Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.24151 del 27/09/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1173/2014 proposto da:

ASREM – AZIENDA SANITARIA REGIONALE MOLISANA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ALBALONGA 7, presso lo studio dell’avvocato CLEMENTINO PALMIERO, rappresentata e difesa dall’avvocato GIOVANNI DE NOTARIIS;

– ricorrente –

contro

D.C.A.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 87/2013 della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO, depositata il 28/06/2013 R.G.N. 218/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/04/2019 dal Consigliere Dott. GABRIELLA MARCHESE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CIMMINO Alessandro, che ha concluso per l’accoglimento primo motivo del ricorso, assorbiti gli altri.

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Larino dichiarava D.C.A. affetto, per causa di servizio, da patologia ascrivibile alla 8 categoria della tabella A allegata al D.P.R. n. 915 del 1978 e condannava l’ASREM (Azienda Sanitaria Regionale Molisana) alla corresponsione dell’equo indennizzo oltre accessori e spese.

2. La Corte di Appello di Campobasso, con sentenza n. 87 del 2013, respingeva il gravame proposto dall’Azienda sanitaria.

2.1. La Corte territoriale, facendo proprie le argomentazioni espresse dal Tribunale, ha ribadito che le circostanze di fatto articolate dal lavoratore a fondamento della domanda dovessero ritenersi pacifiche in quanto non contestate; sulla base di tale premessa, richiamate, altresì, le conclusioni della consulenza tecnica d’ufficio, ha ritenuto che la patologia sofferta dal D.C. “fosse conseguente ai particolari ritmi (di lavoro) protratti nel tempo, sostenuti dal periziando (id est: il lavoratore)”.

3. Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione, l’ASREM, affidato a cinque motivi ed illustrato con memoria ex art. 378 c.p.c..

4. E’ rimasto intimato D.C.A..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 4 e 3 – è dedotta la violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, art. 111 Cost. e art. 156 c.p.c., nonchè – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – omesso esame ed omessa motivazione circa fatti decisivi che sono stati oggetto di discussione tra le parti.

1.1. La parte ricorrente imputa alla sentenza di aver dedicato alla esposizione del fatto appena 8 righe; di aver esposto le ragioni di diritto con una motivazione per relationem che si è risolta in un generico recepimento acritico della soluzione adottata dal primo giudice, carente nell’esame delle censure formulate nei confronti della sentenza impugnata.

1.2. Il motivo è, nel complesso, da respingere.

1.3. Costituisce orientamento consolidato di questa Corte quello secondo cui affinchè sia integrato il vizio di mancanza o apparenza della motivazione – agli effetti di cui all’art. 132 c.p.c., n. 4 – occorre che la motivazione della sentenza manchi del tutto, vuoi nel senso grafico vuoi nel senso logico ovvero allorchè la motivazione, pur formalmente esistente, sia talmente contraddittoria da non permettere di riconoscerla come giustificazione del decisum (in argomento, Cass., sez. un., n. 19881 del 2014; Cass., sez.un., n. 8053 del 2014), non essendo, invece, più consentita la formulazione di censure per il vizio di insufficiente o contraddittoria motivazione (Cass., sez. un., n. 14477 del 2015; ex multis, tra le sezioni semplici, Cass. n. 31543 del 2018).

1.4. Nella fattispecie di causa la motivazione è comprensibile; essa si fonda “molto succintamente e facendo proprie le argomentazioni espresse dal giudice di prime cure” sulla considerazione che i ritmi di lavoro del D.C., provati perchè non contestati, protratti nel tempo, hanno determinato l’insorgenza della patologia (disturbi cronici del sonno), ascrivibile alla categoria 8^ della tabella A allegata al D.P.R. n. 915 del 1978.

1.5. A questo punto, può discutersi della sua plausibilità e condivisibilità ma non della sua esistenza in fatto; considerazione quest’ultima che, a tacer d’altro, è sufficiente a chiarire la diversità della fattispecie oggetto di disamina rispetto a quella già valutata da questa Corte con l’ordinanza richiamata, dall’ASREM, nella memoria difensiva (ordinanza n. 188 del 2019).

1.6. Sotto diverso profilo, deve osservarsi come difettino di specificità le censure che imputano alla Corte territoriale una acritica condivisione del ragionamento del primo giudice; in linea astratta, condividere un percorso motivazionale significa farlo proprio e, dunque, motivare. In concreto, è, però, possibile che una tale motivazione diventi mera apparenza; per valutare allora la validità o meno di una motivazione per relationem, spetta al ricorrente in cassazione, come logica conseguenza dell’onere di specificazione del motivo e di adempimento delle prescrizioni di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6, non solo identificare il tenore della motivazione del primo giudice che ha giustificato le affermazioni condivise dal giudice d’appello, ma anche indicare quali critiche erano state rivolte ad essa con l’atto di appello. E’ palese che la ritualità della motivazione non si può apprezzare senza conoscere quel tenore e quelle critiche; il motivo difetta, invece, di una adeguata illustrazione dei profili in oggetto.

2. Con il secondo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 416 c.p.c., nonchè omesso esame circa fatti decisivi che sono stati oggetto di discussione tra le parti.

2.1. E’ censurato il passaggio della sentenza relativo alla ritenuta omessa contestazione delle circostanze di fatto articolate dal lavoratore nel ricorso introduttivo del giudizio da parte dell’azienda sanitaria; si assume che la non contestazione aveva riguardato soltanto il numero medio di reperibilità notturne mensili mentre l’ASREM aveva sempre contestato l’incidenza morbigena del lavoro, così come era stata esclusa (il nesso causale, appunto) sia dalla Commissione medica che, poi, dal Comitato di Verifica per le cause di servizio.

2.2. Il motivo si arresta, in radice, ad una valutazione di inammissibilità, in quanto la parte ricorrente, in violazione degli oneri imposti dall’art. 366 c.p.c., n. 6 e dall’art. 369 c.p.c., n. 4, non ha riprodotto nel ricorso, nelle parti salienti e rilevanti, il contenuto degli atti difensivi del giudizio di primo (ricorso introduttivo di primo grado, memoria di costituzione) nonchè, come già osservato, della sentenza di primo grado, atti tutti sui quali si fonda la dedotta censura.

3. Con il terzo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – è dedotto omesso esame circa fatti decisivi che sono stati oggetto di discussione tra le parti nonchè – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione dei CCNL di lavoro per la dirigenza medica del settore sanitario, in particolare dell’art. 17 CCNL 3.11.2005 e dell’art. 20 del CCNL 5.12.1996 e D.P.R. n. 270 del 1987, art. 18.

3.1. Il motivo, nel complesso, investe le deduzioni del ricorso introduttivo di primo grado in ordine ai turni di reperibilità notturna ed alla frequenza delle attività rese in relazione agli stessi nonchè l’omessa valutazione delle difese, al riguardo, sviluppate dall’azienda sanitaria. Secondo le deduzione dell’ASREM, sin dalle prime difese, era stato evidenziato come i turni di reperibilità non fossero equiparabili ai turni di lavoro notturno attivo e come, quindi, non potessero assumere valenza causale nel determinismo della patologia del lavoratore.

3.2. Anche il terzo motivo presenta plurimi profili di inammissibilità.

3.3. Sotto il profilo del vizio di motivazione, la censura è formulata senza tenere in alcun conto gli enunciati di Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014 (principi costantemente ribaditi dalle stesse Sezioni unite v. n. 19881 del 2014, n. 25008 del 2014, n. 417 del 2015, oltre che dalle Sezioni semplici). 3.4. Il motivo, per il resto, nonostante denunci un errore di violazione o falsa applicazione di norme di contratto collettivo nazionale di lavoro, non specifica se tale contratto sia prodotto integralmente (come richiesto da Cass. SS.UU. n. 20075 del 2010) e l’avvenuta sua produzione e la sede in cui il documento integrale sia rinvenibile (Cass., SS.UU., n. 25038 del 2013; Cass., SS. UU., n. 7161 del 2010; conformi tra molte: Cass. nn. 17602 del 2011 e n. 124 del 2013).

3.4. In ogni caso, prospetta questioni di cui non vi è accenno nella sentenza impugnata. La struttura chiusa del giudizio di legittimità impedisce, invece, che possano essere introdotte questioni che non siano state già sollevate nei gradi di merito, salvo che la parte alleghi e dimostri, nel rispetto degli oneri di deduzione e specificazione, imposti dall’art. 366 c.p.c., n. 6 e art. 369 c.p.c., n. 4, la loro rituale deduzione; situazione quest’ultima non specificamente illustrata nel motivo.

4. Con il quarto motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – è dedotta violazione del D.P.R. n. 361 del 2001, artt. 28 e segg., D.P.R. n. 686 del 1957, art. 58,D.P.R. n. 1092 del 1973, art. 64. Si assume: “la violazione (…) ad opera della seconda CTU delle disposizioni dei contratti collettivi nazionali (3.11.2005 e 1.9.1995) disciplinanti la pronta disponibilità e la natura della stessa; (l’)erroneità per gli stessi motivi- delle premesse e delle conclusioni della CTU non rilevata dalla Corte di appello (…) (l’) erroneo richiamo e (l’)erroneità anche della prima CTU e delle conclusioni (…)” nonchè – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – l’omesso esame di fatti decisivi che sono stati oggetto di discussione tra le parti “esposte nelle tre memorie autorizzate”. Seguono lunghi stralci della consulenza tecnica di ufficio, intrisi di critiche alla stessa.

4.1. Osserva il Collegio come tutte le censure, anche dove formalmente indicano violazione di norme di diritto schermino, nella sostanza, deduzione di vizio di motivazione.

4.2. Le critiche, infatti, piuttosto che investire il significato e la portata applicativa delle norme indicate in rubrica sono tutte integralmente volte a contestare la valutazione di merito della Corte territoriale di recepimento della consulenza tecnica di ufficio, senza, tuttavia, validamente censurarla nel rispetto del paradigma normativo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, ratione temporis applicabile.

5. Con il quinto motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – è dedotto omesso esame circa un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti. Si assume che, in corso di giudizio, sarebbero intervenute sentenze di merito tra le medesime parti di rigetto della domanda di risarcimento del danno biologico e morale proposta dal lavoratore nei confronti di ASREM, fondata su asseriti comportamenti discriminatori della parte datoriale; secondo la parte ricorrente, tali provvedimenti dimostrerebbero l’inattendibilità, l’infondatezza e la contraddittorietà dell’assunto, nell’attuale giudizio, di un nesso causale tra i turni di lavoro ed i disturbi del sonno.

5.1. Vale, per l’ultimo motivo, il rilievo di inammissibilità già ampiamente espresso in relazione ai precedenti motivi, non configurando affatto le illustrate censure il “fatto storico”, non esaminato, che abbia costituito oggetto di discussione e che abbia carattere decisivo (Cass., sez. un., n. 8053 del 2014).

6. Conclusivamente, il ricorso va respinto. Nulla deve provvedersi in merito alle spese, in assenza di difese da parte dell’intimato.

7. Sussistono i presupposti di legge di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, consistenti nel rigetto integrale dell’impugnazione, affinchè debba darsi atto del raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 settembre 2019

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