LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –
Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –
Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –
Dott. VARRONE Luca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 22734/2017 proposto da:
R.I., R.G., R.N., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA BARNABA TORTOLINI 30, presso lo studio PLACIDI STUDIO, rappresentati e difesi dall’avvocato DOMENICO CICCARELLI;
– ricorrenti –
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
avverso l’ordinanza della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 16/02/2017;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 14/02/2019 dal Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO.
RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE Rilevato:
che i sigg. R.N., R.G. e R.I., anche quali eredi di L.T., vedova R., hanno proposto ricorso, sulla scorta di un unico motivo, per la cassazione del decreto con cui la corte d’appello di Bari ha dichiarato inammissibile la domanda di equa riparazione da loro proposta il 29.2.16 ai sensi della L. n. 89 del 2002, perchè tardiva rispetto al termine semestrale di decadenza di cui all’art. 4 di tale legge;
che la corte barese ha motivato la propria decisione argomentando che:
1) il suddetto termine semestrale decorre dalla data (nella specie, 18.11.10) del passaggio in giudicato della sentenza che ha definito il giudizio presupposto e non dal momento del passaggio in giudicato della sentenza che abbia dichiarato inammissibile l’impugnazione tardivamente proposta avverso quella sentenza;
2) che il giudizio introdotto dall’impugnazione tardivamente proposta doveva ritenersi un nuovo giudizio, distinto da quello concluso con il passaggio in giudicato della sentenza tardivamente impugnata, e, in tale nuovo giudizio, i ricorrenti erano rimasti contumaci e non avevano vinto la presunzione di insussistenza di pregiudizio da irragionevole durata del processo fissata dall’art. 2, comma 2 sexies, introdotto nella L. n. 89 del 2002, dalla L. n. 208 del 2015;
che con l’unico motivo di ricorso, riferito dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 5 ter, D.L. n. 83 del 2012, art. 55, art. 6, par. 1, della CEDU, art. 339 c.p.c., degli artt. 24 e 111Cost., dell’art. 2 del Protocollo CEDU, nonchè il vizio di motivazione insufficiente e contraddittoria;
che il Ministero della Giustizia ha depositato controricorso;
che la causa è stata chiamata all’adunanza in Camera di consiglio del 14 febbraio 2019, per la quale non sono state presentate memorie;
considerato:
che nell’unico mezzo di impugnazione i ricorrenti propongono due distinte censure, la prima relativa alla statuizione di tardività della domanda di equa riparazione dell’irragionevole durata del primo grado del giudizio presupposto e la seconda relativa alla statuizione di rigetto della domanda di equa riparazione dell’irragionevole durata del secondo grado del giudizio presupposto;
che la prima censura va disattesa perchè il Collegio non ravvisa, nè il ricorrente propone, valide ragioni per discostarsi dal principio, più volte ribadito da questa Corte (sentt. nn. 17446/11 e 14076/15), che il termine semestrale di decadenza fissato dalla L. n. 89 del 2001, art. 4, decorre dalla data dell’emissione di una decisione non impugnabile con un mezzo ordinario di impugnazione, ovvero, se una tale impugnazione è prevista dalla legge, dalla data di scadenza del termine stabilito per proporla e che tale regola trova applicazione anche quando una impugnazione ordinaria sia stata in concreto proposta tardivamente, avendosi in tal caso l’inizio di un nuovo processo, la cui durata va esaminata, ai predetti effetti, in modo autonomo rispetto a quella del processo conclusosi con il giudicato;
che la seconda censura va giudicata inammissibile per difetto di specificità, giacchè i ricorrenti non si confrontano con la ratio decidendi dell’impugnato decreto, che poggia sul disposto dalla L. n. 89 del 2002, art. 2, comma 2 sexies, introdotto dalla L. n. 208 del 2015, ma si limitano a richiamare giurisprudenza anteriore all’entrata in vigore di quest’ultima legge, che il decreto impugnato menziona ed espressamente reputa superata dal novum jus (pag. 3);
che, in conclusione, il ricorso va rigettato;
che le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza;
che non si applica il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, risultando dagli atti che il processo è esente dal pagamento del contributo unificato.
P.Q.M.
La corte rigetta il ricorso.
Condanna i ricorrenti a rifondere al Ministero contro ricorrente le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.500, oltre le spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, il 14 febbraio 2019.
Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2019