Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.24141 del 27/09/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – rel. Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28476-2016 proposto da:

V.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE ANGELICO 35, presso lo studio degli avvocati DOMENICO D’AMATI e GIOVANNI NICOLA D’AMATI, che la rappresentano e difendono giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

RAI – RADIOTELEVISIONE ITALIANA S.P.A, C.F. *****, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 21/23, presso lo studio dell’avvocato CARLO BOURSIER NIUTTA, che la rappresenta e difende giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2994/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 08/06/2016 r.g.n. 2820/2014.

RILEVATO

che la Corte di Appello di Roma, con sentenza pubblicata in data 8.6.2016, in parziale accoglimento del gravame interposto da RAI Radiotelevisione Italiana S.p.A., nei confronti di V.C., avverso la sentenza n. 10851/2013 resa dal Tribunale della stessa sede, ha dichiarato che la lavoratrice deve essere inquadrata nel quarto livello del profilo di programmista regista dal 20.12.2001, senza progressione automatica al terzo livello, condannando la società appellante al pagamento, in favore della V., di una indennità risarcitoria pari a dieci mensilità della retribuzione parametrata al quarto livello del profilo programmista-regista, oltre interessi dalla data della pronunzia di appello, in luogo delle retribuzioni maturate sin dalla cessazione del rapporto;

che per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso V.C., articolando un motivo, cui ha resistito con controricorso la RAI Radiotelevisione Italiana S.p.A.;

che sono state comunicate memorie nell’interesse della ricorrente;

che il P.G. non ha formulato richieste.

CONSIDERATO

che, con il ricorso, si censura, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, art. 12 preleggi, artt. 1362,1217 e 1453 c.c. e si lamenta che la Corte di merito abbia ritenuto applicabile alla fattispecie il risarcimento previsto dalla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5"correttamente escluso dal giudice di primo grado” ed abbia, pertanto determinato nella misura di dieci mensilità della retribuzione il risarcimento dovuto dalla società alla V., incorrendo così “in una statuizione erronea e manifestamente viziata anche dei principi dettati dalla Suprema Corte, in base ai quali detta norma è applicabile ai contratti di lavoro temporaneo stipulati ai sensi della L. n. 196 del 1997, nonchè ai contratti di somministrazione di lavoro a tempo determinato”; a parere della ricorrente, tale norma non potrebbe estensivamente applicarsi al caso di specie, nel quale si discute di contratti a tempo determinato di cui è stata richiesta la conversione in contratti a tempo indeterminato;

che il motivo non è fondato, alla stregua degli ormai consolidati arresti della Corte di legittimità, pienamente condivisi dal Collegio e già espressi all’epoca di proposizione del ricorso per cassazione della V., secondo i quali (cfr. tra le altre, Cass. nn. 17540/2014; 18861/2014; 21001/2014; 13404/2013 e, di recente, 16435/2018; v. pure, per un inquadramento sistematico della problematica, Cass. S.U., n. 21691/2016), la L. n. 183 del 2010, art. 32 è applicabile in ogni caso in cui ricorra un rapporto iniziale a termine, del quale si richieda la conversione in contratto a tempo indeterminato;

che, pertanto, applicando correttamente la normativa di cui si tratta ed in conformità con le pronunzie giurisprudenziali di legittimità, i giudici di seconda istanza, valutate pure le risultanze istruttorie, hanno reputato equo condannare la società a corrispondere alla V. dieci mensilità della retribuzione, oltre agli accessori di legge sulla predetta indennità dalla data della pronunzia in sede di gravame (v., tra le altre, Cass. n. 3062/2016);

che per tutto quanto in precedenza esposto, il ricorso va rigettato;

che le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza;

che, avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso sussistono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il nella Adunanza camerale, il 26 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 27 settembre 2019

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