LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –
Dott. ACIERNO Maria – rel. Consigliere –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –
Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
Sul ricorso 22418/2018 proposto da:
G.G., elettivamente domiciliato in Roma, Via di Villa Sacchetti n. 9, presso lo studio dell’avvocato Marini Francesco Saverio, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Gualtieri Alfredo, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Ga.Gi., elettivamente domiciliato in Roma, Via Arno n. 6, presso lo Studio Legale Morcavallo, rappresentato e difeso dagli avvocati Gallo Francesco Paolo, Morcavallo Oreste, giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrente –
contro
Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Catanzaro, Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Catanzaro;
– intimati –
avverso l’ordinanza n. 18150/2018 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE di ROMA, depositata il 10/07/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/05/2019 dal cons. Dott. ACIERNO MARIA.
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
La Corte di cassazione con l’ordinanza n. 18150 del 2018 ha confermato la sentenza della Corte d’Appello di Catanzaro con la quale è stata accertata la condizione d’ineleggibilità di G.G., consistente nell’aver esercitato la funzione di primo dirigente, Vice Comandante regionale e capo dell’ufficio ispettivo centro Nord della Calabria del Corpo Forestale dello Stato, al momento della presentazione della candidatura e la decadenza del medesimo dalla carica di consigliere della regione Calabria. Per quel che interessa, la Corte ha affermato che la domanda di aspettativa (dal Corpo forestale, sua amministrazione di appartenenza) rimuove la causa d’ineleggibilità di cui alla L. n. 154 del 1981, art. 2, comma 5, non immediatamente ma a decorrere dal provvedimento di presa d’atto della p.a. se assunto entro cinque giorni dalla presentazione della domanda o, in mancanza dal quinto giorno successivo alla presentazione. E’ tuttavia necessario che il termine si consumi non oltre il giorno fissato per a presentazione delle candidature. Partendo da questo principio, sancito anche da Corte Cost. n. 56 del 2017, ha ritenuto irrilevante stabilire se la produzione di un documento nel giudizio di secondo grado dalla parte appellante ( G.) fosse o meno ammissibile, dal momento che esso (nota del 24 ottobre 2014) aveva ad oggetto soltanto la presentazione della domanda di aspettativa. Essa, pertanto, nella specie, era comunque inidonea a rimuovere la causa d’ineleggibilità per la quale sarebbe stato necessaria o la accettazione formale della amministrazione di appartenenza del candidato o la consumazione del termine di cinque giorni non oltre quello di presentazione delle candidature, nella specie fissato nel 25/10/2014.
Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per revocazione G.G.). Ha resistito con controricorso Ga.. Entrambe le parti hanno depositate memoria.
Nell’unico motivo ricorso viene rilevato che l’ordinanza impugnata è risultata viziata da un errore di fatto ex art. 391 bis c.p.c., comma 1, e art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, per avere, la sentenza impugnata, per mera svista, ritenuto che la nota del 24/10/2014, contenesse soltanto la domanda di aspettativa e non anche il provvedimento di accettazione, laddove era invece espressamente specificato che “preso atto dell’istanza (…) di essere collocato in aspettativa speciale e dell’obbligatoria astensione per i candidati alle elezioni, si comunica cha la S.V. con decorrenza immediata e per:utt:a la durata della campagna elettorale, è dispensato dallo svolgere qualsiasi attività lavorativa”.
Il documento, di conseguenza” oltre a comprovare la tempestività di ogni adempimento normativo posto in essere dal G. al fine di far rimuovere la causa d’ineleggibiità, attestava, in equivocamente, che il “provvedimento d presa d’atto dell’Amministrazione” era stato assunto tempestivamente. L’errore revocatorio consiste infine nella supposizione dell’inesistenza di un fatto, ovvero l’avvenuta presa d’atto dal parte dell’Amministrazione e, di conseguenza, di aver percepito per una svista che il documento recasse soltanto la domanda di aspettativa.
In conclusione, in relazione alla fase rescindente, deve essere accolto il ricorso per revocazione e per la rase rescissoria si deve dichiarare l’insussistenza della causa d’ineleggibilità.
Deve preliminarmente essere osservato che non si ravvisa il rilievo d’inammissibilità del motivo posto in luce nel controricorso. Il ricorso non è privo d’interesse perchè non e stata censurata la sanzione di tardività della produzione documentale sostenuta nella sentenza d’appello, dal momento che la Corte di Cassazione nella pronuncia revocanda, ha escluso nel merito il rilievo probatorio decisivo del contenuto della nota del 24/10/20 senza affrontare, in funzione del criterio della ragione più liquida, la fondatezza del rilievo processuale contenuto nella sentenze di merito.
La censura è tuttavia inammissibile perchè l’errore ascritto al giudice di pur rivestendo il carattere della decisività e pur costituendo un “punto controverso” come richiesto dal paradigma normativo non ha carattere percettivo ma esclusivamente valutativo.
Nella pronuncia revocanda è stato ritenuto, ancorchè con motivazione sintetica, che la nota del 24/10/2014 non contiene anche il provvedimento di collocamento in aspettativa per ragioni elettorali, dovendosi qualificare soltanto come richiesta volta a questo fine. Tale conclusione, tuttavia, non deriva dall’omessa lettura dell’intero testo del documento ma dall’interpretazione diversa da quella proposta dal ricorrente della parte relativa alla presa d’atto, risultando, peraltro, l’intera nota sottoscritta proprio dal richiedente. Non vi è stato, in conclusione, alcun errore percettivo ma, al contrario una valutazione giuridica, che ha condotto a conclusioni opposte a quelle sostenute dal ricorrente, peraltro del tutto coerente con l’inquadramento giuridico della questione relativa, in generale, alla formulazione tempestiva della richiesta oggetto di esame degli altri motivi di ricorso.
All’inammissibilità del ricorso consegue l’applicazione del principio della soccombenza in relazione alle spese processuali.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali del presente giudizio in favore della parte controricorrente da liquidarsi in Euro 5000 per compensi; Euro 200 per esborsi oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 16 maggio 2019.
Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2019