Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.24422 del 30/09/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – Consigliere –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 27386/2018 proposto da:

S.C., elettivamente domiciliato in Roma, Piazza Cavour presso la cancelleria della prima sezione civile della Corte di cassazione e rappresentato e difeso dall’avvocato Luigi Migliaccio giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., elettivamente domiciliato ex lege in Roma, Via dei Portoghesi, 12 presso l’Avvocatura Generale dello Stato;

– intimato –

avverso la sentenza n. 924/2018 della Corte di appello di Milano, pubblicata il 20/02/2018;

udita la relazione della causa svolta dal Cons. Dott. Laura Scalia nella Camera di consiglio del 13/09/2019.

FATTI DI CAUSA

1. S.C., cittadino nigeriano proveniente dal “*****”, ricorre in cassazione con due motivi avverso la sentenza in epigrafe indicata, con la quale la Corte di appello di Milano rigettava l’impugnazione proposta avverso l’ordinanza del locale Tribunale che aveva rigettato le domande di riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria dal primo proposte, nella ritenuta insussistenza dei presupposti di legge.

Il ricorrente, originarlo del Sud della Nigeria (Delta State) e di religione cristiana, esponeva alla competente Commissione territoriale di aver lasciato il proprio paese di origine per un problema di salute e di essere giunto in Italia attraverso il Niger e la Libia per essere adeguatamente curato dopo aver subito in Nigeria più di un intervento per un’ernia inguinale cui erano seguite varie complicazioni che, nel Paese di origine, non potevano ricevere cura.

Egli quindi precisava di non voler rientrare in Nigeria per timore di talune pratiche di stregoneria che, in uso nel proprio villaggio, avevano condotto uno zio, per ragioni patrimoniali, ad avvelenarne la madre.

2. Il Ministero dell’Interno, intimato, non ha svolto difese.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, art. 5 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 5-bis, commi 9, 10 e 11 e degli artt. 127,184,359 e 702-quater c.p.c., per violazione dell’obbligo di cooperazione istruttoria.

La Corte di appello che avrebbe confermato la decisione di primo grado senza procedere a nessun accertamento in correlazione ai profili di rischio ed agli elementi dedotti dal richiedente per tutti i contenuti della protezione internazionale e umanitaria richiesti.

Non sarebbero stati tenuti in considerazione, per la protezione internazionale ed umanitaria, l’intensità degli scontri religiosi in Nigeria e la diffusione di persecuzioni ai danni di cristiani da parte di gruppi di matrice jihadista, non provvedendo i giudici di secondo grado ad indirizzare la propria indagine ai territori del Delta State da cui proveniva l’istante e, ancora, alla situazione personale del richiedente in ordine ad età, fede professata ed appartenenza etnica.

Ai fini della concessione della protezione richiesta, non avrebbe ricevuto apprezzamento il tempo trascorso in Libia e non vi sarebbe stata una contestualizzazione dei problemi di salute dell’istante rispetto ai quali il richiedente poteva ricevere in Italia cure non garantitegli nel Paese di provenienza.

2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

La sentenza impugnata sarebbe nulla perchè i giudici di appello avrebbero omesso di pronunciare sul profilo di rischio dedotto ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b), (per trattamenti inumani e degradanti anche la mancata protezione da parte dello Stato verso soggetti non statuali) rilevante ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria.

3. Il primo motivo si presta ad una valutazione in cui sono presenti ragioni di infondatezza e di inammissibilità che si possono compendiare nei termini che seguono.

Il denunciato mancato apprezzamento da parte della Corte di merito dei contenuti della protezione internazionale sub specie della tutela dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria non si confronta con la motivazione impugnata.

I giudici di appello richiamano i contenuti del racconto del richiedente e, per essi, la temuta pratica della stregoneria per poi escludere che la dedotta evidenza integri un motivo personale di persecuzione legittimante il riconoscimento della protezione D.Lgs. n. 251 del 1997, ex art. 2, ma, congruamente e piuttosto, un mero generico rischio connesso ad una minaccia di morte che, in quanto esito dell’indicata pratica, viene altresì intesa dalla Corte di merito, con argomento che non si espone a censura in questa sede, come indice di non credibilità del racconto stesso, in ragione del credo cristiano professato dal richiedente.

Sul riconoscimento della protezione sussidiaria per tutte le sue declinazioni (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a), b) e c)) e sul permesso per motivi umanitari la motivazione scrutina la situazione politico-sociale della Nigeria sotto la guida del vicepresidente O. con richiamo delle fonti ufficiali (ECOI 21.12.2017; Consiglio di sicurezza dell’Onu del 30.06.2017) valorizzando altresì la mancata richiesta dell’Agenzia delle Nazioni Unite agli Stati aderenti di sospendere i rimpatri forzati verso il sud della Nigeria.

Il tema della protezione umanitaria poi è trattato con riguardo allo stato di salute del richiedente di cui si esclude nell’impugnata sentenza rilievo in termini di serio motivo di vulnerabilità, e tanto all’esito dell’intervento chirurgico, risolutivo, sull’ernia inguinale, ricevuto in Italia dal ricorrente e sul difetto di recidivanza.

Si tratta di evidenza in fatto non contrasta in modo concludente in ricorso per una mera riproposizione degli originari argomenti circa l’inadeguatezza sanitaria dello Stato di provenienza.

Il motivo si presta pertanto ad una valutazione di inammissibilità perchè di mera riproposizione di tesi difensive ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4 (Cass. 24/09/2018 n. 22478) e perchè generico mancando di contraddire alla evidenza in fatto, ratio decidendi della sentenza impugnata.

Quanto al profilo di ricorso a mezzo del quale si denuncia la sentenza di appello per avere omesso di valutare il passaggio in Libia del richiedente protezione non vi è poi alcuna circostanziata deduzione che consenta a questa Corte di legittimità di ritenere il carattere non nuovo della questione e tanto nel rispetto del sindacato demandato a questa Corte di legittimità e da esercitarsi agli atti.

Ove una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga detta questione in sede di legittimità ha l’onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegarne l’avvenuta deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente vi abbia provveduto, onde dare modo alla Corte di cassazione di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa (Cass. 24/01/2019 n. 2038; Cass. 13/06/2018 n. 15430).

4. Il secondo motivo è inammissibile per le ragioni di seguito indicate.

Il vizio processuale denunciato per violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato ex art. 112 c.p.c., “error in procedendo”, censurabile in Cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, si realizza là dove il giudice omette del tutto di pronunciarsi su una domanda od un’eccezione, ma non nel caso in cui, invece, il giudice si pronuncia sulla domanda o sull’eccezione, ma senza prendere in esame una o più delle questioni giuridiche sottoposte al suo esame nell’ambito di quella domanda o di quell’eccezione; in tal caso resta integrato un vizio di motivazione, censurabile in Cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 e l’erronea sussunzione nell’uno piuttosto che nell’altro motivo di ricorso del vizio che il ricorrente intende far valere in sede di legittimità, comporta l’inammissibilità del ricorso (Cass. 11/05/2012 n. 7268; vd. Cass. 12/01/2016 n. 329).

Avendo il ricorrente dedotto la mancata valutazione di persecuzioni della comunità cristiana in Nigeria operata dai fanatici di “*****” e “*****” ed il periodo passato in Libia, la critica avrebbe dovuto diversamente essere articolata nella omissione di un fatto decisivo per la decisione ex art. 360 c.p.c., n. 5.

5. Il ricorso va in via conclusiva dichiarato inammissibile.

Nulla sulle spese non avendo l’Amministrazione intimata articolato difese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, va dichiarata la non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, ammesso in via provvisoria al beneficio del patrocinio a spese dello Stato, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2019

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