LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –
Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –
Dott. SCARANO Luigi A. – Consigliere –
Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –
Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 23058-2017 proposto da:
G.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA XX SETTEMBRE 3, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE RAPPAZZO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANTONIO RAPPAZZO;
– ricorrente –
contro
G.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA APPIA NUOVA 96, presso lo studio dell’avvocato PAOLO ROLFO, rappresentata e difesa dall’avvocato GIROLAMO CALANDRA;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1212/2017 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 23/06/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 3/04/2019 dal Consigliere Dott. ANTONIETTA SCRIMA.
FATTI DI CAUSA
G.D. ha proposto ricorso per cassazione, basato su tre motivi e illustrato da memoria, avverso la sentenza della Corte di appello di Palermo, n. 1212/2017, depositata il 23 giugno 2013, che ha dichiarato inammissibile, per violazione del disposto dell’art. 342 c.p.c., il gravame dallo stesso proposto avverso l’ordinanza depositata in data 8 luglio 2007 dal Tribunale di Palermo, che aveva rigettato la domanda di responsabilità contrattuale ex artt. 1710,1712 e 1713 c.c. proposta dal G. nei confronti della sorella G.G., per non aver questa adempiuto agli oneri contrattuali scaturenti da una procura generale alla medesima rilasciata affinchè potesse, in sua assenza, adempiere alle incombenze relative all’eredità comune; aveva rigettato la domanda di restituzione della somma di Euro 152.631,065, oltre interessi e rivalutazione monetaria, somma dalla G., ad avviso dell’attore, indebitamente trattenuta, e aveva condannato la predetta alla restituzione della copia conforme della procura in questione.
G.G. ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Va disattesa l’eccezione di inammissibilità del controricorso per violazione del principio di autosufficienza sollevata dal ricorrente.
Si rileva al riguardo che, pur essendo stati riportati nel predetto atto l’intera motivazione e il dispositivo dell’ordinanza emessa in primo grado, nonchè gran parte della comparsa di risposta in appello, tuttavia, l’esame complessivo del controricorso – che riporta comunque in modo autonomo il fatto e lo svolgimento del processo (v. p. 1-4), cui si collegano i riportati atti, e contiene esplicite difese sulle tesi argomentate dal ricorrente – ben consente a questa Corte di avere una completa cognizione della controversia, mediante l’individuazione delle specifiche censure formulate dal ricorrente contro le argomentazioni della sentenza impugnata e delle argomentazioni proposte dalla G. per contrastare i singoli motivi di ricorso (v. p. 32 e sgg.), sicchè non può ritenersi che sussista al riguardo violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 3, (Cass., 21/09/2015, n. 18483; Cass., ord., 17/01/2019, n. 1150).
2. Il primo motivo è così rubricato: “Violazione dell’art. 342 c.p.c. e dell’art. 702 quater c.p.c. in relazione all’art. 112 c.p.c. nullità della sentenza per error in procedendo (art. 360 c.p.c., n. 4)”.
Con tale mezzo il ricorrente sostiene che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di merito, i motivi del gravame proposto avverso l’ordinanza di primo grado non difettavano di specificità. In particolare, deduce il G. di aver, nell’atto di appello, contrapposto a quelle contenute nella sentenza impugnata argomentazioni volte a confutare e contrastare le ragioni addotte dal Tribunale e ciò “con sufficiente grado di specificità da collegare o relazionare con la motivazione apodittica della sentenza di primo grado che “inventa” uno status dell’attore”, quello di erede, ad avviso del G., mai dedotto in giudizio nè da questi nè dalla controparte. Sostiene il ricorrente di aver opposto, come appellante, alla “ricostruzione giudiziale del fatto come vicenda successoria, vale a dire imperniata sul preteso e mai dedotto status di erede di G.D…. la sua ricostruzione del fatto incentrata esclusivamente sul mandato ad negotia rilasciato alla sorella”, di aver indicato le parti del provvedimento che intendeva appellare, precisando pure di aver comunque impugnato l’ordinanza emessa in primo grado “in tutte le sue parti e nel complesso delle sue statuizioni” e di aver “indicato un percorso alternativo di ordinanza”.
2.1. Osserva il Collegio che, con la sentenza n. 27199/17 del 16 novembre 2017, le Sezioni Unite hanno esaminato la questione di massima di particolare importanza relativa a quale sia l’ambito della nozione di specificità dei motivi di appello, ora prevista a pena di inammissibilità dal testo dell’art. 342 c.p.c. – di cui al D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. Oa), conv. con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 154 – (e dell’omologo art. 434 c.p.c. per il rito del lavoro) ed in particolare se essa imponga all’appellante un onere di specificazione di un diverso contenuto della sentenza di primo grado, se non perfino un progetto alternativo di sentenza o di motivazione, o non piuttosto soltanto una compiuta contestazione di bene identificati capi della sentenza impugnata e dei passaggi argomentativi, in fatto o in diritto, che la sorreggono, con la prospettazione chiara ed univoca della diversa decisione che ne conseguirebbe sulla base di bene evidenziate ragioni di dissenso rispetto al percorso adottato dal primo Giudice.
Con riferimento al quesito sottoposto al loro scrutinio, le Sezioni Unite hanno affermato il seguente principio di diritto: “Gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal decreto L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice. Resta tuttavia escluso, in considerazione della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata, che l’atto di appello debba rivestire particolari forme sacramentali o che debba contenere la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado” (v. p. 16 e 17 della richiamata sentenza).
2.2. Dalla lettura dell’atto di appello – riportato in gran parte nel ricorso – e al quale questa Corte ha accesso quale giudice del “fatto processuale”, per la natura dello scrutinio richiesto dalla parte ricorrente, emerge che l’esito di inammissibilità cui è pervenuta la Corte di appello di Palermo non risulta corretto, alla luce del principio sopra richiamato, non avendo quel Giudice considerato che le censure formulate in appello sono state sviluppate attraverso l’indicazione delle parti della ordinanza di primo grado ritenute erronee e con l’indicazione delle ragioni poste a fondamento delle censure proposte, offrendo spunti per una decisione diversa.
Deve, pertanto ritenersi soddisfatto il requisito di specificità dell’atto di appello, in ossequio alla corretta esegesi dell’art. 342 c.p.c., avallata dalle Sezioni Unite di questa Corte.
2.3. Ne consegue che il primo motivo proposto è fondato.
3. Dall’accoglimento del primo motivo del ricorso resta assorbito l’esame del secondo motivo, rubricato “Violazione dell’art. 112 c.p.c., art. 101 c.p.c., comma 1, art. 101 c.p.c., comma 2. Nullità della sentenza per error in procedendo (art. 360 c.p.c., n. 4)”, nonchè del terzo motivo, rubricato “Violazione dell’art. 132 c.p.c. per mancanza della motivazione della sentenza in relazione all’art. 111 Cost.. Violazione dell’art. 112 c.p.c. per carenza di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato. Nullità della sentenza per error in procedendo (art. 360 c.p.c., n. 4)”.
4. In conclusione va accolto il primo motivo del ricorso, assorbiti il secondo e il terzo; la sentenza impugnata va cassata; la causa va rinviata alla Corte di appello di Palermo, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
5. Stante l’accoglimento, come sopra precisato, del ricorso, va dato atto della insussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo, assorbiti il secondo e il terzo motivo; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Palermo, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 3 aprile 2019.
Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2019
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