Corte di Cassazione, sez. I Civile, Sentenza n.24062 del 26/09/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25095/2015 proposto da:

M.A., + ALTRI OMESSI nella qualità di eredi M.G.

(deceduto), elettivamente domiciliati in Roma Via Nicastro 3 presso Valerio Grossu e rappresentati e difesi dall’avvocato Lucio Rodolfo Crisci e dall’avvocato Fabrizio Crisci, in forza di procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

Associazione Comunità Cristiana Evangelica, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma V.le dei Parioli, 76 presso l’avvocato Alfredo Del Vecchio – Studio Liberati e D’Amore – e rappresentata e difesa dall’avvocato Francesco Del Vecchio in forza di procura speciale su foglio allegato in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3391/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 25/07/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/07/2019 dal Consigliere UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE SCOTTI;

udito l’Avvocato Fabrizio Crisci;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale DE RENZIS LUISA che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione notificato il 9/12/2004 M.V. e G., proprietari di un terreno sito in *****, censito in catasto al foglio *****, part. ***** di m.q. *****, hanno convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Benevento l’Associazione Comunità Cristiano Evangelica, esponendo che tale terreno non era vincolato, nè preordinato a utilizzazione pubblica e che l’Associazione convenuta, in persona del Presidente S.C., l’aveva occupato per realizzare una chiesa e degli appartamenti, in virtù del decreto di occupazione del 19/11/1993 del Commissario Prefettizio del Comune di Benevento; assumendo l’illegittimità degli atti amministrativi, gli attori hanno chiesto la condanna della convenuta alla restituzione del terreno e al risarcimento dei danni, ovvero, in caso di irreversibile trasformazione del suolo, al risarcimento del danno complessivamente provocato.

L’Associazione Comunità Cristiano Evangelica si è costituita in giudizio, sostenendo la legittimità degli atti amministrativi, eccependo l’incompetenza del Tribunale e chiedendo dichiararsi inammissibile o infondata l’avversaria domanda.

Gli attori hanno replicato, sottolineando la mancanza di dichiarazione di pubblica utilità e affermando l’inefficacia del decreto di occupazione perchè non eseguito nel termine di tre mesi.

Espletata consulenza tecnica d’ufficio, il Tribunale, con sentenza del 20/9/2007, ritenuta la configurabilità di una occupazione acquisitiva perchè il procedimento espropriativo, pur non portato a compimento, era giustificato dalla dichiarazione di pubblica utilità dell’opera, ha condannato l’Associazione Comunità Cristiano Evangelica al risarcimento dei danni in favore degli attori, liquidati in Euro 59.549,22, oltre interessi e rivalutazione, ponendo a carico della convenuta i 2/3 delle spese di lite.

2. L’Associazione Comunità Cristiano Evangelica ha proposto appello contro la sentenza di primo grado, a cui hanno resistito gli appellati, proponendo appello incidentale per ottenere la restituzione del suolo e il risarcimento di danni maggiori Esperito supplemento di consulenza tecnica, la Corte di appello di Napoli con sentenza del 25/7/2014, in parziale accoglimento dell’appello principale e in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha ridotto l’importo risarcitorio a Euro 52.705,83, oltre rivalutazione e interessi, respingendo l’appello incidentale, condannando l’Associazione Comunità Cristiano Evangelica alla rifusione agli attori dei 2/3 delle spese del doppio grado di giudizio e ponendo a cario della convenuta appellante le spese di c.t.u..

3. Avverso la predetta sentenza del 25/7/2014, con atto notificato il 24/10/2015, hanno proposto ricorso per cassazione M.V. e – quest’ultimi in qualità di eredi del deceduto M.G. – A., + ALTRI OMESSI, svolgendo cinque motivi.

3.1. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 5 e 3, i ricorrenti denunciano omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti, e violazione della L. n. 167 del 1962, art. 10 nonchè dell’art. 1418 c.c. e della L. n. 865 del 1971, art. 35 poichè l’Associazione Comunità Cristiano Evangelica difettava dei requisiti soggettivi e oggettivi richiesti dalla legge e il Comune al momento della stipula della convenzione non era proprietario in virtù di procedimento ablativo del bene concesso in diritto di superficie.

3.2. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, i ricorrenti denunciano violazione o falsa applicazione di legge in relazione alla L. n. 167 del 1962, art. 8, comma 6 e art. 9 e della L. n. 865 del 1971, artt. 38,50 e 51 per avere la Corte di appello equiparato la Delib. Giunta Municipale a quella del Consiglio comunale.

3.3. Con il terzo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, i ricorrenti denunciano vizio di omessa e violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 4, avendo la Corte di appello omesso di motivare le ragioni per ravvisare nella approvazione del Piano di Zona la dichiarazione di pubblica utilità.

3.4. Con il quarto motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, i ricorrenti denunciano violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’art. 112 c.p.c., art. 1, Prot. Addizionale CEDU, agli artt. 10 e 42 Cost. e art. 936 c.c., lamentando applicazione del principio dell’accessione invertita in luogo della necessaria restituzione del bene occupato.

3.5. Con il quinto motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 4, i ricorrenti denunciano violazione degli artt. 342 e 112 c.p.c. per aver la Corte territoriale ritenuto ammissibile l’appello principale.

3.6. Con atto notificato il 1/12/2015 ha proposto controricorso l’Associazione Comunità Cristiano Evangelica, chiedendo la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto dell’avversaria impugnazione e eccependo preliminarmente la tardività dell’avversaria impugnazione.

3.7. I ricorrenti hanno depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. L’eccezione preliminare sollevata dalla controricorrente è fondata e va accolta.

1.1.La sentenza impugnata è stata pubblicata il 25/7/2014.

Il termine ex art. 327 c.p.c. per proporre impugnazione era annuale, dovendosi far riferimento al testo previgente alle modifiche apportate dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 46, comma 17; scadeva pertanto il 25/7/2015.

1.2. Per l’anno 2014 doveva essere considerato il periodo di sospensione feriale di giorni 46 (1/8/2014-15/9/2014) ai sensi della L. n. 742 del 1969, ante modifiche apportate dal D.L. 12 settembre 2014, n. 132, convertito con modificazioni dalla L. 10 novembre 2014, n. 162.

Per effetto della predetta sospensione il termine per impugnare slittava al 9/9/2015, dovendo ancora scontare una seconda sospensione feriale per il 2015, che, peraltro, nel rispetto della nuova disciplina, sopra ricordata e introdotta nel 2014, era di soli 31 giorni dal 1 al 31 agosto 2015.

1.3. Al proposito non può essere condivisa la tesi propugnata dai ricorrenti con la memoria illustrativa, secondo cui la riforma non si applicherebbe ai termini processuali che avessero già preso a decorrere in precedenza.

Questa Corte ha ripetutamente affermato che ai fini della determinazione della sospensione dei termini processuali nel periodo feriale, nella specie, per il computo del termine di impugnazione cd. lungo, ex art. 327 c.p.c., comma 1, la modifica di cui al D.L. n. 132 del 2014, art. 16, comma 1, (conv., con modif., dalla L. n. 162 del 2014), che, sostituendo la L. n. 742 del 1969, art. 1 ha ridotto il periodo di sospensione da 46 giorni a 31 giorni (dall’1 al 31 agosto di ciascun anno), trova applicazione, in mancanza di una disciplina transitoria, a partire dalla sospensione dei termini relativa al periodo feriale dell’anno solare 2015, non rilevando, a tal fine, la data dell’impugnazione o quella di pubblicazione della sentenza (Sez. 6 – 3, n. 20866 del 06/09/2017, Rv. 645365-01; Sez. 6 – 2, n. 11758 del 11/05/2017, Rv. 644185 – 01; Sez. 6 – 3, n. 27338 del 29/12/2016, Rv. 642323 – 01; Sez. 6 – 5, n. 24867 del 05/12/2016, Rv. 641763 – 01).

Appare inoltre fuor di luogo, in relazione alla presente fattispecie, richiamare il principio di immodificabilità in peius di un termine per impugnare che abbia già iniziato a decorrere (perlomeno laddove ciò comporti una intollerabile compressione del diritto di difesa), poichè nel caso in esame nessuna modifica riduttiva ha inciso sulla durata del termine e la novità legislativa ha riguardato solamente l’entità del periodo di sospensione che non era iniziato quando è entrata in vigore la nuova disciplina introdotta dal D.L. n. 132 e dalla L. n. 162 del 2014.

Non pertinente appare pure il richiamo della decisione di questa Corte, Sez. 6 – 1, n. 16420 del 21/06/2018, Rv. 649789 01, comunque attinente a diversa fattispecie, perchè l’inapplicabilità in quel caso affermata della sospensione feriale dei termini, disposta dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 14, per le controversie in materia di protezione internazionale non opera in relazione ai ricorsi proposti avverso le decisioni delle Commissioni territoriali depositate in data anteriore al 17.8.2017, in considerazione dell’esistenza di una specifica disposizione transitoria che differiva la vigenza della nuova disciplina legislativa processuale.

1.4. Il termine per impugnare la sentenza in questione scadeva quindi il 10/10/2015.

Il ricorso notificato il 24/10/2015 deve quindi essere considerato inammissibile per tardività.

2. Le spese processuali debbono essere poste a carico dei ricorrenti soccombenti, liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese in favore del controricorrente, liquidate nella somma di Euro 2.500,00 per compensi, Euro 200,00 per esposti, 15% rimborso spese generali, oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione civile, il 9 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 settembre 2019

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