LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –
Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –
Dott. MELONI Marina – Consigliere –
Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –
Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 10174/2014 proposto da:
F.A., F.F., F.S., domiciliati in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentati e difesi dall’avvocato Massucci Bruno e dall’abogado Flajani Stefano, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrenti –
contro
Provincia di Teramo, in persona del Presidente pro tempore, domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’avvocato De Luca Massimo, giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 160/2013 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 01/03/2013;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 24/06/2019 dal Cons. Dott. PARISE CLOTILDE.
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza n. 160/2013 pubblicata il 1-3-2013, la Corte d’Appello di L’Aquila, pronunciando in unico grado, dichiarava il difetto di legittimazione attiva di R.V., determinava in Euro 432,16, oltre interessi legali dal 22-10-2005 alla data dell’effettivo deposito presso la Cassa Depositi e Prestiti, la maggiore indennità di espropriazione spettante agli attori, ordinando alla Provincia di Teramo il deposito presso la Cassa Depositi e Prestiti della somma come determinata nella stessa sentenza, e compensava interamente tra le parti le spese del giudizio, ponendo le spese di CTU a carico di solidale delle parti. La Corte territoriale ha ritenuto che: a) la quantificazione dell’indennità dovesse effettuarsi in base alla destinazione agricola del bene, avuto riguardo al valore agricolo del terreno ed alle colture effettivamente praticate, come da criteri logico-scientifici utilizzati dal CTU; b) non fosse configurabile, nel caso di specie, l’esproprio parziale di cui alla L. n. 2359 del 1865, art. 40, sia per l’esiguità della superficie espropriata (mq. 1.020 a fronte dell’originaria superficie totale di mq. 22.120), sia per la posizione marginale della stessa.
2. Avverso questa sentenza, F.A., F.F. e F.S. propongono ricorso, affidato a due motivi, resistiti con controricorso dalla Provincia di Teramo.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo i ricorrenti lamentano “Violazione o falsa applicazione della L. n. 2359 del 1865, artt. 39 e 40, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e per omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione circa un punto decisivo per la controversia, prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1 n. 5 (ante riforma)”. I ricorrenti premettono che non è applicabile nel caso di specie l’art. 360, comma 1, n. 5, citato in rubrica come novellato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 e convertito con L. n. 134 del 2012. Ciò posto, censurano il valore di mercato quantificato, in conformità alle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, dalla Corte territoriale in Euro 2,86 al mq.. Assumono che detto valore sia identico a quello dei V.A.M. e di gran lunga inferiore a quello determinato in altro giudizio svoltosi tra le stesse parti, come da CTU che allegano ex art. 372 c.p.c., nonchè inferiore a quello dei terreni aventi caratteristiche similari e di cui agli avvisi di vendita senza incanto che pure allegano. Ad avviso dei ricorrenti la sentenza impugnata è erronea anche con riferimento alla ritenuta insussistenza dell’esproprio parziale, poichè “l’ubicazione dell’esproprio e la sua entità hanno portato ad una privazione dell’accesso ai terreni o la evidente maggior difficoltà”, e i dati evidenziati “sono desumibili d’ufficio” (pag. n. 13 ricorso).
2. Con il secondo motivo lamentano “Violazione o falsa applicazione dell’art. 1, protocollo n. 1, Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”. Deducono i ricorrenti che, nel caso di specie, non risulta rispettata la proporzionalità tra il sacrificio imposto al privato e lo scopo di pubblica utilità perseguito. Rilevano che l’esproprio per cui è causa fu realizzato per adeguare l’innesto della S.P. ***** alla S.S. ***** e che attualmente detto innesto è un tronco morto, perchè la Provincia di Teramo, un anno e mezzo prima dell’emanazione del decreto di esproprio dei beni dei ricorrenti, aveva approvato ulteriore e diverso progetto che rendeva inutile l’esproprio oggetto del presente giudizio, come risulta dalla CTU allegato a) che deposita ex art. 372 c.p.c.. Sostengono che in base alla giurisprudenza della CEDU deve essere riconosciuto all’espropriato un’ulteriore e diversa indennità, a titolo di danno morale, anche se non richiesta.
3. Il primo motivo è inammissibile.
3.1. Con riferimento alla denuncia del vizio motivazionale ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte “In seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un fatto storico, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia decisivo ai fini di una diversa soluzione della controversia”(Cass. S.U. n. 8053/2014 e tra le tante da ultimo Cass. n. 22598/2018).
Premesso che nella fattispecie in esame trova applicazione l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come novellato nel 2012 – la sentenza impugnata è stata depositata l’1-3-2013 -, la censura di cui trattasi è inammissibile in quanto formulata secondo il paradigma previgente del vizio motivazionale.
3.2. Non può inoltre ritenersi ammissibile la produzione di nuovi documenti (allegati a, b e c al ricorso), atteso che “nel giudizio per cassazione è ammissibile la produzione di documenti non prodotti in precedenza solo ove attengano alla nullità della sentenza impugnata o all’ammissibilità processuale del ricorso o del controricorso, ovvero al maturare di un successivo giudicato, mentre non è consentita la produzione di documenti nuovi relativi alla fondatezza nel merito della pretesa, per far valere i quali, se rinvenuti dopo la scadenza dei termini, la parte che ne assuma la decisività può esperire esclusivamente il rimedio della revocazione straordinaria ex art. 395 c.p.c., n. 3” (Cass. n. 18464 del 2018).
3.3. Le ulteriori doglianze, rubricate come attinenti a vizio di violazione di legge (L. n. 2359 del 1865, artt. 39 e 40), riguardano, invece, la valutazione degli elementi istruttori, in ordine alla dedotta erroneità del valore del bene ablato determinato dalla Corte territoriale e alla configurabilità, in fatto, dell’esproprio parziale, lamentando, in relazione a quest’ultimo, i ricorrenti l’errata considerazione di circostanze che assumono rilevanti (“l’ubicazione dell’esproprio e la sua entità hanno portato ad una privazione dell’accesso ai terreni o la evidente maggior difficoltà”).
Le censure si risolvono, quindi, in una critica del ragionamento logico posto dal giudice di merito a base dell’interpretazione degli elementi probatori del processo e, in sostanza, nella richiesta di una diversa valutazione degli stessi, ipotesi integrante un vizio motivazionale non più proponibile in seguito alla modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, apportata dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito in L. n. 134 del 2012 (Cass., S.U., n. 8053/2014 citata).
La valutazione sulla congruità del valore del bene ablato, nella specie adeguatamente motivata, è espressione di un giudizio di fatto insindacabile in sede di legittimità, mentre le censure di cui si sta trattando si risolvono nell’impropria richiesta di una revisione della stima di mercato dei beni e, quindi, di un nuovo giudizio di merito.
Identiche considerazioni si impongono quanto alla dedotta configurabilità, in concreto, dell’esproprio parziale, non essendo sindacabile in sede di legittimità la ricostruzione fattuale del Giudice di merito, se non sotto il profilo dell’anomalia motivazionale, nella specie non ricorrente, avendo la Corte territoriale adeguatamente motivato le ragioni del proprio convincimento sia in ragione dell’esiguità della superficie espropriata (mq. 1.020 a fronte dell’originaria superficie totale di mq. 22.120), sia per la posizione marginale della stessa.
4. Anche il secondo motivo è inammissibile.
La giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che “La L. 22 ottobre 1971, n. 865, art. 19, attribuisce alla corte d’appello, quale giudice di unico grado, la competenza in materia di determinazione della indennità di espropriazione per pubblica utilità. La mancata estensione della competenza di detto organo anche in ordine a domande diverse ed ulteriori (quali quelle di risarcimento del danno derivante dalla imposizione di vincoli alla proprietà, ovvero ancora di risarcimento dei danni patrimoniali e morali che si assumano collegati alla vicenda espropriativa) non determina alcun contrasto del nostro ordinamento con il principio, stabilito dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, di accessibilità del giudice, atteso che la norma sulla generale competenza del tribunale, territorialmente competente, a giudicare in primo grado (art. 9 c.p.c.) garantisce, a chi intende proporre un’azione, un giudice naturale accessibile e precostituito per legge, in linea, oltre che con la Costituzione (artt. 25 e 111), con la citata Convenzione Europea” (Cass. n. 13667/2004).
Alla stregua di tale principio di diritto, a cui il Collegio intende dare continuità, esula dalla cognizione del giudice dell’opposizione alla stima la pretesa di cui trattasi, essendo finalizzata al risarcimento del danno morale a causa della mancanza sopravvenuta dello scopo di pubblica utilità e della dedotta violazione del giusto equilibrio tra interesse generale e sacrificio del diritto del privato, senza, invero, che neppure sia stato specificato dai ricorrenti quale sia stato il pregiudizio derivato dalla lamentata inutilità dell’espropriazione.
5. Alla stregua delle considerazioni espresse nei paragrafi che precedono, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
6. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
7. Infine deve darsi atto che sussistono nella specie i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente F.F. e non anche di F.S. e di F.A. in quanto ammessi al patrocinio a spese dello Stato, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso per cassazione, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 4.200,00, di cui Euro200 per esborsi, oltre al 15% per spese generali ed accessori di legge.
Dichiara che sussistono nella specie i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente F.F., di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso per cassazione, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 24 giugno 2019.
Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2019