LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –
Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –
Dott. GHINOY Paola – rel. Consigliere –
Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –
Dott. SCALIA Laura – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 18257/2018 proposto da:
R.A., elettivamente domiciliato in Milano, via Lamarmora n. 42, presso lo studio dell’avv. Daniela Gasparin, che lo rappresenta e difende come da procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, elettivamente domiciliato in Roma Via Dei Portoghesi 12 presso l’Avvocatura Generale Dello Stato che lo rappresenta e difende ex lege;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2011/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 24/04/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 09/07/2019 dal Consigliere Dott.ssa Paola GHINOY.
FATTI DI CAUSA
1. La Corte d’appello di Milano confermava il rigetto della domanda di protezione internazionale, proposta da R.A., nato a ***** disposto dal Tribunale di Milano.
2. La Corte riteneva che il racconto del richiedente, che aveva riferito di temere per la propria incolumità in ragione dell’appartenenza sua e della sua famiglia al partito di minoranza PPP, non fosse credibile essendo fondato su stereotipi narrativi relativi alla situazione generale, con ricostruzioni in contrasto tra loro; il R. inoltre aveva fornito documentazione inattendibile, con fondato dubbio finanche sulla sua identità. In relazione alla situazione politica del paese di appartenenza argomentava che dal rapporto EASO del luglio 2016 e della Commissione Milano sulla sicurezza del Pakistan si rileva che nel 2015 gli attacchi terroristici in Pakistan sono diminuiti del 61% rispetto all’anno precedente e la situazione sulla sicurezza è in generale migliorata. Neppure sussistevano i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria, non essendo ravvisabile nessuna specifica vulnerabilità personale nella posizione personale del richiedente.
3. R.A. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza, affidato a tre motivi, cui il Ministero dell’Interno ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
4. Come primo motivo di ricorso il richiedente deduce la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 4,5,6 e 7, D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27, artt. 2 e 3 della CEDU nonchè omesso esame di fatti decisivi e assenza di motivazione, nonchè la violazione dei parametri normativi relativi agli atti di persecuzione e minacce subiti in ragione dell’attività politica del ricorrente. Lamenta che il proprio racconto sia risultato poco dettagliato, poco credibile e comunque non plausibile, laddove egli era stato molto chiaro nell’illustrare le minacce, i rischi e i pericoli esistenti nel proprio paese.
5. Come secondo motivo deduce la violazione dei parametri normativi relativi alla credibilità delle dichiarazioni del richiedente fissati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c) e la violazione degli obblighi di cooperazione istruttoria incombenti sull’autorità giurisdizionale. Omesso esame di fatti decisivi. Deduce altresì violazione e falsa applicazione di legge relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 14, D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27, artt. 2 e 3 CEDU; violazione dei parametri normativi per la definizione di un danno grave; violazione di legge riferimento agli artt. 6 e 13 della Convenzione EDU, all’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’unione Europea e all’art. 46 della Direttiva Europea n. 32 del 2013. Lamenta che la Corte di merito non abbia esercitato l’obbligo di cooperazione istruttoria al fine di verificare la situazione attuale di rischio nel paese di provenienza.
6. Come terzo motivo deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 2 e dell’art. 10, comma 3, motivazione apparente in relazione alla domanda di protezione umanitaria e alla valutazione di assenza di specifica vulnerabilità. Omesso esame di fatti decisivi circa la sussistenza dei requisiti di quest’ultima. Violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3,4,7,14,16,17; D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8, 10, 32, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, art. 10 Cost.. Omesso esame di un fatto decisivo in relazione ai presupposti della protezione umanitaria. Mancanza o quantomeno apparenza della motivazione. Nullità della sentenza per violazione di varie disposizioni: artt. 112,132 c.p.c., art. 156 c.p.c., comma 2, art. 111 Cost., comma 6. Lamenta che la Corte territoriale non abbia ravvisato nella sua situazione alcuna specifica vulnerabilità malgrado la propria condizione personale e quanto accaduto al fratello, fatti in ordine ai quali nessuno specifico accertamento sarebbe stato svolto.
7. In relazione ai primi due motivi, occorre ribadire che la domanda diretta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (Cass. n. 19197 del 28/09/2015, n. 27336 del 29/10/2018). Il ricorso al Tribunale costituisce atto introduttivo di un giudizio civile, retto dal principio dispositivo: principio che, se nella materia della protezione internazionale viene derogato dalle speciali regole di cui al cit. D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e al D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, che prevedono particolari poteri-doveri istruttori (anche) del giudice, non trova però alcuna deroga quanto alla necessità che la domanda su cui il giudice deve pronunciarsi corrisponda a quella individuabile in base alle allegazioni dell’attore. I fatti costitutivi del diritto alla protezione internazionale devono dunque necessariamente essere indicati dal richiedente, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli in giudizio d’ufficio, secondo la regola generale. In difetto di allegazioni circa la sussistenza di ragioni tali da comportare – alla stregua della normativa sulla protezione internazionale – per il richiedente un pericolo di un grave pregiudizio alla persona, in caso di rientro in Patria, la vicenda narrata deve considerarsi di natura strettamente privata, come tale al di fuori dai presupposti per l’applicazione, sia dello status di rifugiato, sia della protezione sussidiaria, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b), (cfr. Cass. 15/02/2018, n. 3758).
8. Le circostanze fattuali tali da determinare il pericolo di coinvolgimento in atti di persecuzione nel paese di origine avrebbero dunque dovuto essere dedotti in giudizio dall’attuale ricorrente, che però non vi ha adeguatamente provveduto, come risulta dallo stesso ricorso per cassazione, in cui si allega, al più, la compatibilità del racconto con tale situazione.
9. Nella parte in cui il motivo si sostanzia in una censura di merito all’accertamento di fatto compiuto dal giudice di merito sulla credibilità del racconto e nella prospettazione di una diversa lettura e interpretazione delle dichiarazioni rese il motivo è poi inammissibile, considerato che il vizio di motivazione sotto il profilo del travisamento di fatti decisivi non è riconducibile al nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e la motivazione posta a base della decisione del giudice di merito non è meramente apparente, ma si fonda su un nucleo argomentativo logico desunto da un vaglio rigoroso delle risultanze di causa.
10. Per quanto concerne invece la protezione di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), è dovere del giudice verificare, avvalendosi dei poteri officiosi di indagine e di informazione di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, se la situazione di esposizione a pericolo per l’incolumità fisica indicata dal ricorrente, astrattamente riconducibile ad una situazione tipizzata di rischio, sia effettivamente sussistente nel Paese nel quale dovrebbe essere disposto il rimpatrio, sulla base ad un accertamento che deve essere aggiornato al momento della decisione (Cass., 28/06/2018, n. 17075; Cass., 12/11/2018, n. 28990). Al fine di ritenere adempiuto tale onere, tuttavia, il giudice è tenuto ad indicare specificatamente le fonti in base alle quali abbia svolto l’accertamento richiesto (Cass., 26/04/2019, n. 11312). Nel caso concreto, la Corte territoriale ha bensì fatto riferimento a fonti internazionali, ma non si tratta di fonti aggiornate la momento della decisione (aprile 2018), trattandosi di fonti risalenti agli anni 2015 e 2016; inoltre, si parla di una diminuzione degli attacchi terroristici, senza ulteriori specificazioni in ordine alle effettive dimensioni attuali del fenomeno.
11. Il primo e secondo motivo di ricorso devono quindi essere accolti nei limiti di cui in motivazione, con riferimento alla valutazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), con cassazione in parte qua della sentenza impugnata e rinvio alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione che dovrà procedere a nuovo esame in coerenza con quanto sopra detto e dovrà provvedere anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
12. Resta assorbito il terzo motivo, che ha ad oggetto la protezione umanitaria, da trattarsi solo ove vengano rigettate nel merito le domande rivolte verso gli strumenti tipici di protezione internazionale (Cass. n. 11261 del 24/4/2019). Tanto esonera dall’esame dello ius superveniens costituito dal D.L. 4 ottobre 2018, n. 113, convertito in L. n. 132 del 2018.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo e secondo motivo di ricorso nei limiti di cui in motivazione, assorbito il terzo motivo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 9 luglio 2019.
Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2019