Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.24391 del 30/09/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – rel. Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5671/2018 proposto da:

D.S., elettivamente domiciliato in Roma Via Sistina 48 presso lo studio dell’avvocato Marco Orlando che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Valentina Maria Elisabetta Vitale per procura in calce a ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, elettivamente domiciliato in Roma Via Dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale Dello Stato che lo rappresenta e difende ex lege;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5261/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 14/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/07/2019 dal Consigliere Dott.ssa Paola GHINOY.

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’appello di Milano confermava il rigetto della domanda di protezione internazionale proposta da D.S., disposto dal Tribunale di Milano.

2. La Corte riferiva che l’appellante aveva confermato quanto dichiarato in precedenza e cioè di avere subito maltrattamenti, minacce e persecuzioni da parte del padre il quale, dopo uno scontro in cui il richiedente gli aveva rotto il braccio, lo allontanava da casa per cui l’appellante aveva abbandonato il suo paese. Aveva anche fatto riferimento alla situazione socio politica del Senegal e dichiarato di non voler farvi rientro poichè teme per la propria vita.

3. Riteneva che i fatti riferiti dal ricorrente fossero di natura strettamente privata e pertanto soggetti alla giustizia del suo paese. Inoltre, il racconto era assolutamente generico per quanto riguarda le circostanze di luogo, di tempo, delle persone, il che, non avendo il ricorrente compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda, rendeva inverosimile la storia narrata ed impediva al giudice di esercitare i suoi poteri d’ufficio.

4. Per quanto riguarda la situazione del paese di origine, negava che la situazione generale del Senegal e quella della Casamance in particolare fossero tali da comportare per qualunque senegalese di ritorno un pericolo di persecuzione e un rischio di subire un danno grave alla persona, il che trovava conferma nel fatto che il Senegal non è oggetto di direttive UNHCR di non rimpatrio: richiamava il sito “*****” valido del ***** che riferisce che “nella regione meridionale della Casamance, compresa fra il Gambia e la Guinea Bissau, si trascinano gli effetti del trentennale conflitto di matrice indipendentista. Saltuariamente si verificano scontri armati tra le forze di sicurezza senegalesi e i ribelli”. Non ravvisava inoltre i presupposti per la concessione della protezione umanitaria, non essendo neppure dedotti specifici fattore di vulnerabilità.

5. Per la cassazione della sentenza D.S. ha proposto ricorso, affidato a sei motivi, cui il Ministero dell’Interno ha resistito con controricorso.

6. Il ricorrente ha depositato anche memoria ex art. 380 bis.1. c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

7. Con il primo motivo di ricorso il richiedente deduce il difetto e la contraddittorietà della motivazione per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti e sostiene che la Corte avrebbe omesso di indicare le motivazioni per le quali ha ritenuto che la domanda fosse limitata alla sola situazione di instabilità del Senegal, nonostante la stessa Corte avesse riconosciuto poco prima che la fuga del ricorrente fosse stata determinata dalle violenze subite e dalle minacce di morte.

8. Come secondo motivo deduce la violazione del D.Lgs. n. 151 del 2007, artt. 5, 6, 7 e 8, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 3, comma 2. Lamenta che la Corte d’appello sarebbe incorsa nella violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, secondo cui i responsabili della persecuzione o del danno grave possono essere anche soggetti privati, per cui la Corte territoriale avrebbe dovuto accertare se lo Stato di origine fosse in grado di offrire adeguata protezione, rispetto alle violenze subite dal genitore.

9. Come terzo motivo deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 51 del 2007, art. 3, comma 5. Lamenta che il racconto sia stato ritenuto generico per quanto riguarda i fatti narrati mentre era stato assolutamente preciso e dettagliato, anche alla luce del fatto che sono passati 17 anni dai fatti.

10. Con il quarto motivo deduce violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 4 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 e lamenta che la Corte non abbia esercitato il proprio dovere di cooperazione istruttoria nella valutazione della situazione generale del paese di provenienza, avendo consultato un sito Internet risalente a quasi 10 mesi prima della data in cui la causa è stata trattenuta in decisione. Richiama il sito “*****” del MAE valido al 9/6/2017 che riferisce che “in considerazione dell’attivismo dei gruppi di matrice terroristica nella fascia sahariana e dell’Africa occidentale resta consistente il rischio di attentati e azioni ostili a danno di cittadini e interessi occidentali. Le autorità senegalesi hanno disposto l’innalzamento delle misure di sicurezza con maggiori controlli su tutto il territorio, con il potenziamento dei check point presenti nella capitale Dakar e con misure di sorveglianza all’accesso a luoghi frequentati dalla comunità internazionale che costituiscono obiettivi sensibili. Si raccomanda pertanto di mantenere elevata la soglia di attenzione nella capitale e in tutto il paese”.

11. Come quinto motivo deduce la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 19, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e lamenta che non sia stata riconosciuta la protezione umanitaria malgrado il ricorrente avesse più volte sottolineato la propria fragilità riconducibile alle ripetute percosse e alla violenza quotidiana subite da parte del padre e all’assenza di vincoli familiari del proprio paese di origine.

12. Come sesto motivo deduce l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in merito alla mancanza di requisiti per il diritto al rilascio di un permesso umanitario e lamenta che la Corte territoriale non abbia dato rilievo al comportamento dimostrante la volontà di integrarsi in Italia desumibile dall’attività lavorativa svolta e dai favorevoli apprezzamenti ricevuti in relazione alla stessa.

13. Il ricorso non è fondato.

In relazione ai primi tre motivi, occorre ribadire che la domanda diretta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (Cass. n. 19197 del 28/09/2015, n. 27336 del 29/10/2018). Il ricorso al Tribunale costituisce atto introduttivo di un giudizio civile, retto dal principio dispositivo: principio che, se nella materia della protezione internazionale viene derogato dalle speciali regole di cui al cit. D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e al D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, che prevedono particolari poteri-doveri istruttori (anche) del giudice, non trova però alcuna deroga quanto alla necessità che la domanda su cui il giudice deve pronunciarsi corrisponda a quella individuabile in base alle allegazioni dell’attore. I fatti costitutivi del diritto alla protezione internazionale devono dunque necessariamente essere indicati dal richiedente, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli in giudizio d’ufficio, secondo la regola generale. In difetto di allegazioni circa la sussistenza di ragioni tali da comportare – alla stregua della normativa sulla protezione internazionale – per il richiedente un pericolo di un grave pregiudizio alla persona, in caso di rientro in Patria, la vicenda narrata deve considerarsi di natura strettamente privata, come tale al di fuori dai presupposti per l’applicazione, sia dello status di rifugiato, sia della protezione sussidiaria, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b), (cfr. Cass. 15/02/2018, n. 3758).

14. Nel caso, la Corte d’appello ha ritenuto non credibile il racconto del richiedente operando una specifica valutazione basata su plurimi elementi che rivelavano la contraddittorietà e genericità di quanto riferito, privo dei sia dettagli che consentissero di ritenere veritiere le circostanze riferite, coerente con gli oneri motivazionali e con i parametri legali di giudizio (D.Lgs. n. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 3 comma 5).

15. Le circostanze fattuali tali da determinare il pericolo di coinvolgimento in atti di persecuzione nel paese di origine avrebbero dunque dovuto essere dedotte in giudizio dall’attuale ricorrente, che però non vi ha adeguatamente provveduto, come risulta dallo stesso ricorso per cassazione, in cui si allega, al più, la compatibilità del racconto con tale situazione.

16. Nella parte in cui il motivo si sostanzia in una censura di merito all’accertamento di fatto compiuto dalla Corte d’appello sulla non credibilità del racconto dello straniero e nella prospettazione di una diversa lettura e interpretazione delle sue dichiarazioni essi sono poi inammissibili, considerato che il vizio di motivazione rappresentato dal travisamento di fatti decisivi non è riconducibile al nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e la motivazione posta a base della decisione del giudice di merito non è meramente apparente, ma si fonda su un nucleo argomentativo logico che ha evidenziato con coerenza le ragioni dell’inattendibilità della narrazione del ricorrente stesso.

17. Nè risulta utilmente censurata la motivazione nella parte in cui la Corte non ha accertato se lo Stato di origine fosse in grado di offrire adeguata protezione, considerato che il richiedente nulla dice di avere allegato a tale proposito.

18. Il giudice di merito ha dunque effettuato compiutamente l’accertamento che doveva, mentre i motivi neppure fanno riferimento ad elementi fattuali decisivi di segno diverso.

19. In relazione al quarto motivo, va ribadito che la nozione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), dev’essere interpretata in conformità della fonte Eurounitaria di cui è attuazione (direttive 2004/83/CE e 2011/95/UE), in coerenza con le indicazioni ermeneutiche fornite dalla Corte di Giustizia UE (Grande Sezione, 18 dicembre 2014, C-542/13, par. 36), secondo cui i rischi a cui è esposta in generale la popolazione di un paese o di una parte di essa di norma non costituiscono di per sè una minaccia individuale da definirsi come danno grave (v. 26 Considerando della Direttiva n. 2011/95/UE), sicchè “l’esistenza di un conflitto armato interno potrà portare alla concessione della protezione sussidiaria solamente nella misura in cui si ritenga eccezionalmente che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati o tra due o più gruppi armati siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria, ai sensi dell’art. 15 Direttiva, lett. c), a motivo del fatto che il grado di violenza indiscriminata che li caratterizza raggiunge un livello talmente elevato da far sussistere fondati motivi per ritenere che un civile rinviato nel paese in questione o, se del caso, nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio di questi ultimi, un rischio effettivo di subire la detta minaccia (v., in questo senso, Corte Giustizia UE 17 febbraio 2009, Elgafaji, C-465/07, e 30 gennaio 2014, Diakitè, C285/12; vedi pure Cass. n. 13858 del 2018 e Cass. n. 30105 del 2018).

20. La delibazione circa l’esclusione dell’esistenza in Senegal, e in particolare nella regione di Casamance, di una situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale” (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c)) è stata nel caso compiuta dalla Corte di merito ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, utilizzando informazioni tratte dal sito del Ministero degli Esteri del febbraio 2017, ossia aggiornate a nove mesi prima della decisione (novembre 2017), che escludevano, nella zona di provenienza del ricorrente, una situazione di conflitto generalizzato. Il successivo rapporto del ***** valorizzato dal ricorrente fa riferimento ad attentati terroristici, in danno di cittadini ed interessi occidentali (e non dei residenti), situazione che non rientra nella nozione di conflitto armato generalizzato, interno ed internazionale, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, atteso il carattere circoscritto degli obiettivi sensibili.

21. Infondati sono infine il quinto e sesto motivo nella parte in cui lamentano il mancato riconoscimento della protezione umanitaria, secondo la normativa anteriore alla modifica operata con il D.L. 4 ottobre 2018, n. 113, convertito in L. n. 132 del 2018.

22. L’attendibilità e la rilevanza della narrazione dei fatti che hanno indotto lo straniero a lasciare il proprio Paese svolge un ruolo rilevante anche ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, atteso che ai fini di valutare se il richiedente abbia subito nel paese d’origine una effettiva e significativa compromissione dei diritti fondamentali inviolabili, pur partendo dalla situazione oggettiva del paese d’origine, questa deve essere necessariamente correlata alla condizione personale che ha determinato la ragione della partenza, secondo le allegazioni del richiedente (Cass. 4455/2018), la cui attendibilità soltanto consente l’attivazione dei poteri officiosi. La rilevanza di quanto narrato dall’istante è stata, peraltro, esclusa, nel caso di specie, per i motivi suesposti.

23. Nessuna rilevanza può, inoltre, attribuirsi di per sè al contratto lavoro e all’integrazione raggiunta in Italia, in difetto di elementi di comparazione di segno negativo, che evidenzino una compromissione dei diritti umani che attenderebbe l’immigrato in caso di ritorno in patria. Questa Corte ha infatti chiarito (v. Cass. 23/02/2018, n. 4455 e successive conformi) che il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza.

24. Non può essere dunque riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari considerando, isolatamente ed astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al Paese di provenienza, atteso che il rispetto del diritto alla vita privata di cui all’art. 8 CEDU, può soffrire ingerenze legittime da parte di pubblici poteri finalizzate al raggiungimento d’interessi pubblici contrapposti quali quelli relativi al rispetto delle leggi sull’immigrazione, particolarmente nel caso in cui lo straniero non possieda uno stabile titolo di soggiorno nello Stato di accoglienza, ma vi risieda in attesa che sia definita la sua domanda di riconoscimento della protezione internazionale (Cass. 28/06/2018, n. 17072).

25. Segue coerente il rigetto del ricorso.

26. Le spese seguono la soccombenza.

27. Sussistono i presupposti per l’applicazione del doppio contributo di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, non risultando il richiedente ammesso al patrocinio a spese dello Stato.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate in complessivi Euro 2.100,00 per compensi, oltre alle spese generali nella misura del 15% e alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 9 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2019

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