Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.24076 del 26/09/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 17540/2015 R.G. proposto da:

A.F., rappresentato e difeso da sè medesimo, con domicilio eletto in Roma, via delle Acacie c/o Centro Caf presso lo studio dell’Avv. Giancarlo Di Genio;

– ricorrente –

contro

PROCURA GENERALE DELLA REPUBBLICA presso la Suprema Corte di Cassazione e MINISTERO DELLA GIUSTIZIA;

– intimati –

avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale di Salerno n. 7662/14, depositata il 9 giugno 2015.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio dell’8 febbraio 2019 dal Consigliere Dott. Milena Falaschi.

OSSERVA IN FATTO E IN DIRITTO Ritenuto che:

– con Delib. 21 marzo 2011, il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Salerno ammetteva P.R. al beneficio del patrocinio a spese dello Stato, indicando come suo difensore il ricorrente Avv. A.F. del foro di Salerno;

il Tribunale di Salerno, con sentenza n. 7662/14, accoglieva la domanda attorea e per l’effetto, l’avvocato A., in qualità di avvocato d’ufficio, chiedeva con apposita istanza la liquidazione del proprio compenso, che veniva con decreto accolta dal giudice del lavoro adito, liquidata la somma complessiva di Euro 2.000,00, oltre accessori di legge, importo ridotto ad Euro 1.125,00, a seguito di opposizione proposta dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Salerno, ritenendo la controversia di valore indeterminabile, per cui trovava applicazione lo scaglione da Euro 5.200,01 fino a Euro 26.000,00, e tenuto conto dell’oggetto e della non particolare complessità dello stesso;

– per la cassazione dell’ordinanza del Tribunale di Salerno ricorre l’avv. A.F. sulla base di due motivi;

– sono rimasti intimati la Procura della Repubblica presso la Corte di Cassazione e il Ministero della giustizia;

– in prossimità dell’adunanza camerale il ricorrente ha anche presentato memoria illustrativa.

Atteso che:

– con il primo motivo il ricorrente denuncia, ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. e del D.M. Giustizia n. 55 del 2014, in relazione agli artt. 2, 4 e 5 e dei parametri di cui alla tabella 4 colonna 4 allegati al detto decreto, per aver il Tribunale accordato somme inferiori al minimo previsto dalla tariffa forense, avendo errato nell’applicare il terzo scaglione per controversia di valore indeterminabile, dal momento che ricadrebbe nel quarto scaglione.

La censura è fondata.

Va preliminarmente chiarito che il D.M. 10 marzo 2014, n. 55, rubricato “Regolamento recante la determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense ai sensi della L. 31 dicembre 2012, n. 247, art. 13, comma 6”, è stato introdotto in un assetto ordinamentale che già contemplava l’abrogazione delle tariffe delle professioni regolamentate nel sistema ordinistico (D.L. n. 1 del 2012, art. 9, convertito, con modificazione, dalla L. n. 27 del 2012), e disciplina i “parametri” dei compensi all’avvocato per la prestazione professionale resa (per quanto interessa ai fini della presente decisione) in ambito giudiziale. Tali “parametri”, indicati dal comma 1 dell’art. 4 del citato D.M., operano come fattori di concretizzazione della liquidazione del compenso professionale, che muove da valori medi (indicati nella tabelle allegata allo stesso D.M. n. 55 del 2014) su cui poter effettuare, poi, aumenti e diminuzioni secondo determinate percentuali (aumento fino all’80 per cento, diminuzione fino al 50 per cento; per la fase istruttoria, l’aumento è possibile fino al 100 per cento e la diminuzione fino al 70 per cento). Quindi, non sussistendo più il vincolo legale della inderogabilità dei minimi tariffari presente nel previgente sistema di liquidazione dei onorari professionali (L. n. 794 del 1942, art. 24; cfr. anche Cass. n. 18167 del 2015, sebbene in riferimento al precedente D.M. n. 140 del 2012), i parametri di determinazione del compenso per la prestazione defensionale in giudizio e le stesse soglie numeriche di riferimento previste dal D.M. n. 55 del 2014, con i relativi aumenti e diminuzioni, costituiscono criteri di orientamento della liquidazione del compenso, individuando, al contempo, la misura economica standard (quella media) del valore della prestazione professionale. Sicchè, solo in caso di scostamento apprezzabile dai valori medi della tabella allegata al D.M. n. 55 del 2014, il giudice è tenuto ad indicare i parametri che hanno guidato la liquidazione del compenso; scostamento che può anche superare i valori massimi o minimi determinati in forza delle percentuali di aumento o diminuzione, ma in quest’ultimo caso resta fermo il limite di cui all’art. 2233 c.c. comma 2, che preclude di liquidare, al netto degli esborsi, somme praticamente simboliche, non consone al decoro della professione (in tale prospettiva, cfr. Cass. n. 25804 del 2015; Cass. n. 24492 del 2016 e Cass. n. 20790 del 2017).

Con la conseguenza che avverso la liquidazione dei compensi potrà denunciarsi in sede di legittimità la nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in quanto resa in base a motivazione solo apparente o, comunque, in violazione del c.d. minimo costituzionale della motivazione (Cass., Sez. Un., n. 8053 del 2014; Cass. n. 20648 del 2015; Cass. n. 7402 del 2017) ovvero per error in iudicando, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in ipotesi di violazione del limite di cui al citato art. 2233 c.c., comma 2.

Nella specie, le censure del ricorrente sono orientate a far valere i vizi anzidetti, in particolare l’erroneità del parametro di riferimento utilizzato dal giudice del reclamo. Pacifico che la causa patrocinata dall’ A. a tutela delle ragioni di P.R. era di valore indeterminabile, il giudice nella liquidazione avrebbe dovuto fare applicazione del principio enunciato dal D.M. n. 55 del 2014, art. 5, comma 6, ai sensi del quale: “Le cause di valore indeterminabile si considerano di regola e a questi fini di valore non inferiore a Euro 26.000,00 e non superiore a Euro 260.000,00, tenuto conto dell’oggetto e della complessità della controversia.”

Il giudice di merito, quindi, pur valutando in modo discrezionale l’oggetto e la complessità della controversia, avrebbe dovuto fare applicazione del relativo scaglione ai fini della liquidazione del compenso, mentre ha scientemente utilizzato quello di riferimento per le cause con valore determinato da Euro 5.200,01 a Euro 26.000,00, come sopra esposto, e ciò costituisce sicura violazione di legge per motivazione apparente.

Il motivo va, pertanto, accolto;

– con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), in relazione al D.P.R. n. 115 del 2000, art. 74, comma 1, art. 75, comma 1 ed art. 82, per avere il Tribunale errato nel non riconoscere come compensabili le attività relative alla redazione e deposito dell’istanza di ammissione al beneficio del “patrocinio a spese dello Stato”, nonchè alla redazione e deposito della istanza di liquidazione in quanto non “giudiziali”.

La seconda censura è infondata.

Infatti, correttamente il giudice a quo ha ritenuto che il difensore della parte ammessa al patrocinio dei non abbienti non ha diritto al compenso relativo anche all’attività di redazione dell’istanza di ammissione al suddetto patrocinio e dell’istanza di liquidazione dei propri onorari, trattandosi di attività che non esprime l’esercizio della difesa del non abbiente nel processo (cfr. Cass., Sez. IV pen., 16 gennaio 2007-22 febbraio 2007, n. 7290; Cass., Sez. II civ., 30 giugno 2017 n. 16308);

– conclusivamente, va accolto il primo motivo di ricorso, respinto il secondo;

– non apparendo necessario compiere ulteriori accertamenti, la causa può essere decisa nel merito e applicando lo scaglione delle cause di lavoro di valore indeterminabile nei valori minimi, il compenso dell’avvocato A. per l’attività professionale espletata viene determinato nella complessiva somma di Euro 2.565,50 (così composta: Euro 772,50 per la fase di studio, ridotto al 50% il valore medio; Euro 370,00 per la fase introduttiva del giudizio, ridotto al 50% il valore medio; Euro 558,00 per la fase istruttoria, ridotto fino al 70% il valore medio; Euro 770,00 per la fase decisionale, ridotto al 50% il valore medio), in ordine alla quale va operata la ulteriore riduzione alla metà D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 130, così per complessivi Euro 1.482,75;

– quanto alle spese processuali, il Collegio ritiene che sia quelle del giudizio di merito che quelle del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, debbano essere compensate per la metà, in considerazione dell’esito complessivo del giudizio che ha visto accolte solo in parte le ragioni del ricorrente, mentre per la restante quota del 50% vanno poste a carico dell’Amministrazione.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il primo motivo di ricorso, rigettato il secondo; cassa l’ordinanza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, liquida in favore dell’avvocato A.F. la somma di Euro 1.482,75, oltre a spese generali e ad accessori di legge, ponendola a carico dell’Erario;

compensa per la metà le spese processuali di merito e quelle di legittimità, ponendo la restante parte, pari al 50%, a carico del Ministero della giustizia che condanna al rimborso in favore del ricorrente, liquidate, per detta quota, in Euro 150,00, oltre a spese generali e ad accessori di legge, per il merito e in Euro 350,00 quelle di legittimità, di cui Euro 50,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte di Cassazione, il 8 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 settembre 2019

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