mutuo per illiceità della causa.
La Banca controdeduceva, assumendo che la misura degli interessi e della commissione di massimo scoperto era stata espressamente pattuita con il cliente, che le variazioni periodiche erano state comunicate al cliente unitamente agli estratti conto trimestrali, che la capitalizzazione trimestrale era legittima chiedendo in subordine la capitalizzazione semestrale – e che la domanda di ripetizione formulata dal cliente era inammissibile, dal momento che il pagamento degli interessi costituiva adempimento di un’obbligazione naturale.
Veniva espletata CTU ed il Tribunale, all’esito, dichiarava non dovuta da parte dell’attore la somma di Euro 24.542,74 e condannava la Banca al pagamento di detto importo, rigettando le ulteriori domande.
A seguito di gravame, la Corte d’Appello ha confermato la sentenza impugnata, rigettando tanto l’appello principale di A. quanto l’appello incidentale della banca.
Per quanto interessa nel presente giudizio, quanto al primo, la Corte ha ritenuto infondato il motivo relativo alla pretesa nullità del contratto di mutuo in considerazione della persistenza della situazione di passività del conto corrente, giacchè il Tribunale aveva correttamente accertato la non debenza della sola somma di Euro 24.542,74, derivante dalla capitalizzazione trimestrale degli interessi e dall’applicazione della c.m.s.
Quanto, invece, all’appello incidentale della Banca, la Corte d’Appello ha affermato che, non essendo stata fornita alcuna prova circa l’avvenuta pattuizione di un tasso convenzionale degli interessi passivi – dal momento che non era stato prodotto l’originario contratto di conto corrente, ma soltanto un successivo contratto risalente al 1987 – il CTU aveva correttamente determinato il tasso debitore sulla base della media annua dei tassi applicati dalla banca.
A. propone ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo. La banca replica con controricorso e ricorso incidentale fondato su un motivo.
CONSIDERATO
CHE:
1. Preliminarmente va esaminata e respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto di procura speciale. Invero la procura si riscontra in atti e, essendo apposta di seguito al ricorso per cassazione, indubitabilmente si riferisce a detto atto.
Va altresì respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso che appare sufficientemente specifico in merito al motivo dedotto ed indica con chiarezza i documenti e gli atti sui quali esso è fondato.
2. Con l’unico motivo del ricorso principale si denuncia la nullità della sentenza per mancanza della motivazione sulla legittimità del contratto di mutuo (violazione dell’art. 111 Cost., comma 4, e dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4)).
Il ricorrente principale deduce la nullità della sentenza per mancanza di motivazione relativamente alla statuizione concernente la legittimità del contratto di finanziamento, stipulato per ripianare la posizione debitoria del cliente, contestando la mancata indicazione del ragionamento logico-giuridico in virtù del quale la Corte d’Appello ha, in particolare, ritenuto legittima la passività risultante alla data di chiusura del conto corrente, fatta eccezione per la somma di Euro 24.542,74, parimenti a quanto accertato in primo grado.
Di contro, afferma il ricorrente, in assenza di pratiche illegittime della Banca, il conto si sarebbe chiuso con un saldo a credito del ricorrente medesimo pari ad Euro 13.547,21, come emerso anche dalla relazione di CTU: pertanto, essendo l’intera passività illegittima, il contratto di finanziamento concluso per il ripianamento della stessa avrebbe dovuto essere dichiarato invalido.
Il motivo è inammissibile.
Il ricorrente, invero, non si confronta con la statuizione che esplicita con sufficiente chiarezza la motivazione adottata a conferma della decisione di primo grado, in merito alla legittimità del contratto di mutuo, in ragione della persistenza di una debitoria dell’ A. nei confronti della banca, conseguente al (solo) parziale accoglimento delle doglianze relativamente all’illegittimità delle pretese della banca: risulta infatti essere stata esclusa – senza che sul punto si ravvisi ricorso per cassazione – la fondatezza della domanda concernete l’illegittimità degli interessi applicati per la genericità della contestazione formulata dal cliente, domanda il cui accoglimento avrebbe potuto modificare la determinazione dell’importo riconosciuto a favore dell’ A..
3. Con l’unico motivo del ricorso incidentale la banca lamenta la violazione/falsa applicazione dell’art. 184 c.p.c. (all’epoca vigente) e degli artt. 1284,1346 e 1825 c.c.
La Banca contesta la decisione d’appello nella parte in cui, confermando la decisione del Tribunale, statuisce l’impossibilità di applicare i tassi di interesse convenuti nel contratto di conto corrente, ai sensi dell’art. 1284 c.c., comma 3, non essendo stato prodotto l’originario contratto. Invero, così afferma la Banca, il contratto di conto corrente sottoscritto nel 1984 era stato depositato nelle more del giudizio di primo grado con nota istruttoria in memoria presentata ex art. 184 c.p.c. (sulla base del rito vigente all’epoca del giudizio) e conteneva una valida pattuizione del tasso di interessi in misura superiore a quella legale e la concordata previsione della possibilità di variare la misura degli interessi tanto in melius quanto in peius.
Il motivo è inammissibile.
La censura, proposta come violazione dell’art. 184 c.p.c., si manifesta inammissibile in applicazione del principio secondo il quale “Il vizio di omesso esame di un documento decisivo non è deducibile in cassazione se il giudice di merito ha accertato che quel documento non è stato prodotto in giudizio, non essendo configurabile un difetto di attività del giudice circa l’efficacia determinante, ai fini della decisione della causa, di un documento non portato alla cognizione del giudice stesso. Se la parte assume, invece, che il giudice abbia errato nel ritenere non prodotto in giudizio il documento decisivo, può far valere tale preteso errore soltanto in sede di revocazione, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, sempre che ne ricorrano le condizioni.” (Cass. n. 15043 del 11/06/2018, Cass. n. 20240 del 09/10/2015; Cass. n. 12904 del 01/06/2007) e proprio in quest’ultimo senso è sviluppata la doglianza.
4. In conclusione il ricorso principale ed il ricorso incidentale vanno dichiarati inammissibili.
Le spese del giudizio di legittimità si compensano.
Si dà atto – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
P.Q.M.
– Dichiara inammissibili il ricorso principale ed il ricorso incidentale;
– Compensa le spese del giudizio di legittimità tra le parti;
– Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 10 maggio 2019.
Depositato in Cancelleria il 26 settembre 2019
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