LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –
Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –
Dott. GHINOY Paola – Consigliere –
Dott. CAIAZZO Luigi Pietro – rel. Consigliere –
Dott. SCALIA Laura – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 23263/2018 proposto da:
S.B., elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. Lorenzo Trucco dal quale è rappres. e difeso, con procura speciale in atti;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’interno, in persona del legale rappres. p.t., elettivamente domiciliato in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
Procura Generale della Repubblica presso la Corte Suprema di Cassazione;
– intimata –
avverso la sentenza n. 52/2018 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 08/01/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/07/2019 dal Consigliere Dott. CAIAZZO ROSARIO.
RILEVATO
CHE:
S.B., cittadino del Bangladesh, impugnò il provvedimento della Commissione territoriale di diniego del riconoscimento della protezione internazione e di quella umanitaria, innanzi al Tribunale di Torino che, con ordinanza respinse il ricorso. La Corte d’appello di Torino, con sentenza dell’8.1.18, rigettò l’appello, osservando che: i fatti narrati dal ricorrente erano generici e contraddittori, attenendo a vicenda esclusivamente privata; non era stata giustificata la mancata denuncia delle aggressioni che lo stesso ricorrente e il padre avrebbero subito (e che sarebbero state la causa dell’allontanamento dal Bangladesh); non era stata dunque raggiunta la prova del pericolo di danno grave in caso di rimpatrio ai fini della protezione sussidiaria; non sussistevano i presupposti della protezione umanitaria, poichè il ricorso era fondato su affermazioni ipotetiche e in considerazione del minimo grado di radicamento sociale in Italia.
Lo S. propone ricorso in cassazione formulando un unico motivo.
Resiste il Ministero con controricorso.
RITENUTO
CHE:
Con l’unico motivo è denunziata violazione ed erronea applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19 non avendo la Corte d’appello valutato correttamente la situazione di vulnerabilità in relazione al Paese di provenienza, sulla base dei report internazionali citati, anche in ordine all’età del ricorrente.
Il motivo è inammissibile.
Va osservato che l’attendibilità della narrazione dei fatti che hanno indotto lo straniero a lasciare il proprio Paese svolge un ruolo rilevante, atteso che ai fini di valutare se il richiedente abbia subito nel paese d’origine una effettiva e significativa compromissione dei diritti fondamentali inviolabili, la situazione oggettiva del paese d’origine deve essere necessariamente correlata alla condizione personale che ha determinato la ragione della partenza, secondo le allegazioni del richiedente, la cui attendibilità soltanto consente l’attivazione dei poteri officiosi (Cass. n. 4455/2018).
Nel caso di specie, la Corte d’appello ha ritenuto la narrazione dei fatti, operata dal ricorrente, del tutto inattendibile, sia perchè generica e contraddittoria (non avendo il medesimo fornito alcun elemento di identificazione dei presunti aggressori, non essendo stato in grado di fornire alcun riferimento spazio-temporale, ed alcun mezzo di prova a sostegno delle sue dichiarazioni, e trattandosi di una vicenda privata che ben avrebbe potuto risolta mediante una denuncia alla polizia locale).
Inoltre, il giudice di appello ha rilevato che l’istante non aveva fatto riferimento alla situazione del Bangladesh, che peraltro la Corte territoriale ha accertato essere un Paese non soggetto a violenza indiscriminata e connotato da situazioni di violazioni dei diritti umani fondamentali. Infine, la Corte ha accertato in fatto un radicamento del richiedente ed un inserimento del medesimo nel tessuto sociale assolutamente insignificante.
A fronte di tali motivate argomentazioni, deve ritenersi che l’impugnazione sia fondata su allegazioni di principio, generiche e di merito, inammissibili in questa sede.
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida nella somma di Euro 2100,00 oltre alla maggiorazione del 15 quale rimborso forfettario delle spese generali.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 9 luglio 2019.
Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2019