Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.24411 del 30/09/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – rel. Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. VELLA Paolo – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25601/2018 proposto da:

F.M., elettivamente domiciliato in Roma Via Dei Carraresi, 4/b presso lo studio dell’avvocato Barbati Mario che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Di Rosa Clementina;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di NAPOLI, depositato il 18/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/07/2019 dal Cons. Dott. FEDERICO GUIDO;

udito l’Avvocato.

RITENUTO IN FATTO

F.M., cittadino originario del Senegal, propone ricorso per cassazione, con tre motivi, avverso il decreto del Tribunale di Napoli, che, ha respinto le domande di protezione internazionale e sussidiaria proposte dal richiedente.

Il Tribunale, in particolare, all’esito dell’interrogatorio libero del ricorrente ha ritenuto di respingere la domanda, considerata la presenza di numerose contraddizioni non risolte nel racconto del richiedente e la mancanza di sufficiente precisione sui fatti principali su cui si imperniavano le ragioni di fuga.

Il tribunale concludeva pertanto per la mancanza di verosimiglianza del racconto e della scarsa pluasibilità dei timori di subire trattamenti inumani o degradanti, e per la mancata rappresentazione di idonei atti o fatti persecutori nel senso di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 8.

Il tribunale escludeva inoltre sulla base di fonti internazionali attendibili che nella regione del Senegal di provenienza del richiedente fosse ravvisabile una situazione di violenza indiscriminata derivante da una situazione generale di conflitto armato e che il ricorrente appartenesse ad una delle categorie esposte a violenza, torture o altre forme di trattamento inumano riconducibili ai presupposti per la concessione della protezione sussidiaria.

Il Ministero dell’Interno non ha svolto difese.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3,5,6,7,8 e 14 e delle norme in materia di status di rifugiato e protezione sussidiaria, censurando la statuizione che ha escluso la protezione sussidiaria del ricorrente, omettendo di dare rilievo al fatto che costui aveva subito atti di violenza e minaccia, oltre ad essere stato ingiustamente accusato per un reato che non aveva commesso.

Il secondo mezzo denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 censurando la statuizione che ha negato il permesso di soggiorno per motivi umanitari, deducendo la sussistenza di vulnerabilità del richiedente dovuta alla giovane età, alle tensioni sociali di natura politica ed etica, all’avvenuta integrazione nel tessuto socio-culturale Europeo.

Il terzo motivo denuncia l’omesso esame di un fatto storico, la contraddittorietà ed illogicità del provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5), in relazione alla statuizione che ha escluso la credibilità del ricorrente, senza tener conto della sua precaria situazione psicologica.

I motivi sono inammissibili.

Conviene premettere che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ovvero sotto il profilo della mancanza assoluta della motivazione, della motivazione apparente o perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Cass. 3340/2019).

Orbene, nel caso di specie il Tribunale ha approfonditamente analizzato le dichiarazioni rese del ricorrente sia innanzi alla Commissione che in sede di interrogatorio libero, ritenendo, con apprezzamento adeguato, la sussistenza di incongruenze, imprecisioni e contraddizioni del racconto tali da inficiare in modo radicale la credibilità del ricorrente.

Qualora le dichiarazioni del richiedente siano giudicate inattendibili alla stregua dei criteri di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 non occorre procedere ad approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel paese di origine – con riferimento al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) salvo che – ipotesi neppure allegata nella specie – la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (Cass. 16925/2018).

Si osserva poi, con riferimento al riconoscimento della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c) che la nozione di violenza indiscriminata in situazione di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza della Corte di Giustizia del 30.1.2014 (causa C-285/12 – Diakitè) dev’essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato o uno o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria, ovvero che il grado di violenza indiscriminata abbia raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel paese o regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia(Cass. 13858 del 31.5.2018).

Nel caso di specie, non risulta una situazione di violenza così generalizzata nella regione di provenienza si che il solo rientro integri in sè pericolo di vita o all’integrità personale.

Quanto infine alla censura avverso il mancato riconoscimento protezione umanitaria, pur alla luce del D.L. n. 113 del 2018, è evidente che l’attendibilità della narrazione svolge un ruolo rilevante, atteso che ai fini di valutare se il richiedente abbia subito un’effettiva e significativa compromissione dei diritti fondamentali inviolabili, questa dev’essere necessariamente correlata alla condizione del richiedente, posto che solo la sua attendibilità consente di attivare poteri officiosi (Cass. 4455/2018).

Il mezzo è peraltro del tutto generico e non contiene una allegazione della specifica situazione di fragilità del richiedente, limitandosi ad una inammissibile richiesta di riesame nel merito della valutazione effettuata dal Tribunale.

Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile e, considerato che il Ministero non ha svolto difese, non deve provvedersi sulle spese del giudizio.

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 10 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2019

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