LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –
Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –
Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –
Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –
Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso n. 6501/2015 R.G. proposto da:
M.L.M.V., c.f. ***** (erede di O.A.), elettivamente domiciliata in Roma, al Lungotevere dei Mellini, n. 24, presso lo studio dell’avvocato Alessandro Nicoletti che la rappresenta e difende in virtù di procura speciale in calce al ricorso.
– ricorrente –
contro
A.D.R.C.N., c.f. *****, elettivamente domiciliato in Roma, alla via Silvio Pellico, n. 24, presso lo studio dell’avvocato Stefano Bona che lo rappresenta e difende in virtù di procura speciale a margine del controricorso.
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 285 del 15.1.2014 della corte d’appello di Roma;
udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica del 13 febbraio 2019 dal Consigliere Dott. Luigi Abete;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MISTRI Corrado, che ha concluso per la declaratoria di inammissibilità, in subordine per il rigetto del ricorso, udito l’avvocato Alessandro Nicoletti per la ricorrente;
udito l’avvocato Giuseppe Valvo, per delega dell’avvocato Stefano Bona, per il contro ricorrente.
FATTI DI CAUSA
Con ricorso al tribunale di Roma l’architetto A.D.R.C.N. esponeva che era stato incaricato da O.A., proprietaria di terreni in *****, ai fini, tra l’altro, della predisposizione di un piano integrato con progettazione di edifici da realizzare sui medesimi terreni; che la committente non gli aveva corrisposto il compenso dovuto.
Chiedeva ingiungersi a controparte il pagamento della somma di Euro 122.489,51, oltre interessi e spese di procedura monitoria.
Con decreto n. 10918/2001 l’adito tribunale pronunciava l’ingiunzione.
Con atto ritualmente notificato O.A. proponeva opposizione. Esponeva che mai aveva conferito all’architetto A.D.R. l’incarico asseritamente non remunerato.
Esponeva che aveva incaricato l’opposto unicamente ai fini dello svolgimento delle attività necessarie per l’inserimento dei terreni con destinazione edificatoria residenziale nella variante al piano regolatore generale del Comune di Ladispoli; che del resto l’articolato e perdurante contenzioso amministrativo insorto, a decorrere dal 1991, con il Comune con riferimento alla destinazione urbanistica dei terreni di sua proprietà non lasciava spazio per iniziative volte alla relativa edificazione.
Esponeva che l’architetto era stato in ogni caso remunerato, nel 1994, con versamento, a saldo di ogni suo “avere”, dell’importo di lire 15.000.000.
Chiedeva revocarsi l’opposta ingiunzione.
Si costituiva A.D.R.C.N..
Instava per il rigetto dell’avversa opposizione.
Riassunto il giudizio a seguito della morte di O.A., si costituivano i suoi eredi, M.L.A., L. e M.V..
Assunta la prova per testimoni, espletata la c.t.u., con sentenza n. 15887/2007 il tribunale di Roma revocava l’ingiunzione ed, in parziale accoglimento dell’opposizione, condannava M.L.A., L. e M.V., nei limiti delle rispettive quote ereditarie, a pagare all’opposto la somma di Euro 90.103,80, oltre accessori ed interessi.
Proponevano appello M.L.A., L. e M.V..
Resisteva A.D.R.C.N.; proponeva appello incidentale.
Con sentenza n. 285 del 15.1.2014 la corte d’appello di Roma rigettava il gravame principale, rigettava il gravame incidentale e condannava i principali appellanti a rimborsare a controparte le spese di lite.
Evidenziava la corte che, così come aveva correttamente rilevato il tribunale alla stregua della documentazione allegata e delle dichiarazioni rese dai testimoni escussi, la variante al p.r.g. adottata dal commissario prefettizio con atto in data 14.6.1991 era stata sì revocata dalla giunta comunale di Ladispoli in data 29.6.1991 e tuttavia tal ultima Delibera era stata a sua volta annullata con sentenza n. 44/1994, passata in giudicato, del t.a.r. del Lazio.
Evidenziava dunque che i terreni di proprietà della O. erano divenuti definitivamente “lottizzabili”, sicchè vi era ragione per ritenere sussistenti e l’interesse alla progettazione edilizia e l’utilità dell’incarico conferito all’appellato.
Evidenziava altresì che la prospettazione degli appellanti principali circa l’attività di “consulenza” svolta dall’architetto A.D.R. risultava del tutto generica e comunque priva di riscontro probatorio; che la missiva in data 23.12.1997, con cui O.A. aveva richiesto all’architetto “riferimenti in ordine alle sue competenze professionali”, valeva a dimostrare la consapevolezza della committente circa l’ulteriore credito del professionista.
Evidenziava infine che l’assunto degli eredi O., secondo cui ricevuto il pagamento della somma di Lire 15.000.000, l’architetto A.D.R. aveva collaborato unicamente con i legali della loro dante causa, rinveniva recisa smentita alla luce delle dichiarazioni rese dal teste S.F., all’epoca consulente per l’urbanistica del Comune di Ladispoli, e dal teste R.L.; che in particolare non vi era motivo per dubitare dell’attendibilità di tal ultimo teste.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso M.L.M.V. (quale erede di O.A.); ne ha chiesto sulla scorta di due motivi la cassazione con ogni susseguente pronuncia anche in ordine alle spese.
A.D.R.C.N. ha depositato controricorso; ha chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione della L. n. 1150 del 1942, artt. 8,9,10 e 28; ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio.
Deduce che sia alla stregua della disciplina di cui alla legge urbanistica del 1942 sia alla stregua della documentazione acquisita agli atti ha errato la corte di merito a ritenere che l’annullamento, a seguito e per effetto della sentenza del t.a.r. del Lazio n. 44/1994, della Delib. Giunta Comunale di Ladispoli 29 giugno 1991, sia valso a rendere definitivamente “lottizzabili” i terreni di proprietà O..
Deduce che la sentenza del t.a.r. del Lazio ha fatto sì, unicamente, che la variante al p.r.g. adottata dal commissario prefettizio il 14.6.1991 assurgesse a primo atto di un lungo e complesso iter amministrativo; che d’altronde a distanza di nove anni dalla adozione della variante al p.r.g. assunta dal commissario prefettizio e di sei anni dalla sentenza n. 44/1994 la variante permaneva in uno stato “embrionale”.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione degli artt. 1175,2225 e 2233 c.c.; ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio.
Deduce che la progettazione di edifici da realizzare sui terreni di proprietà O. non solo non è mai stata commissionata all’architetto A.D.R., ma giammai avrebbe potuto rivestire alcuna utilità, atteso che ancora nell’anno 2000 l’iter amministrativo era al primo stadio.
Deduce che la redazione di un progetto in concreto irrealizzabile non dà diritto a compenso; che controparte, in ossequio alle regole della correttezza, avrebbe dovuto limitarsi ad espletare unicamente le attività utili e necessarie.
Non ha valenza alcuna – si premette – la circostanza per cui ad M.L.A. e a L., già appellanti unitamente a M.L.M.V., non risulta notificato il ricorso a questa Corte di legittimità.
Difatti questa Corte spiega che, in caso di successione mortis causa di una pluralità di eredi nel lato passivo del rapporto obbligatorio, il debito del de cuius si fraziona pro quota tra gli aventi causa, sicchè il rapporto che ne deriva non è unico e inscindibile e, in caso di giudizio instaurato per il pagamento del debito ereditario, non sussiste, neppure sotto il profilo della dipendenza di cause, litisconsorzio necessario tra gli eredi del defunto, nè in primo grado, nè nella fase di gravame (cfr. Cass. 29.4.2016, n. 8487; Cass. 27.1.1998, n. 785).
I motivi di ricorso sono connessi; se ne giustifica perciò la disamina contestuale; i medesimi motivi comunque sono destituiti di fondamento.
Si rimarca previamente che i motivi di ricorso si qualificano in via esclusiva in relazione alla previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Invero, per un verso, la disciplina di cui alla legge “urbanistica” è rimasta, al più, “sullo sfondo” della valutazione “in fatto” operata dalla corte capitolina, sicchè non ha una precipua valenza che “fossero necessarie ulteriori attività e/o provvedimenti amministrativi” (così controricorso, pag. 12).
Invero, per altro verso, con entrambi i mezzi di impugnazione la ricorrente sostanzialmente censura il giudizio “di fatto” cui la corte di Roma ha atteso ai fini del riscontro dell’an del dedotto contratto d’opera intellettuale (“(…) non avendo l’architetto prodotto alcuna prova dell’affidamento dell’incarico (…), la sussistenza dello stesso è stata ricavata solo in via presuntiva (…)”: così memoria del ricorrente, pag. 5; “(…) nessun interesse poteva avere la presunta committente O. ad affidare al professionista un incarico per la redazione (…)”: così memoria del ricorrente, pag. 8. Dunque si condividono i rilievi del contro ricorrente secondo cui “il motivo di ricorso (…) ha per oggetto, nella sostanza, non la violazione di un principio di diritto ma la ricostruzione dei fatti di causa” (così controricorso, pag. 11) e secondo cui “anche il secondo motivo di ricorso (…) contesta le motivazioni con le quali la Corte di Appello ha ritenuto che fosse emersa la prova dell’incarico professionale (così controricorso, pag. 13)). Del resto è propriamente il motivo di ricorso ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che concerne l’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia (cfr. Cass. sez. un. 25.11.2008, n. 28054; cfr. Cass. 11.8.2004, n. 15499).
Su tale scorta gli asseriti vizi motivazionali che i motivi di ricorso veicolano, sono evidentemente da vagliare nei limiti della novella formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e nel solco dell’insegnamento n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite di questa Corte.
Ed in quest’ottica si osserva quanto segue.
Da un canto, è da escludere recisamente che taluna delle figure di “anomalia motivazionale” destinate ad acquisire significato alla stregua della pronuncia a sezioni unite testè menzionata, possa scorgersi in relazione alle motivazioni cui la corte distrettuale ha ancorato il suo dictum.
In particolare, con riferimento al paradigma della motivazione “apparente” – che ricorre allorquando il giudice di merito non procede ad una approfondita disamina logico – giuridica, tale da lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito (cfr. Cass. 21.7.2006, n. 16672) – la corte territoriale ha – siccome si è in precedenza evidenziato – compiutamente ed intellegibilmente esplicitato il proprio iter argomentativo.
D’altro canto, la corte di Roma ha sicuramente disaminato il fatto decisivo caratterizzante la res litigiosa, ossia l’an del dedotto rapporto d’opera intellettuale.
In ogni caso l’iter motivazionale che sorregge il dictum del secondo giudice risulta in toto ineccepibile sul piano della correttezza giuridica ed assolutamente congruo e esaustivo sul piano logico – formale.
Si tenga conto che la ricorrente censura l’asserita distorta ed erronea valutazione delle risultanze di causa (“la Corte (…) non ha neppure letto i documenti, (…) perchè se li avesse anche solo letti, si sarebbe resa conto immediatamente che l’equazione posta invece a base della decisione (…)”: così ricorso, pag. 20; “(…) l’attività professionale venne in realtà svolta dopo la sentenza del t.a.r. del Lazio 44/1994, decade miseramente (…) anche quanto dichiarato dall’arch. A.d.R. in sede di interrogatorio di primo grado”: così ricorso, pag. 27; “l’attività di progettazione è risultata – allo stato dei fatti e degli atti – pacificamente inutile”: così ricorso, pag. 28; “la testimonianza del signor R. (…) risulta, oltre che del tutto immaginifica (…), comunque espressamente smentita da soggetti molto vicini alla vicenda de qua (…)”: così memoria del ricorrente, pag. 10).
E tuttavia il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4 – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (cfr. Cass. 10.6.2016, n. 11892; Cass. (ord.).
Si tenga conto inoltre che l’asserita violazione delle regole della correttezza, pur a fronte dei rilievi del ricorrente di cui alle pagine 8 e 9 della memoria ex art. 378 c.p.c., appare prospettazione “nuova”. Tanto alla luce e del percorso motivazionale dell’impugnato dictum e del rilievo che in tal senso il controricorrente ha specificamente formulato (cfr. controricorso, pag. 14).
In dipendenza del rigetto del ricorso la ricorrente va condannata alle spese del presente giudizio di legittimità. La liquidazione segue come da dispositivo.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, D.P.R. cit..
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente, M.L.M.V., a rimborsare al controricorrente, A.D.R.C.N., le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 3.000,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e cassa come per legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, cit..
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 13 febbraio 2019.
Depositato in Cancelleria il 26 settembre 2019