Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.24417 del 30/09/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

I.E., (cod. fisc. *****), rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato Cinzia Circosta, presso il cui studio è elettivamente domiciliato in Roma, Via San Leo n. 34.

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro legale rappresentante pro tempore.

– intimato –

avverso il decreto del Tribunale di Roma, depositato in data 25.5.2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 9/9/2019 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.

RILEVATO

che:

1. Con il provvedimento impugnato il Tribunale di Roma – decidendo sulle domande di protezione internazionale ed umanitaria avanzate da I.E., cittadino nigeriano, dopo il diniego della richiesta protezione da parte della commissione territoriale di Roma – ha rigettato le domande così proposte da parte del ricorrente.

Il tribunale ha ritenuto non credibile il racconto del richiedente, in ordine alle ragioni che lo avevano indotto a fuggire dalla Nigeria: il ricorrente ha infatti narrato di essere stato costretto ad abbandonare il suo stato di provenienza perchè minacciato di morte dalla setta degli *****, che avevano, prima, ucciso il padre con il veleno inoculato con il morso di un serpente e, poi, la madre che era stata ritrovata uccisa con un biglietto che rivendicava l’omicidio. Il tribunale ha ritenuto che comunque la fattispecie allegata non fosse riconducibile nel paradigma applicativo della protezione internazionale, in quanto il richiedente non poteva essere considerato un perseguitato. Il giudice del merito ha, inoltre, evidenziato come il ricorrente neanche avesse allegato un danno grave ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a e b e che, quanto al pericolo di violenza indiscriminata di cui alla lett. c della medesima norma da ultimo citata, l’Edo State (regione di provenienza del ricorrente) è una regione non interessata da fenomeni di conflitti armati, con pericolo di violenza generalizzata. Il tribunale ha, infine, escluso una condizione di particolare vulnerabilità del richiedente, così rigettando anche la richiesta protezione umanitaria.

2. Il decreto, pubblicato il 25.5.2018, è stato impugnato da I.E. con ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi. L’amministrazione intimata non ha svolto difese.

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo la parte ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5. Si contesta la valutazione di non credibilità del racconto espressa dai giudici del merito.

2. Con il secondo motivo si articola vizio di violazione e falsa applicazione dell’art. 3, comma 3, lett. a) e b), ed omesso esame di fatti decisivi per il giudizio. Si denuncia il mancato approfondimento istruttorio in ordine alle caratteristiche della setta degli ***** da parte del tribunale, con ciò incorrendo quest’ultimo nel denunciato vizio.

3. Con il terzo mezzo si denuncia vizio di violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, in tema di protezione internazionale. Si denuncia come erronea la valutazione giudiziale relativa alla insussistenza di atti di persecuzioni in danno del richiedente, posto che quest’ultimo aveva subito la morte dei genitori e le minacce di morte proprio dalla setta degli *****. Si evidenzia, inoltre, la mancata considerazione dell’ipotesi di cui alla lett. b del sopra richiamato del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria.

4. Con il quarto motivo si censura il provvedimento impugnato per violazione della disciplina in materia di protezione umanitaria.

5. Il ricorso è inammissibile.

5.1 Già il primo motivo è formulato in modo inammissibile.

Giova ricordare che, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019). E’ stato altresì precisato che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr. sempre Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019).

Ciò posto, osserva la Corte come la parte ricorrente, sotto l’egida formale del vizio di violazione di legge, pretenda ora una nuova valutazione del giudizio di credibilità del richiedente, proponendo censure che sconfinano con tutta evidenza sul terreno delle valutazioni di merito rimesse alla cognizione dei giudici della precedente fase di giudizio e che possono essere censurate innanzi al giudice di legittimità solo attraverso le ristrette maglie previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

5.2 Il secondo motivo di censura è anch’esso inammissibile sia perchè non censura la ratio decidendi (che, in punto del mancato riconoscimento dello status di rifugiato, si fonda sul rilievo della mancanza di credibilità del racconto del richiedente) sia perchè la questione dell’operatività della setta degli ***** è stata oggetto di espressa pronuncia da parte del tribunale, con la precisazione che la setta opera a livelli molto elevati nell’ambito della società e delle istituzioni nigeriane e che, pertanto, il suo operato non risulta compatibile con la condizione non abbiente del richiedente.

5.3 Ma anche la terza censura non supera il vaglio di ammissibilità. Ed invero, le censure in ordine alla erronea valutazione della natura persecutoria delle minacce subite dalla setta non si confronta, ancora una volta, con la ratio decidendi che riposa, come detto, sulla valutazione di non credibilità del ricorrente e che, pertanto, se non censurata, rende superflua ogni ulteriore disquisizione in ordine alla natura degli atti asseritamente subiti dal ricorrente.

Per quanto concerne invece la deduzione difensiva declinata sotto l’egida del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b, va precisato che l’inammissibilità discende in tal caso dalla evidente novità della questione, prospettata per la prima volta innanzi a questa Corte, atteso che il tribunale ha escluso espressamente, nella motivazione impugnata, che il ricorrente avesse allegato le ipotesi protettive di cui all’art. 14, lett. a e b, del decreto da ultimo menzionato e che il ricorrente non ha in alcun modo allegato, nel ricorso introduttivo, ove avesse eventualmente dedotto tale doglianza difensiva.

5.4 Il quarto mezzo è invece inammissibile perchè si compone – in punto di richiesta di protezione umanitaria – di censure formulate in modo generico, senza alcun tratto individualizzante della posizione soggettiva del richiedente.

Da ultimo, deve essere dichiarato inammissibile il deposito della documentazione relativa al contratto di lavoro del ricorrente in quanto intervenuto tardivamente per la prima volta innanzi alla Corte di legittimità. Nessuna statuizione è dovuta per le spese del presente giudizio di legittimità, stante la mancata difesa dell’amministrazione intimata.

Non è dovuto il pagamento del doppio contributo, stante l’ammissione del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, il 9 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2019 Sommario IntestazioneFattoDirittoP.Q.M.

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