Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.24401 del 30/09/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – rel. Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 22160/2018 proposto da:

A.I., elettivamente domiciliato presso l’avv. Alessandro Praticò che lo rappres. e difende, con procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro p.t., elettivamente domiciliato in Roma, alla via Dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 29/2018 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 03/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/07/2019 dal Consigliere CAIAZZO ROSARIO.

RILEVATO

CHE:

A.I., cittadino nigeriano, chiese il riconoscimento della protezione internazionale e di quella umanitaria con istanza rigettata dalla Commissione territoriale con provvedimento emesso in data 13.4.16, impugnato con ricorso innanzi al Tribunale di Torino che, con ordinanza emessa il 3.1.18, fu respinto, argomentando dalla non credibilità del racconto del ricorrente.

Lo A. propose appello, rigettato dalla Corte d’appello di Torino con sentenza emessa il 3.1.2018, osservando che: era da condividere la valutazione di completa inattendibilità del racconto reso dal ricorrente, giudizio di carattere assorbente; per completezza di motivazione, era da ritenere infondata la doglianza relativa allo status di rifugiato, anche a tener conto di quanto riferito dal ricorrente in ordine ad asserite minacce ricevute da una setta e rilevando che il giudice di primo grado era tenuto al rispetto del principio della domanda, non sussistendo un’automatica devoluzione al giudice d’appello; era altresì infondata la doglianza afferente alla situazione socio-economica della Nigeria, circa la protezione sussidiaria, in quanto la ristretta area nella quale si verificavano gli eventi terroristici segnalati non permetteva di affermare che la Nigeria versasse in una condizione di guerra civile o di manifesto conflitto armato e che, comunque, nella regione di provenienza del ricorrente non sussisteva un conflitto armato o una situazione di violenza indiscriminata; era da escludere anche la protezione umanitaria non avendo il ricorrente allegato situazioni specifiche di vulnerabilità, pur intendendo ritenere credibile il suo racconto, dato che quanto riferito non lo avrebbe comunque esposto ad alcun rischio in caso di rientro in patria; il ricorrente non aveva dimostrato un significativo grado d’integrazione sociale in Italia.

Lo A. propone ricorso in cassazione affidato a tre motivi.

Resiste il Ministero con controricorso.

RITENUTO

CHE:

Con il primo motivo è denunziata violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 nonchè il vizio di motivazione, per aver la Corte d’appello: affermato la natura impugnatoria del ricorso giurisdizionale, lamentando che il giudice di primo grado non aveva esaminato la domanda di protezione internazionale, in mancanza di uno specifico motivo d’impugnazione e in violazione della regola dell’automatica devoluzione dei motivi di ricorso alla Commissione; negata l’audizione del ricorrente, ritenendo erroneamente che il difensore del ricorrente avesse rinunziato alla stessa, mentre, invece, la rinunzia era stata dettata solo dalla mancanza dell’interprete.

Con il secondo motivo è denunziata violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 5,6,7 e 14 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 unitamente al vizio di motivazione per aver la Corte d’appello formato il proprio convincimento sull’esclusione della protezione sussidiaria, soltanto sulla base della credibilità soggettiva del ricorrente, senza tener conto degli altri criteri dettati dalla legge, quali i riscontri oggettivi relativi alla situazione generale della Nigeria fondati anche sulla documentazione offerta dal medesimo ricorrente, sicchè la Corte territoriale, sussistendo un’incerta valutazione delle affermazioni di quest’ultimo, avrebbe dovuto disporre la sua audizione e attivare i poteri ufficiosi istruttori.

Inoltre, con il terzo motivo il ricorrente si duole che la Corte d’appello abbia escluso la protezione sussidiaria, in quanto la non riferibilità di una situazione di violenza indiscriminata alla zona di provenienza del ricorrente era stata smentita dalla documentazione prodotta.

Con il quarto motivo è denunziata violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, nonchè vizio di motivazione, ed omesso esame di fatto decisivo, per non aver la Corte d’appello riconosciuto i presupposti del permesso umanitario senza calare la vicenda personale del ricorrente nella situazione generale della Nigeria e senza tener conto del fatto che la fuga in Italia era stata dettata dalla necessità di abbandonare una setta segreta di natura politica per sfuggire ad un serio pericolo per la propria incolumità, ed avendo dunque la Corte d’appello omesso la verifica della situazione di violenza indiscriminata nel Paese che avrebbe potuto legittimare la protezione umanitaria, pur a voler ritenere non credibile la narrazione dei fatti resa dal ricorrente innanzi alla Commissione territoriale, non avendo altresì considerato l’attività lavorativa in Italia.

Il primo e secondo motivo, da esaminare congiuntamente poichè la natura impugnatoria del procedimento è stata affermata dalla Corte d’appello con riferimento specifico alla richiesta di nuova audizione del richiedente nel giudizio di appello, sono infondati.

Invero, nel procedimento in grado d’appello, relativo ad una domanda di protezione internazionale, non è ravvisabile una violazione processuale sanzionabile a pena di nullità nell’omessa audizione personale del richiedente, atteso che il rinvio, contenuto nel D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35, comma 13, – applicabile al caso concreto ratione temporis – al precedente comma 10 che prevede l’obbligo di sentire le partì, non si configura come un incombente automatico e doveroso, ma come un diritto della parte di richiedere l’interrogatorio personale, cui sì collega il potere officioso del giudice d’appello di valutarne la specifica rilevanza (Cass., n. 3003/2018; Cass., n. 24544/2011).

Nel caso di specie, tale rilevanza è stata – con ampia ed adeguata motivazione – esclusa dalla Corte territoriale.

Il terzo motivo è fondato, limitatamente alla protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c). La valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce, invero, un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito – e censurabile solo nei limiti di cui al novellato art. 360 c.p.c., n. 5 – il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c) (Cass., n. 3340/2019), escludendosi, in mancanza, la necessità e la possibilità stessa per il giudice di merito – laddove non vengano dedotti fatti attendibili e concreti, idonei a consentire un approfondimento ufficioso – di operare ulteriori accertamenti.

In materia di protezione internazionale, l’accertamento del giudice di merito deve, invero, innanzi tutto avere ad oggetto la credibilità soggettiva della versione del richiedente circa l’esposizione a rischio grave alla vita o alla persona. Qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine (Cass., n. 16925/2018; Cass., n. 28862/2018).

Nel caso concreto, la Corte d’appello ha diffusamente ed adeguatamente (pp. 17 e 18) motivato in ordine alle ragioni per le quali la narrazione dell’istante non è credibile, in relazione alle minacce che avrebbe ricevuto dagli appartenenti ad una, non meglio precisata setta (in relazione alla sua inverosimile localizzazione in un bosco, alla mancanza totale di dati identificativi dei suoi partecipanti e della sua organizzazione, al fatto che l’istante aveva atteso un anno dalle minacce prima di lasciare il Paese, alla concreta possibilità di ricevere aiuto dalla polizia locale), e la censura si traduce in una sostanziale, inammissibile, richiesta di riesame del merito della vicenda.

La non credibilità del richiedente esclude in radice la riconoscibilità dello status di rifugiato e la protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b) mentre non svolge ruolo alcuno in relazione alla protezione sussidiaria di cui alla lett. c). In tema di protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2017, ex art. 14, lett. c), invero, il potere-dovere di indagine d’ufficio del giudice circa la situazione generale esistente nel paese d’origine del richiedente, che va esercitato dando conto, nel provvedimento emesso, delle fonti informative attinte, in modo da verificarne anche l’aggiornamento, non trova ostacolo nella non credibilità delle dichiarazioni rese dal richiedente stesso riguardo alla propria vicenda personale (Cass., n. 14283/2019).

Orbene, per quanto concerne la protezione di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) alla stregua della consolidata giurisprudenza di questa Corte, cui il collegio intende dare continuità, è dovere del giudice verificare, avvalendosi dei poteri officiosi di indagine e di informazione di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, se la situazione di esposizione a pericolo per l’incolumità fisica indicata dal ricorrente, astrattamente riconducibile ad una situazione tipizzata di rischio, sia effettivamente sussistente nel Paese nel quale dovrebbe essere disposto il rimpatrio, sulla base ad un accertamento che deve essere aggiornato al momento della decisione (Cass., n. 17075 e n. 28990/2018).

Al fine di ritenere adempiuto tale onere, inoltre, il giudice è tenuto ad indicare specificatamente le fonti in base alle quali abbia svolto l’accertamento richiesto (Cass., n. 11312/19).

Nel caso concreto, la Corte territoriale ha bensì fatto riferimento a fonti internazionali dalle quali avrebbe tratto il proprio convincimento sulla assenza di una situazione di conflitto generalizzato nella regione di provenienza dell’istante, ma non ha indicato la data di tali fonti, onde consentire alla Corte di verificare se si tratta di accertamenti aggiornati alla data della decisione (gennaio 2018).

Il quarto motivo (relativo alla protezione umanitaria), è assorbito dall’accoglimento del terzo motivo.

Per quanto esposto, la sentenza impugnata va cassata, con riferimento al motivo accolto, con rinvio alla Corte d’appello di Torino, anche per le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il terzo motivo, rigettati i primi due e assorbito il quarto.

Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Torino, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 9 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2019

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