Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.24372 del 30/09/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – rel. Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 18326-2016 proposto da:

DITTA C.C., in persona dell’Amministratore e legale rappresentante C.C., domiciliata ope legis presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dagli Avvocati ANTONIO NOIA, FRANCESCO PERRI;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE C.F.

*****, in persona del legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A. – Società di Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S. C.F. ***** elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto rappresentato e difeso dagli avvocati ANTONINO SGROI, CARLA D’ALOISIO, LELIO MARITATO, ESTER ADA SCIPLINO, GIUSEPPE MATANO, EMANUELE DE ROSE;

– controricorrente –

e contro

EQUITALIA SUD S.P.A., già EQUITALIA ETR S.P.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 210/2016 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 07/03/2016 R.G.N. 102/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/05/2019 dal Consigliere Dott. UMBERTO BERRINO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato FRANCESCO PERRI;

udito l’Avvocato ANTONINO SGROI.

FATTI DI CAUSA

C.C. propose opposizione avverso l’ordinanza-ingiunzione emessa il 3.7.2002 dall’Inps e contro la successiva cartella esattoriale notificatagli per il recupero dei contributi previdenziali non pagati per il dipendente P.G. in relazione al periodo marzo 1997 – marzo 2002.

L’adito Tribunale di Cosenza (sentenza del 19.12.2007) rigettò l’opposizione, reputando dovuti i contributi, ma annullò la cartella esattoriale, in quanto questa era stata emessa prima che intervenisse un provvedimento esecutivo del giudice nel giudizio di opposizione all’ordinanza-ingiunzione. Tale decisione venne confermata dalla Corte d’appello di Catanzaro con sentenza del 12.11.2009. Successivamente, in data 9.11.2009, venne notificata al C. una nuova cartella esattoriale per il pagamento dei medesimi contributi relativi allo stesso dipendente P.. Il C. si oppose, eccependo l’insussistenza del preteso credito e l’illegittimità dell’iscrizione a ruolo, in quanto eseguita in assenza di un provvedimento giudiziale definitivo.

Il Tribunale di Cosenza (sentenza del 15.10.2012) accolse l’opposizione ed annullò la cartella esattoriale, in quanto emessa sulla base di iscrizione a ruolo eseguita in violazione del D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24, comma 3, ossia in assenza di un ordine del giudice che con provvedimento esecutivo avesse disposto una tale iscrizione.

A seguito di impugnazione dell’Inps, la Corte d’appello di Catanzaro (sentenza del 7.3.2016) ha accolto il gravame e, in riforma della decisione del primo giudice, ha rigettato l’opposizione a cartella esattoriale promossa col ricorso del 18.12.2009.

Ha spiegato la Corte territoriale che l’annullamento dell’iscrizione a ruolo, per violazione del D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24, comma 3, non era ostativo alla pronuncia sul merito della pretesa contributiva, che doveva ritenersi sussistente, essendosi formato il giudicato in ordine all’accertamento dei contributi dovuti per il dipendente P. in conseguenza della precedente sentenza dello stesso Tribunale del 19.12.2007 che faceva stato nel giudizio sottoposto al suo esame, in quanto vertente tra le medesime parti ed avente ad oggetto i contributi previdenziali dovuti per lo stesso rapporto di lavoro e per lo stesso periodo.

Per la cassazione della sentenza ricorre C.C. con tre motivi, illustrati da memoria, cui resiste l’Inps con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo il ricorrente deduce la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza di secondo grado anche in relazione all’art. 132 c.p.c., laddove è prescritto al comma 1, n. 2 che la sentenza deve contenere l’indicazione delle parti, nonchè la nullità dell’intero giudizio di secondo grado. Lamenta il ricorrente il mancato coinvolgimento nel giudizio di Equitalia ETR, litisconsorte necessario, per cui l’appello avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile, aggiungendo che alcuna efficacia sanante poteva attribuirsi alla notifica del ricorso per cassazione a tale società di riscossione.

2. Col secondo motivo il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto in relazione al D.Lgs. n. 46 del 1999, artt. 24 e 25 ed all’art. 282 c.p.c., assumendo che, allorquando l’iscrizione a ruolo avviene a seguito di accertamento d’ufficio sottoposto a gravame giudiziario (come nel caso di specie), l’iscrizione stessa può essere eseguita solo per effetto di un provvedimento giudiziario esecutivo divenuto definitivo, donde l’erroneità della decisione della Corte d’appello di dichiarare la legittimità dell’iscrizione a ruolo di cui trattasi, eseguita sulla base di una sentenza di primo grado impugnata.

3. Col terzo motivo viene denunziato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione al D.Lgs. n. 46 del 1999, artt. 24 e 25 ed all’art. 282 c.p.c., contestandosi la motivazione della Corte d’appello nella parte in cui fa riferimento alla esecutorietà della sentenza di primo grado ai fini della integrazione del requisito per l’iscrizione a ruolo dei crediti previdenziali accertati.

4. Il primo motivo è infondato.

Invero, non sussiste nella fattispecie il dedotto litisconsorzio necessario tale da giustificare la partecipazione necessaria al giudizio della società Equitalia ETR, posto che non si è in presenza di una situazione di inscindibilità tra il rapporto intercorrente fra il soggetto impositore titolare del credito contributivo oggetto di causa, vale a dire l’Inps, ed il datore di lavoro destinatario dell’intimazione di pagamento, da una parte, ed il rapporto concessorio sussistente, d’altra parte, tra l’istituto di previdenza e l’ente di riscossione abilitato al recupero dello stesso credito. In effetti, l’oggetto del contendere verteva, nel caso di specie, sulla necessità di accertare la fondatezza della pretesa contributiva vantata dall’Inps a fronte dell’opposizione svolta dal datore di lavoro, accertamento conclusosi con la ritenuta sussistenza, da parte della Corte di merito, del credito stesso sulla base del giudicato (sentenza del Tribunale di Cosenza del 19.12.2007) formatosi in ordine alla verifica dei contributi dovuti per il dipendente P.G. nel periodo marzo 1997 – marzo 2002, così come quantificati nel verbale di accertamento del 26.4.2002.

5. Orbene, ai di fuori dei casi in cui la legge espressamente impone la partecipazione di più soggetti al giudizio instaurato nei confronti di uno di essi, ricorre un’ipotesi di litisconsorzio necessario solo allorquando l’azione tenda alla costituzione o al mutamento di un rapporto plurisoggettivo unico oppure all’adempimento di una prestazione inscindibile, incidente su una situazione giuridica inscindibilmente comune a più soggetti, di modo che, se emanata in assenza del contraddittorio di tutte le parti interessate, la sentenza che ne scaturirebbe sarebbe priva di pratica utilità.

Pertanto, non sussiste un’ipotesi di litisconsorzio necessario nei confronti dell’ente di riscossione nel caso (come quello di cui ci si occupa) in cui il credito di natura contributiva vantato dall’Inps – al cui recupero si sia opposto il datore di lavoro sulla scorta di eccezioni di merito basate sull’asserita insussistenza di tale credito e sulla dedotta mancanza di un provvedimento giudiziale definitivo atto a giustificarne l’iscrizione a ruolo – sia stato in precedenza fatto oggetto di infruttuoso tentativo di riscossione ad opera dell’ente a ciò delegato, posto che nessuna causa di inscindibilità è data ravvisare, nell’ipotesi in esame, tra il rapporto previdenziale, esistente tra l’Inps ed il contribuente, ed il distinto rapporto che lega l’ente di riscossione a quello di previdenza ai fini esecutivi.

6. Egualmente infondato è il secondo motivo, atteso che si è già avuto modo di statuire (Cass. Sez. 6 – L, Ordinanza n. 17858 del 6.7.2018) che ” In tema di riscossione di contributi e di premi assicurativi, il giudice dell’opposizione alla cartella esattoriale che ritenga illegittima l’iscrizione a ruolo non può limitarsi a dichiarare tale illegittimità, ma deve esaminare nel merito la fondatezza della domanda di pagamento dell’istituto previdenziale, valendo gli stessi principi che governano l’opposizione a decreto ingiuntivo. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che, pur avendo accertato l’insussistenza dei presupposti per l’iscrizione a ruolo del credito contributivo, in quanto non era ancora intervenuta una sentenza esecutiva sull’impugnazione dell’avviso di accertamento, aveva omesso di pronunciarsi sul merito dell’esistenza del credito fatto valere dall’ente previdenziale)” (in senso conf. v. Cass. Sez. 6 – L, Ordinanza n. 12025 del 7.5.2019, nonchè Cass. Sez. Lav., Sentenza n. 14149 del 6.8.2012).

7. E’, pertanto, infondata la tesi del ricorrente secondo cui l’insussistenza di un’iscrizione a ruolo basata su un provvedimento giudiziale definitivo osterebbe all’accertamento del credito contributivo in caso di impugnazione del relativo accertamento, essendo a tal fine insufficiente l’esistenza di un provvedimento giudiziale meramente esecutivo.

Tale tesi, che è contraddetta dalla giurisprudenza di legittimità sopra citata, non trova riscontro nella norma di riferimento di cui al D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, art. 24, comma 3, essendo dalla stessa espressamente previsto che “Se l’accertamento effettuato dall’ufficio è impugnato davanti all’autorità giudiziaria, l’iscrizione a ruolo è eseguita in presenza di provvedimento esecutivo del giudice”.

Quindi, è la stessa norma di riferimento che prevede la sola esecutività del provvedimento giudiziale ai fini dell’iscrizione a ruolo in caso di impugnativa dell’accertamento del credito contributivo.

Orbene, nella fattispecie la Corte di merito ha accertato che l’iscrizione a ruolo era stata eseguita sulla base di una sentenza di primo grado esecutiva e successivamente passata in giudicato in ordine alla sussistenza del credito vantato dall’Inps.

8. E’, infine, inammissibile il terzo motivo, posto che con la sentenza n. 8053 del 7/4/2014 delle Sezioni Unite di questa Corte, si è precisato che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

Quindi, nel sistema l’intervento di modifica dell’art. 360 c.p.c., n. 5 comporta un’ulteriore sensibile restrizione dell’ambito di controllo, in sede di legittimità, del controllo sulla motivazione di fatto. Invero, si è affermato (Cass. Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053) essersi avuta, con la riforma dell’art. 360 c.p.c., n. 5, la riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di legittimità, per cui l’anomalia motivazionale denunciabile in questa sede è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sè, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di sufficienza, nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili, nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile.

Ma è evidente che nella specie la valutazione operata dalla Corte di merito, vale a dire l’accertata insussistenza di un effetto inibitorio dell’iscrizione a ruolo del credito derivante dalla pendenza del giudizio d’appello alla data del 30.9.2009 in cui l’iscrizione stessa veniva eseguita, non è affetta da alcuna di queste ultime anomalie, avendo il giudice d’appello espresso in modo chiaro e comprensibile i motivi a sostegno del suo convincimento sulla infondatezza della lamentata ricorrenza della suddetta causa ostativa.

9. In definitiva, il ricorso va rigettato.

Le spese di lite del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza del ricorrente, il quale va, altresì, condannato al pagamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese nella misura di Euro 7.200,00, di cui Euro 7.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 15 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2019

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