LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Presidente –
Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –
Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –
Dott. LORITO Matilde – Consigliere –
Dott. PONTERIO Carla – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 13610/2015 proposto da:
Z.M.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA POMPEO UGONIO, 3, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO ODDI, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
STUDIO CENTRO PARIOLI S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA COSTANTINO MAES, 50, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO FABRIZI, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
e contro
F.P., F.M.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 9249/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 26/11/2014 r.g.n. 4689/2012.
RILEVATO
che:
1. la Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 9249 pubblicata il 26.11.2014, in accoglimento dell’appello proposto da Studio Centro Parioli s.r.l. e in riforma della sentenza di primo grado, ha respinto la domanda di Fazzari David (e poi degli eredi Z.M.G., F.P. e F.M.) volta all’accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso dall’1.7.2004 al 19.4.2006 e alla condanna della società al pagamento delle differenze retributive;
2. la Corte territoriale ha premesso come il Tribunale, nell’accogliere la domanda del ricorrente, avesse basato la decisione sulle dichiarazioni del solo teste T., che peraltro sugli orari di lavoro del F. aveva riferito de relato, senza considerare anche quanto riferito dai testi L. e D.G. e ciò sull’erroneo rilievo che questi fossero, all’epoca della deposizione, ancora dipendenti della società appellante;
3. ha ritenuto come, in base alle risultanze istruttorie, non fosse dimostrato che il F. avesse iniziato a lavorare nel luglio 2004, che, ricevesse ordini e direttive dalla società, che osservasse precisi orari giornalieri e che avesse obbligo di giustificare le assenze, che svolgesse mansioni esecutive inserite in modo continuativo e sistematico nell’organizzazione aziendale e che mettesse a disposizione di questa le proprie energie lavorative;
4. avverso tale sentenza Z.M.G., quale erede di F.D., ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, cui ha resistito con controricorso la Studio Centro Parioli s.r.l..
CONSIDERATO
che:
5. col primo motivo di ricorso la sig.ra Z. ha censurato la sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione dell’art. 2095 c.c. (rectius, art. 2094 c.c.) e del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 61;
6. ha sostenuto come erroneamente la Corte di merito avesse ignorato, ai fini della qualificazione del rapporto come autonomo o subordinato, gli elementi sussidiari legati alle concrete modalità di esecuzione della prestazione, tra cui la continuità della stessa, il rispetto di un orario determinato, la corresponsione del compenso a scadenze fisse; elementi tutti risultanti dall’istruttoria svolta in primo grado;
7. ha aggiunto come il contratto concluso tra le parti ai sensi del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 61, recasse l’indicazione assolutamente generica del progetto (“allargamento del portafoglio immobiliare”) e fosse stato sottoscritto quattro mesi dopo l’inizio dell’attività del F. presso l’agenzia immobiliare;
8. col secondo motivo la ricorrente ha dedotto vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti;
9. ha denunciato la carenza di motivazione sull’attendibilità dei testimoni, in particolare di quelli addotti dalla controparte ( L. e D.G.), rilevando come gli stessi all’epoca della deposizione lavorassero per il medesimo franchising e non potessero pertanto considerarsi indifferenti e quindi attendibili;
10. entrambi i motivi di ricorso presentano profili di inammissibilità;
11. sul primo motivo, occorre ribadire i confini del sindacato di legittimità sulla qualificazione del rapporto di lavoro operata dai giudici di merito, come tracciati da una consolidata giurisprudenza. E’ costantel’affermazione secondo cui, ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro come autonomo o subordinato, è censurabile in sede di legittimità soltanto la determinazione dei criteri generali e astratti da applicare al caso concreto, cioè l’individuazione del parametro normativo, mentre costituisce accertamento di fatto, come tale incensurabile in detta sede se sorretto da motivazione adeguata ed immune da vizi logici e giuridici, la valutazione delle risultanze processuali al fine della verifica di integrazione del parametro normativo, (cfr. Cass., n. 17009 del 2017; Cass., n. 9808 del 2011; Cass., n. 13448 del 2003; Cass., n. 8254 del 2002; Cass., n. 14664 del 2001; Cass., n. 5960 del 1999);
12. quanto allo schema normativo di cui all’art. 2094 c.c., si è precisato che costituisce elemento essenziale, come tale indefettibile, del rapporto di lavoro subordinato, e criterio discretivo, nel contempo, rispetto a quello di lavoro autonomo, la soggezione personale del prestatore al potere direttivo, disciplinare e di controllo del datore di lavoro, che inerisce alle intrinseche modalità di svolgimento della prestazione lavorativa e non già soltanto al suo risultato, (cfr. Cass., 27.2.2007 n. 4500).
13. tale assoggettamento non costituisce un dato di fatto elementare quanto piuttosto una modalità di essere del rapporto potenzialmente desumibile da un complesso di circostanze; sicchè ove esso non sia agevolmente apprezzabile, è possibile fare riferimento, ai fini qualificatori, ad altri elementi (come, ad esempio, la continuità della prestazione, il rispetto di un orario predeterminato, la percezione a cadenze fisse di un compenso prestabilito, l’assenza in capo al lavoratore di rischio e di una seppur minima struttura imprenditoriale), che hanno carattere sussidiario e funzione meramente indiziaria (cfr. Cass., n. 4500 del 2007; Cass., n. 13935 del 2006; Cass., n. 9623 del 2002; Cass. S.U., n. 379 del 1999).
14. tali elementi, lungi dall’assumere valore decisivo ai fini della qualificazione giuridica del rapporto, costituiscono indizi idonei ad integrare una prova presuntiva della subordinazione, a condizione che essi siano fatti oggetto di una valutazione complessiva e globale, (Cass., n. 9108 del 2012; Cass. S.U., n. 584 del 2008; Cass. n. 722 del 2007; Cass., n. 19894 del 2005; Cass., n. 13819 del 2003; Cass., S.U., n. 379 del 1999);
15. la Corte d’appello ha correttamente individuato ed analizzato i parametri normativi del lavoro subordinato ed autonomo e gli elementi indiziari, dotati di efficacia probatoria sussidiaria ai fini della qualificazione giuridica del rapporto di lavoro, ed ha ritenuto insussistenti nel caso di specie gli uni e gli altri; ha difatti escluso che il F. fosse sistematicamente inserito nell’organizzazione aziendale, che mettesse a disposizione le proprie energie lavoratrice, che ricevesse ordini e direttive, che dovesse osservare un orario determinato e giustificare le assenze;
16. la sentenza impugnata si è conformata ai principi di diritto sopra enunciati e si sottrae alle censure che vengono mosse col motivo di ricorso in esame, quanto alla violazione dell’art. 2094 c.c.;
17. non possono trovare ingresso in questa sede di legittimità le censure attinenti alla valutazione delle prove sulla sussistenza degli indici di subordinazione, in quanto non veicolate secondo lo schema legale di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile ratione temporis (cfr. Cass., S.U. n. 8053 del 2014);
18. la censura di violazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 61, oggetto sempre del primo motivo di ricorso, è inammissibile;
19. anzitutto, perchè non contiene la trascrizione del contratto di cui si invoca l’illegittimità per generica indicazione del progetto e neppure l’indicazione della sede processuale di produzione del relativo documento (è unicamente riportato un estratto del progetto relativo all'”allargamento del portafoglio immobiliare”);
20. inoltre, perchè comunque non è specificato se e in che modo la censura di violazione dell’art. 61 cit. fosse stata sollevata nei gradi di merito, atteso che nessun riferimento si rinviene nella sentenza d’appello;
21. difatti, qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass. n. 23675 del 2013; n. 20703 del 2015; n. 18795 del 2015; n. 11166 del 2018);
22. per le considerazioni svolte, il ricorso deve essere respinto;
23. la regolazione delle spese del giudizio di legittimità segue il criterio di soccombenza nei confronti della società, con liquidazione come in dispositivo;
24. si dà atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità nei confronti della controricorrente, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del medesimo art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 8 maggio 2019.
Depositato in Cancelleria il 27 settembre 2019