LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIA Lucia – Presidente –
Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –
Dott. MELONI Marina – Consigliere –
Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 17077-2018 r.g. proposto da:
C.A., (cod. fisc. *****), rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato Ilaria Di Punzio, elettivamente domiciliato in Roma Via Vigliena n. 9, presso lo studio dell’Avvocato Alessandra Malara;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso, ex lege, dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, è domiciliato;
– controricorrente –
avverso il decreto del Tribunale di Roma, depositato in data 17.5.2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 9/9/2019 dal Consigliere, Dott. Roberto Amatore.
RILEVATO
che:
1. Con il provvedimento impugnato il Tribunale di Roma – decidendo sulle domande di protezione internazionale ed umanitaria avanzate da C.A., cittadino della Costa D’Avorio, dopo il diniego di protezione della commissione territoriale di Roma – ha rigettato tutte domande avanzate dal richiedente.
La tribunale ha ritenuto non credibile H racconto del richiedente, in riferimento alle ragioni che avevano spinto quest’ultimo a fuggire dalla Costa D’Avorio: il ricorrente ha, infatti, narrato, già innanzi alla commissione territoriale, che era costretto ad abbondare il suo paese perchè coinvolto in un faida familiare di carattere religioso, in seguito alla quale era deceduto anche il suo fratello maggiore. Il tribunale ha, dunque, evidenziato che la domanda di asilo fondata sull’art. 10 Cost. doveva ritenersi assorbita dalle altre domande, volte ad ottenere la protezione internazionale ed umanitaria; ha, inoltre, osservato che la fattispecie allegata dal ricorrente non rientrava nell’ambito di tutela della protezione internazionale, non essendo rintracciabile un’ipotesi di persecuzione religiosa e, comunque, non essendo presenti problematiche di tal fatta in Costa d’Avorio, e ciò anche sulla base delle informazioni estraibili da qualificate fonti di conoscenza internazionali; ha, comunque, escluso che il richiedente potesse essere qualificato come perseguitato, perchè, nella ipotesi descritta, quest’ultimo ben avrebbe potuto richiedere l’intervento delle autorità statali per la sua protezione. Il tribunale ha, inoltre, ritenuto che non ricorressero gli estremi per la reclamata protezione sussidiaria, atteso che, per un verso, le ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a), non erano state neanche prospettate dal richiedente e che, per altro verso, non poteva applicarsi neanche la protezione prevista dalla lett. b) della medesima norma sopra richiamata, in quanto gli agenti di danno avevano natura privata e comunque poteva sempre essere attivata la protezione statale; ha, infine, evidenziato che non era rintracciabile nella Costa d’Avorio una situazione di danno legata a conflitti armati generalizzati, in quanto il paese era orami avviato su un percorso di democratizzazione e le problematiche relative alla tutela dei diritti civili erano in corso di soluzione. Il tribunale ha ritenuto, inoltre, che il richiedente non si trovasse in una condizione di vulnerabilità, così non riconoscendo la richiesta protezione umanitaria.
2. Il decreto, pubblicato il 17.5.2018, è stato impugnato da C.A. con ricorso per cassazione, affidato a due motivi, cui il Ministero dell’Interno ha resistito con controricorso.
La parte ricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO
che:
1. Con il primo motivo la parte ricorrente (lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2,5 e 6, in relazione all’art. 2 Convenzione di Ginevra, comma 1, lett. E. Si evidenzia l’erroneità della motivazione impugnata laddove aveva affermato la natura privata e non statuale della persecuzione patita dal richiedente e la possibilità del ricorso alla protezione statuale per contenere la minaccia subita. Si osserva che, come riconosciuto nello stesso provvedimento impugnato, nella Costa d’Avorio è presente tuttora una situazione di generalizzata di impunità per gli autori degli abusi e dunque non è neanche ipotizzabile l’attivazione di misure cautelari per contenere i pericoli collegati alla commissione di reati.
2. Con il secondo motivo si censura il provvedimento impugnato per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Si evidenzia il concreto pericolo di vita per il richiedente, nel caso di rientro nel paese di provenienza, giacchè, nonostante il percorso di democratizzazione in corso, la situazione di criticità interna del paese non consente il godimento dei diritti civili fondamentali.
3. Il ricorso è inammissibile.
3.1 Già il primo motivo è inammissibile.
Osserva la Corte come la censura prospettata dal ricorrente non colga la ratio decidendi principale su cui riposa la decisione di rigetto delle domande di protezione internazionale articolate dal ricorrente, e cioè la valutazione di non credibilità del racconto del richiedente. Ed invero, tale valutazione negativa – se non censurata (come avvenuto nel caso in esame) – assorbe ogni ulteriore questione legata alla richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato e di protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b). Va aggiunto che il provvedimento impugnato, con valutazione in fatto non censurabile in questa sede decisoria, ha evidenziato la possibilità di ricorrere, in Costa d’Avorio, anche alla protezione statale in caso di persecuzione religiosa attivata da agenti di danno privati, così chiudendo anche la possibilità di configurare una persecuzione “privata” idonea a legittimare la richiesta protezione sussidiaria, da ultimo ricordato D.Lgs., sub art. 14, lett. b).
3.2 Il secondo motivo risulta anch’esso inammissibile.
La censura di compone di doglianze generiche svincolate da un critica alla motivazione impugnata e senza neanche indicare quali fossero i profili fattuali di vulnerabilità già allegati nella fase di merito del giudizio e non valutati dal tribunale.
Ne consegue l’inammissibilità anche delle censure collegate al diniego della richiesta protezione umanitaria.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da separato dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.100 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del citatao art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, il 9 settembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2019