Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.24102 del 26/09/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – rel. Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7387/2015 proposto da:

D.M.L., F.L., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI CONDOTTI 9, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO PICOZZI, rappresentati e difesi dall’avvocato MAURIZIO CAMILLO BORRA;

– ricorrenti –

contro

IMPRESA EDILE C. DI C.G. & C SNC in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA MIGNANELLI 3, presso lo studio dell’avvocato ALFIO PAGLIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MONICA BATTAGLIA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1734/2014 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 28/07/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 03/04/2019 dal Consigliere Dott. LORENZO ORILIA.

RITENUTO IN FATTO

1 Con sentenza 28.7.2014, la Corte d’Appello di Venezia, respingendo il gravame proposto dai coniugi D.M.L. e F.L., ha confermato la sentenza di primo grado (Tribunale di Vicenza n. 1238/09) che aveva a sua volta respinto la loro opposizione contro un decreto ingiuntivo ottenuto dalla società appaltatrice C. snc di Euro 33.146,05 per saldo compenso lavori edili.

Per giungere a tale soluzione la Corte d’Appello ha osservato:

– che le ricevute riportate nella quietanza si riferivano ad altre fatture e pagamenti non fatturati;

– che meritava conferma la decisione del primo giudice sulla assenza di contestazioni sulla responsabilità dell’impresa tenuto conto del tempo intercorso, dell’esecuzione di interventi di ripristino, della mancanza di prova di oneri e di comportamenti tesi a far valere la garanzia.

2 Contro tale sentenza i coniugi committenti ricorrono per cassazione con quattro motivi contrastati con controricorso dalla società appaltatrice.

Le parti hanno depositato memorie.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.1 Col primo motivo si denunzia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 2722,2726,2729,2732 e 2735 c.c.: dolendosi dell’interpretazione della quietanza di pagamento da essi prodotta (documento n. 16), i ricorrenti rimproverano alla Corte di merito di non avere considerato la natura di confessione stragiudiziale della quietanza e l’impossibilità per il creditore di fornire prova contraria per testi o per presunzioni.

Il motivo è inammissibile.

Come costantemente affermato da questa Corte, ove una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga detta questione in sede di legittimità ha l’onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegarne l’avvenuta deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente vi abbia provveduto, onde dare modo alla Corte di cassazione di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa (v. tra le tante, Sez. 2 -, Ordinanza n. 2038 del 24/01/2019 Rv. 652251; Sez. 3 -, Ordinanza n. 27568 del 21/11/2017 Rv. 646645; Sez. 2, Sentenza n. 8206 del 22/04/2016 Rv. 639513).

Nel caso in esame, la sentenza non affronta assolutamente i temi che la censura propone (v. pag. 6 ove sono sintetizzate le doglianze mosse dai due appellanti) e il ricorso non offre alcun elemento per dimostrare l’avvenuta trattazione nei giudizi di merito (v. anche pag. 6) sicchè la tematica deve ritenersi frutto di una nuova strategia difensiva.

1.2 Col secondo motivo, si denunzia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè artt. 2727 e 2729 c.c., rimproverandosi alla Corte d’Appello la violazione delle regole che disciplinano la valutazione delle prove e il libero convincimento del giudice. Dopo avere riportato passaggi motivazionali delle sentenze di primo e secondo grado, di atti e risultanze processuali, i ricorrenti procedono ad una ricostruzione dei rapporti economici per concludere che le presunzioni operate dai giudici di merito difettavano dei requisiti di gravità, precisione e concordanza.

Il motivo è inammissibile perchè, lungi dal denunziare violazioni di norme di diritto nel senso inteso da questa Corte (cioè erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implicante necessariamente un problema interpretativo della stessa: v tra le tante, Sez. 1 -, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019 Rv. 652549; Sez. 1 -, Ordinanza n. 24155 del 13/10/2017 Rv. 645538) si risolve essenzialmente in una critica di tipo esclusivamente fattuale alla motivazione della sentenza sulla ricostruzione dei rapporti economici tra le parti, attività certamente preclusa nel giudizio di legittimità.

1.3 Col terzo motivo (proposto in rapporto di subordinazione rispetto al primo) i ricorrenti denunziano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza per violazione dell’art. 156 c.p.c. e art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, per avere la Corte di merito omesso di considerare l’avvenuto pagamento di Lire 20.000.000 non fatturati, così incorrendo nella insanabile nullità per discrasia immediatamente rilevabile tra motivazione e dispositivo.

Anche tale motivo è infondato.

Le sezioni unite di questa Corte con la sentenza n. 8053 del 07/04/2014 hanno affermato che la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.

Ebbene, sulla scorta di tale principio la censura si rivela priva di consistenza perchè dal testo della sentenza non si ravvisa alcuna anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante nè contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili. La Corte territoriale, infatti, alle pagg. 6 e ss., ha analizzato i rapporti di dare-avere tra le parti pervenendo alla condivisione delle conclusioni raggiunte dal primo giudice sull’entità dei pagamenti effettuati e sulle relative imputazioni senza alcuna “discrasia” tra motivazione e dispositivo, anche perchè – è bene ricordarlo – il consuntivo di fine lavori a firma del D.L., recava un totale di vecchie Lire 352.603.190 al 26.2.1999 (v. pag. 6). Il rifacimento analitico dei conteggi – attività che il motivo in definitiva sollecita – esula dai compiti del giudice di legittimità.

1.4 Col quarto ed ultimo motivo si denunzia, infine, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti: ad avviso dei ricorrenti la Corte veneta, così come il Tribunale, avrebbe omesso di prendere in esame la qualità dei materiali utilizzati per la costruzione “delle mura” che secondo la previsione contrattuale, doveva avvenire in “***** di prima scelta”.

Il motivo è inammissibile Le sezioni unite sempre con la citata sentenza n. 8053/2014 hanno altresì affermato che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

Ebbene, nel caso di specie, si è ancora una volta fuori dalle ipotesi estreme prese in esame dalle sezioni unite, perchè il fatto ritenuto decisivo dai ricorrenti (cioè la qualità dei materiali adoperati dall’impresa appaltatrice per la costruzione “delle mura”) è stato certamente esaminato dalla Corte d’Appello nella trattazione del secondo motivo di appello (v. pagg. 8 e 9 della sentenza impugnata a cui senz’altro si rinvia per evidenti ragioni di sintesi espositiva) e il motivo sollecita ancora una volta una mera rivalutazione dei fatti senza neppure censurare -si badi specificamente la sentenza impugnata.

In conclusione, il rigetto del ricorso è inevitabile, con altrettanto inevitabile addebito di spese alla parte soccombente che – sussistendone le condizioni di legge – è tenuta anche al versamento dell’ulteriore contributo unificato.

PQM

la Corte rigetta il ricorso e condanna in solido i ricorrenti al pagamento delle spese del presente grado di giudizio che liquida in complessivi Euro 4.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge nella misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 3 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 settembre 2019

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