LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –
Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –
Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –
Dott. ABETE Luigi – Consigliere –
Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 13138/2015 proposto da:
D.F.S., e M.I., rappresentati e difesi dall’Avvocato CARLO CELANI, ed elettivamente domiciliati presso il suo studio in ROMA, VIA dei CONDOTTI 9;
– ricorrenti –
contro
G.M.B. IMMOBILIARE di B.G., in persona del titolare B.G., rappresentata e difesa dagli Avvocati FRANCESCO BARBERIO e GIOVANNA FIORE ed elettivamente domiciliati presso lo studio di quest’ultima in ROMA, VIA degli SCIPIONI 94;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 4007/2014 della CORTE di APPELLO di MILANO, pubblicata l’11/11/2014;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 3/04/2019 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione, notificato in data 30.9.2005, D.F.S. conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Milano la società G.M.B. IMMOBILIARE di G.B. al fine di ottenere la revoca del decreto ingiuntivo n. 21683/2005, emesso nei suoi confronti a titolo di provvigione per l’attività di mediazione svolta dalla suddetta società per la vendita di un immobile di proprietà dell’attore. Il D.F. riteneva che tra le parti non si fosse concluso alcun affare che potesse giustificare tali provvigioni.
Con altro atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo M.I., promissaria acquirente, conveniva in giudizio la G.M.B. Immobiliare per sentir revocare il Decreto Ingiuntivo n. 21718 del 2005, emesso nei suoi confronti, sempre a titolo di provvigione per l’attività di mediazione.
Entrambi gli attori ritenevano che l’affare non si fosse concluso in quanto tra gli stessi non era intervenuta la stipula di un contratto idoneo al trasferimento della proprietà dell’immobile.
Riunite le cause, con sentenza n. 2477/2011, il Tribunale di Milano accoglieva le opposizioni revocando i decreti ingiuntivi.
Contro la sentenza la G.M.B. proponeva appello ritenendo dovute le provvigioni per l’espletata attività di mediazione. Si costituivano in giudizio gli appellati chiedendo il rigetto del gravame e la conferma della sentenza di primo grado.
Con sentenza n. 4007/2014, depositata in data 11.1.2014, la Corte d’Appello di Milano accoglieva il gravame sul presupposto che il diritto alle provvigioni sarebbe sorto in capo all’agenzia immobiliare, stante il perfezionamento dell’accordo contrattuale tra le parti.
Avverso detta sentenza D.F.S. e M.I. propongono ricorso per cassazione sulla base di tre motivi; resiste la G.M.B. Immobiliare con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Con il primo motivo, i ricorrenti lamentano la “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione all’art. 1362 c.c.”, in ragione della denunciata erroneità dell’interpretazione della Corte di merito, secondo la quale l’accettazione della proposta di acquisto ha dato origine a un vero e proprio contratto preliminare, in considerazione del fatto che nella proposta fosse previsto che l’accettazione avrebbe costituito contratto preliminare di compravendita. Invece, il Giudice avrebbe dovuto attenersi ai principi dettati dagli artt. 1362 c.c. e segg., in materia di interpretazione del contratto e, pertanto, fare riferimento, oltre al dato letterale del testo della proposta, anche all’effettiva comune intenzione delle parti, considerando il comportamento dalle stesse tenuto e, quindi, negare l’esistenza di un contratto preliminare.
1.1. – Il motivo non è fondato.
1.2. – La Corte d’appello di Milano, ritenuta l’erroneità della sentenza di primo grado, ha accolto il gravame dell’agenzia immobiliare sull’assunto che il diritto alle provvigioni era sorto in capo alla medesima, stante il perfezionamento dell’accordo contrattuale tra le parti (giacchè la revoca dell’accettazione della proposta era stata comunicata dal D.F. dopo la conoscenza dell’accettazione da parte della M.); nonchè sul presupposto che la effettuata proposta d’acquisto e l’accettazione della stessa avessero perfezionato un vincolo giuridico avente tutti i requisiti formali e sostanziali di un contratto preliminare di compravendita, suscettibile di “esperibilità dell’azione di cui all’art. 2932 c.c.” (sentenza impugnata, pagg. 4 e 5).
Tale motivazione è coerente con la giurisprudenza di questa Corte, che ha affermato che l’indagine diretta a stabilire se le parti siano rimaste nell’ambito delle trattative ovvero abbiano concluso un contratto preliminare è rimessa al giudice del merito, il cui apprezzamento è insindacabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione logica, esauriente e non inficiata da violazione di norme di ermeneutica contrattuale (cfr. Cass. n. 7871 del 1990; conf. Cass. n. 13067 del 2004; nonchè Cass. n. 29445 del 2018).
Più in generale, in tema di interpretazione del contratto, l’accertamento, anche in base al significato letterale delle parole, della volontà degli stipulanti, in relazione al contenuto del negozio (cfr. Cass. n. 18509 del 2008), si traduce in un’indagine di fatto affidata in via esclusiva al giudice di merito. Ne consegue che tale accertamento è censurabile in sede di legittimità soltanto per vizio di motivazione (Cass. n. 1646 del 2014), nel caso in cui (contrariamente a quanto risulta nella presente fattispecie, con riguardo alla correttezza del ragionamento sotteso alla decisione di secondo grado; ed assunta in piena coerenza col dettato normativo di cui all’art. 1326 c.c., comma 1 e art. 1328 c.c., comma 2 e con la condotta negoziale tenuta dalle parti) la motivazione stessa risulti talmente inadeguata da non consentire di ricostruire l’iter logico seguito dal giudice per attribuire all’atto negoziale un determinato contenuto, oppure nel caso di violazione delle norme ermeneutiche; con la precisazione che nessuna di tali censure può risolversi in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice, che si sostanzi nella mera contrapposizione di una differente interpretazione (v. ultra, sub 3.3.).
Per sottrarsi al sindacato di legittimità, infatti, quella data dal giudice del merito al contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni, sì che quando di una clausola contrattuale siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto la interpretazione poi disattesa dal giudice del merito, dolersi in sede di legittimità che sia stata privilegiata l’altra (Cass. n. 8909 del 2013; Cass. n. 24539 del 2009; Cass. n. 15604 del 2007; Cass. n. 4178 del 2007; Cass. n. 17248 del 2003). Secondo la concorde giurisprudenza di questo giudice di legittimità, qualora deduca la violazione dei citati canoni interpretativi, il ricorrente deve precisare in quale modo il ragionamento del giudice se ne sia discostato, non essendo sufficiente un astratto richiamo ai criteri asseritamente violati e neppure una critica della ricostruzione della volontà dei contraenti che, benchè genericamente riferibile alla violazione denunciata, si riduca, come nella specie, alla mera prospettazione di un risultato interpretativo diverso da quello accolto nella sentenza impugnata (Cass. sez. un. 1914 del 2016; cfr. Cass. n. 3657 del 2016; Cass. n. 25728 del 2013 e, tra le altre, Cass. n. 1754 del 2006).
Laddove, sotto altro aspetto, l’asserito mancato esame da parte della Corte distrettuale della circostanza che, in seguito all’accettazione della proposta di acquisto, l’agenzia immobiliare (in conformità a quanto previsto dall’art. 3, lett. c, delle condizioni) aveva convocato le parti per la formalizzazione sottoscrizione del preliminare, assume una valenza del tutto generica, inidonea a svalutare il raggiunto accordo negoziale, considerandolo quale atto meramente prodromico alla successiva stesura e sottoscrizione del definitivo; cioè “destinato ad essere trasfuso nella cornice formale del rogito notarile” (sentenza impugnata pag. 5) (cfr. Cass. sez. un. 4628 del 2015; conf. Cass. n. 21559 del 2018).
1.3. – Perfezionatosi l’accordo contrattuale tra le parti, nei descritti termini, risulta sussistente il diritto alla provvigione in capo al mediatore.
Come anche evidenziato dal giudice del gravame, questa Corte ha ripetutamente affermato che il diritto alla provvigione sorge tutte le volte in cui la conclusione dell’affare sia in rapporto causale con l’attività intermediatrice, senza che sia richiesto un nesso eziologico diretto ed esclusivo tra l’attività del mediatore e la conclusione dell’affare, essendo sufficiente che il mediatore pur in assenza di un suo intervento in tutte le fasi della trattativa ed anche in presenza di un processo di formazione della volontà delle parti complesso ed articolato nel tempo – abbia messo in relazione le stesse, sì da realizzare l’antecedente indispensabile per pervenire alla conclusione del contratto, secondo i principi della causalità adeguata (Cass. n. 25851 del 2014, conforme a Cass. n. 28321 del 2005; cfr. pure Cass. n. 9984 del 2008 e n. 3438 del 2002).
2. – Con il secondo motivo, i ricorrenti deducono la “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione agli artt. 1321,1346 e 1418 c.c.”, nella parte in cui la Corte di merito afferma che la proposta d’acquisto accettata presenti tutti i requisiti essenziali del contratto, ritenendo irrilevante la circostanza dell’assenza dei dati catastali. Invero, seppur il bene oggetto della futura alienazione possa considerarsi identificato in relazione alla sua ubicazione e descrizione, ciò che non emerge dalla proposta è quale sia l’esatta porzione di proprietà della villetta bifamiliare. Pertanto, nella fattispecie, l’identificazione dei confini e dei dati catastali assume rilievo ai fini dell’esatta individuazione del bene; sicchè la Corte avrebbe dovuto dichiarare la nullità della proposta per indeterminatezza dell’oggetto, ai sensi dell’art. 1346 c.c..
2.1. – Il motivo non è fondato.
2.2. – La Corte distrettuale afferma che il bene in oggetto “risulta chiaramente determinato alla luce del tenore letterale della proposta di acquisto, essendo ivi riportate sia l’esatta ubicazione dell’immobile, che la sua descrizione”; essendo dunque irrilevante la mancanza dei relativi dati catastali, in quanto viceversa “sufficiente che, in base alle emergenze probatorie, il bene al quale le parti si sono riferite sia determinato o, quantomeno, determinabile” (sentenza impugnata pag. 5).
Tale motivazione (incensurabile in sede di legittimità, quanto alla ritenuta individuabilità dell’immobile, poichè pienemente coerente con i consolidati principi affermati da questa Corte) risulta corretta. Infatti, ai fini della validità del contratto preliminare, non è indispensabile la completa e dettagliata indicazione di tutti gli elementi del futuro contratto, risultando per converso sufficiente l’accordo delle parti sugli elementi essenziali. In particolare, nel preliminare di compravendita immobiliare, per il quale è richiesto ex lege è atto scritto come per il “definitivo”, è sufficiente che dal documento risulti, anche attraverso il riferimento ad elementi esterni ma idonei a consentirne l’identificazione in modo inequivoco, avere le parti inteso fare riferimento ad un bene determinato o, comunque, determinabile, la cui indicazione pertanto, attraverso gli ordinari elementi identificativi richiesti per il definitivo, può anche essere incompleta o mancare del tutto, purchè, appunto, l’intervenuta convergenza delle volontà sia comunque, anche aliunde o per relationem, logicamente ricostruibile (Cass. n. 8810 del 2003; Conf. Cass. n. 11297 del 2018; Cass. n. 2473 del 2013).
3. – Con il terzo motivo, i ricorrenti eccepiscono la “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione all’art. 1351 c.c., in combinato disposto con l’art. 2932 c.c.”, là dove la Corte di merito ritiene che il negozio sorto con l’accettazione del promittente venditore sia un contratto preliminare a tutti gli effetti, tanto che le parti hanno richiamato l’esperibilità dell’azione di cui all’art. 2932 c.c.; tale rilievo sarebbe infondato atteso che per pacifica giurisprudenza, ai fini di una pronuncia giudiziale ex art. 2932 c.c., occorre che l’esatta individuazione dell’immobile, con i confini e i dati catastali, risulti dal preliminare.
3.1. – Il motivo non può essere accolto.
3.2. – Da un lato, esso ripropone censure già esaminate. Sicchè, quanto alla correttezza della affermazione della Corte di merito circa la avvenuta conclusione inter partes di un contratto preliminare di compravendita, ed alle conseguenze in ordine al diritto alla provvigione in capo al mediatore, si fa rinvio sub 1.2. e 1.3; quanto alla ritenuta non indispensabilità nel contenuto nel preliminare di vendita della completa e dettagliata indicazione di tutti gli elementi del futuro contratto, risultando per converso sufficiente l’accordo delle parti sugli elementi essenziali, si fa rinvio sub 2.2.
3.3. – D’altro lato, la censura si risolve, in sostanza, nella sollecitazione ad effettuare una nuova valutazione di risultanze di fatto come emerse nel corso del procedimento, così mostrando i ricorrenti di anelare ad una impropria trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto ancora gli apprezzamenti espressi dalla Corte di merito non condivisi e per ciò solo censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni ai propri desiderata; quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa possano ancora legittimamente porsi dinanzi al giudice di legittimità (Cass. n. 5939 del 2018).
Compito di questa Corte non è quello di condividere o meno la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, nè quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dal giudice del merito (Cass. n. 3267 del 2008), ma quello di limitarsi a controllare se costui abbia dato conto delle ragioni della sua decisione e se il ragionamento probatorio, da esso reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile; ciò che si risconta nel caso di specie (cfr. Cass. n. 9275 del 2018).
4. – Il ricorso va dunque rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Va emessa altresì la dichiarazione di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi Euro 3.200,00 di cui Euro 200,00 per rimborso spese vive, oltre al rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%, ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 3 aprile 2019.
Depositato in Cancelleria il 26 settembre 2019
Codice Civile > Articolo 1321 - Nozione | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 1346 - Requisiti | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 1351 - Contratto preliminare | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 1362 - Intenzione dei contraenti | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 1418 - Cause di nullita' del contratto | Codice Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 3 - (Omissis) | Codice Procedura Civile