Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.24217 del 30/09/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – rel. Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 09813/2018 proposto da:

Tempor S.p.a., in persona del legale rappresentante in carica, elettivamente domiciliato in ROMA presso l’AVVOCATO ANDREA GRAZIANI, che lo rappresenta e difende unitamente all’AVVOCATO MARCO LUIGI MARIA BASSOLI;

– ricorrente –

contro

Comune di Cava dè Tirreni, in persona del sindaco in carica, domiciliato in ROMA alla via B. Tortolini, n. 30, presso il Dott. ALFREDO PLACIDI, rappresentato e difeso dagli AVVOCATI ANTONINO CASCONE e BARBARA SENATORE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 00044/2018 della CORTE di APPELLO di SALERNO, pubblicata il 11/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/06/2019 da Cristiano Valle, osserva:

FATTI DI CAUSA

Tempor S.p.a. impugna per cassazione la sentenza n. 00044 del 2018 della Corte di Appello di Salerno, che in riforma della sentenza del Tribunale stessa sede (Sezione staccata di Cava dè Tirreni), ha rigettato la domanda di pagamento per prestazioni di contratto di appalto stipulato “a prezzo chiuso” per fornitura lavoratori temporanei (geometri) in favore dell’ente pubblico.

Resiste con controricorso l’Ente pubblico territoriale.

Tempor s.p.a. ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis.1. c.p.c..

Il P.G. non ha presentato conclusioni.

RAGIONI DELLA DECISIONE

I primo dei due motivi è formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 ed addebita alla sentenza impugnata l’omesso esame del fatto decisivo consistente nell’inadempimento del Comune di Cava dè Tirreni alle obbligazioni contrattuali assunte e risultanti dalle fatture non contestate dal Comune (fatture n. ***** e ***** del *****).

Il secondo mezzo è proposto in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in relazione all’art. 1362 c.c. ed alla L. 24 giugno 1997, n. 196, art. 4 in materia di lavoro interinale: il motivo censura la sentenza per errata interpretazione delle clausole contrattuali, in particolare per violazione del canone dell’interpretazione complessiva.

I motivi possono essere congiuntamente esaminati, stante la loro stretta connessione.

I mezzi non paiono adeguatamente formulati e, sono, comunque, infondati.

E’ incontroverso tra le parti, e in ogni caso Tempor S.p.a. nulla ha dedotto sul punto, che il testo del capitolato speciale d’appalto prevedeva, all’art. 9, che la Tempor s.r.l. (ora S.p.a.) fosse obbligata alla prestazione di fornitura di lavoratori sulla base della seguente pattuizione:

“il prezzo offerto dalla Società aggiudicataria ed accettato dall’Amministrazione si intende comprensivo di tutti gli oneri di cui al presente Capitolato Speciale, tutto incluso e nulla eccettuato, per la completa esecuzione della fornitura”.

La detta clausola contrattuale comporta che, conformemente all’orientamento di legittimità, che qui si intende ribadire, l’alea del mutamento dei costi della fornitura in corso di esecuzione della stessa ricade sulla società fornitrice (Cass. n. 15029 del 21/07/2016 n. 07917 del 18/05/2012: “Il divieto della “revisione dei prezzi” e l’obbligatorietà del “prezzo chiuso”, da considerarsi principi regolatori degli appalti pubblici, sono ispirati a parametri di contemperamento tra diritti dell’appaltatore ed esigenze del committente affatto diversi rispetto a quelli della revisione prezzi, atteso che mentre quest’ultimo istituto tende a mantenere fermo l’originario rapporto sinallagmatico tra prestazione dell’appaltatore e controprestazione dell’Amministrazione, adeguando il corrispettivo alle variazioni dei prezzi di mercato, ove questi superino la soglia della normale alea contrattuale, i primi, invece, mirano ad assicurare alla P.A. beni e prestazioni alle migliori condizioni, nonchè a soddisfare l’esigenza della certezza dell’impegno finanziario e di risanamento della finanza pubblica, e ciò mediante un’alea convenzionale forfetizzata per entrambi i contraenti attraverso un sistema di automatico computo degli aumenti sganciato da un preciso collegamento con l’inflazione reale”).

La Tempor S.r.l. era, in breve, obbligata irrevocabilmente alla fornitura dei lavoratori interinali al prezzo offerto ed eventuali aumenti dei costi della prestazione in corso d’opera ricadevano, quindi, a suo carico.

La Corte territoriale ha, pertanto, correttamente escluso che l’Ente pubblico fosse inadempiente, con conseguente insussistenza della violazione di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 addebitata alla sentenza in esame.

L’ulteriore motivo non coglie nel segno: anche a volere interpretare le clausole contrattuali nel senso auspicato dalla Tempor s.r.l. l’inderogabilità dei trattamenti economici in favore dei lavoratori temporanei ricade, come esattamente rilevato dalla Corte territoriale, alla pag. 4, sull’impresa fornitrice e non sull’ente che li utilizza, con la conseguenza che al rispetto dei minimi retributivi contrattuali era tenuta la Tempor S.r.l., sulla quale ricadeva l’alea contrattuale dell’aumento del costo ad essi dovuto durante l’esecuzione del contratto, stante la forfettizzazione derivante dall’adozione della modalità “a prezzo chiuso”.

Nel sistema della L. 24 giugno 1997, n. 196, in materia di lavoro cd. interinale, risulta delineato in via primaria l’obbligo retributivo e contributivo, in favore dei lavoratori interinali, dell’impresa fornitrice, risultando la posizione di quella utilizzatrice gravata in via meramente sussidiaria, come risulta dalla L. n. 196 del 1997, art. 1, comma 5, lett. d) ed f) e artt. 4, 5 e 9.

Nella specie la clausola “a prezzo chiuso” costituisce una deroga, concordata tra la Tempor S.r.l. ed il Comune di Cava dè Tirreni, alla previsione dell’obbligo di cui alla L. n. 196 del 1997, richiamato art. 1, comma 5, lett. f) di rimborso da parte dell’utilizzatore all’impresa fornitrice degli oneri retributivi e previdenziali.

Il riferimento alla circostanza che verrebbero in rilievo delle forniture ulteriori rispetto a quelle oggetto dell’originaria pattuizione è irrilevante, in quanto in ogni caso si tratta di argomento non affrontato dalla sentenza in scrutinio e la Tempor s.p.a. non ha avuto cura di specificare ove il tema fosse stato trattato e, inoltre, le dette proroghe sarebbero comunque coperte, in quanto contrattualizzate, dall’originaria previsione di fornitura “a prezzo chiuso”.

Il ricorso è, pertanto, rigettato.

Le spese di lite seguono la soccombenza della ricorrente, e sono liquidate come da dispositivo, tenuto conto del valore della controversia.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti, consistenti nell’integrale rigetto dell’impugnazione, per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

rigetta il ricorso;

condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite che liquida in complessivi Euro 3.400,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario al 15%, oltre CA ed IVA per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di Cassazione, sezione III civile, il 18 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2019

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