Corte di Cassazione, sez. I Civile, Sentenza n.24443 del 30/09/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22750/2016 proposto da:

Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, in persona del Direttore pro tempore, domiciliata in Roma, Va dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

Curatela Fallimento ***** s.n.c. ***** e dei soci illimitatamente responsabili C.P., C.A. e A.G.L.;

– intimata –

avverso l’ordinanza del TRIBUNALE di FOGGIA, del 30/03/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 02/07/2019 dal Cons. Dott. TERRUSI FRANCESCO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SOLDI Anna Maria, che ha concluso per l’accoglimento del terzo motivo;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato Fabio Tortora dell’Avvocatura che ha chiesto l’accoglimento e deposita atto notificato (plico).

FATTI DI CAUSA

L’agenzia delle dogane proponeva reclamo L. Fall., ex art. 26, avverso il decreto col quale il giudice delegato al fallimento della ***** s.n.c. e dei soci illimitatamente responsabili aveva dichiarato esecutivo il progetto del terzo riparto parziale delle somme acquisite alla procedura e nel contempo rigettato le osservazioni della medesima amministrazione in ordine al mancato inserimento dei propri crediti, muniti di privilegio.

Premesso che il giudice delegato aveva sottolineato che il credito era stato ammesso al passivo con privilegio speciale, e che all’attivo non erano stati rinvenuti beni sui quali esercitare la prelazione, donde in definitiva il credito suddetto era degradato ai chirografo, l’agenzia delle dogane obiettava che il credito da essa vantato avrebbe dovuto esser considerato come assistito da privilegio generale, ai sensi dell’art. 2752 c.c. e non da privilegio speciale ex art. 2758 c.c., essendosi trattato di un credito Iva con relative maggiorazioni, sanzioni e interessi.

Il tribunale di Foggia ha rigettato il reclamo, in sintesi osservando che la reclamante si era doluta, tardivamente, del privilegio a suo tempo attribuito al credito, così da presupporre un inammissibile sindacato della decisione a suo tempo resa in sede di opposizione allo stato passivo, non impugnata.

Ha soggiunto che neppure poteva accedersi a una eventuale distinta interpretazione del provvedimento ammissivo: invero, a fronte di un’istanza facente riferimento a crediti privilegiati, il provvedimento suddetto non era stato prodotto, mentre lo era stata la sentenza assunta in sede di opposizione allo stato passivo; la quale però si era limitata a dichiarare “improponibile” l’opposizione per difetto di interesse, per essere stati i crediti ammessi fin dall’inizio in via definitiva come privilegiati e chirografari (senza migliore specificazione) e stante la necessità di reputare priva di effetti la riserva siccome atipica.

Per la cassazione del decreto del tribunale di Foggia l’agenzia delle dogane ha proposto ricorso affidato a tre motivi.

La curatela del fallimento non ha svolto difese.

RAGIONI DELLA DECISIONE

I. – Col primo motivo la ricorrente, denunziando violazione o falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e art. 324 c.p.c., censura la decisione perchè non si sarebbe potuto dubitare della natura del privilegio riconosciuto ex lege dal tribunale di Foggia con la sentenza surrichiamata n. 1189 del 2001; sicchè, essendo quella sentenza passata in giudicato, non potevano, nè il giudice delegato nè, poi, il collegio in sede di reclamo, riesaminare e rimettere in discussione la questione relativa.

Col secondo motivo la ricorrente denunzia, in subordine, la violazione e falsa applicazione degli artt. 2752 e 2758 c.c., poichè il credito tributario in questione era da considerare assistito da privilegio generale a prescindere dal rinvenimento dei beni nel patrimonio del fallito, oggetto delle operazioni soggette a Iva.

Col terzo motivo infine l’amministrazione denunzia la violazione o falsa applicazione della L. Fall., artt. 23 e 26, per avere il tribunale eliminato il dubbio interpretativo circa il significato dell’ammissione al passivo con l’errato rilievo che la questione non poteva porsi per difetto di prova, senza riconoscere invece alla sua competenza l’onere di provvedere d’ufficio, alla luce della natura inquisitoria del procedimento L. Fall., ex art. 26.

II. – E’ da sottolineare, in via del tutto preliminare, che il ricorso in questione può essere deciso senza rilevanza della rimessione a sezioni unite della questione sollevata con l’ordinanza interlocutoria n. 9250 del 2018.

La questione in vero pendente attiene all’interrogativo “se sia ammissibile il ricorso per cassazione, ex art. 111 Cost., comma 7, nei confronti del decreto del tribunale fallimentare che, decidendo sul reclamo contro il provvedimento del giudice delegato, abbia ordinato l’esecuzione del piano di riparto parziale, avuto riguardo alla sua idoneità a stabilire, in maniera irreversibile o meno, da un lato, il diritto del creditore concorrente a partecipare al riparto dell’attivo fino a quel momento disponibile e, dall’altro, il diritto degli altri interessati ad ottenere gli accantonamenti nei casi previsti dalla L. Fall., art. 113”.

La questione riguarda, cioè, la specifica fattispecie – diversa da quella in esame – nella quale si discuta del diritto agli accantonamenti.

III. – Il ricorso, i cui motivi primo e terzo possono essere unitariamente esaminati per connessione, è fondato nel senso che segue.

Questa Corte ha affermato il principio secondo cui, in tema di piano di riparto dell’attivo fallimentare, il decreto di esecutività dello stato passivo, determinando la misura del credito che può essere soddisfatta coattivamente, svolge la stessa funzione del titolo esecutivo giudiziale nell’esecuzione individuale, cosicchè anche l’interpretazione del decreto di esecutività dello stato passivo, come quella del titolo esecutivo giudiziale, si risolve nell’apprezzamento di un fatto, come tale incensurabile in sede di legittimità se esente da vizi logici e giur’dici (Cass. n. 892-15).

Nel contempo è assolutamente pacifico che, in sede di ripartizione dell’attivo del fallimento, oggetto della cognizione del giudice delegato sono solo le questioni relative alla graduazione dei crediti e all’ammontare della somma distribuita, restando esclusa la proponibilità, in tale sede, di ogni altra questione relativa all’esistenza, qualità e quantità dei crediti e dei privilegi, in quanto riservata in via esclusiva al procedimento di accertamento del passivo; pertanto, tali questioni devono essere proposte con la forma dell’opposizione allo stato passivo L. Fall., ex art. 98, restando altrimenti precluse, nè possono essere fatte valere come osservazioni e poi con il reclamo L. Fall., ex art. 26, avverso il decreto del giudice delegato che renda esecutivo il piano di riparto parziale (tra le tante Cass. 12732-11).

IV. – Sennonchè nella specie l’agenzia delle dogane non aveva posto la questione, riservata al procedimento di verifica del credito, dell’esistenza e della tipologia del privilegio.

Essa aveva invece prospettato, rima mediante le osservazioni, poi mediante il reclamo L. Fall., ex art. 26, che la sentenza n. 1189-01 del tribunale di Foggia, resa in sede di opposizione al passivo, dovesse essere chiarita nel significato dispositivo laddove aveva specificato che “i crediti di Lire 124.472.659.520 in via privilegiata e di Lire 128.722.362.400 in via chirografaria” dovevano “ritenersi ammessi sin dall’inizio in via definitiva”.

In sostanza, la tesi dell’agenzia delle dogane involgeva la semplice interpretazione del titolo di ammissione, giacchè – essa aveva detto – la sentenza citata, nello statuire nel senso di cui sopra senza null’altro specificare, doveva essere interpretata nel senso di essere stato ammesso in via definitiva il credito col relativo privilegio generale.

V. – A fronte di tanto, la questione interpretativa atteneva alla conformazione dell’afferente giudicato, il che postula un tema di diritto, essendo il giudicato equiparabile – come noto – agli atti normativi.

Il tribunale ha eluso il tema, praticamente sostenendo che poichè la sentenza si era limitata a dichiarare “improponibile” l’opposizione per carenza di interesse, giustappunto in quanto i crediti dovevano esser ritenuti ammessi fin dall’inizio in via definitiva, e non con la riserva che la stessa sentenza aveva ritenuto atipica, e quindi non apposta, non era infine possibile interpretare la decisione nel senso invocato dall’agenzia a causa della mancanza di necessari riscontri in ordine alla domanda e al decreto di ammissione, quest’ultimo in particolare non prodotto.

Esattamente al contrario, deve invece osservarsi che l’accertamento sul titolo di ammissione si sarebbe dovuto fare d’ufficio, interpretando il titolo stesso alla luce dei poteri d’indagine propri del tribunale.

Invero il reclamo L. Fall., ex art. 26, nella formulazione anteriore al D.Lgs. n. 5 del 2006 (qui applicabile ratione temporis), apre un procedimento di tipo inquisitorio, nel quale il tribunale, investito di tutta la procedura e nell’esercizio delle proprie funzioni di controllo sull’operato del giudice delegato, con possibilità di sostituirsi a questi nell’esercizio delle sue attribuzioni, neppure è vincolato alle richieste delle parti; ne consegue che la conoscenza di ogni atto o documento della procedura ben può (e deve) essere posta a fondamento della decisione finanche ove l’atto o il documento non abbia formato oggetto di contraddittorio (v. Cass. n. 1043516, Cass. n. 5501-12, Cass. n. 15298-00).

Non sussisteva quindi alcun onere a carico dell’odierna ricorrente di produrre, anche in sede di reclamo, la documentazione contenuta nel fascicolo fallimentare, avendo il giudice del reclamo semmai il potere di acquisirla d’ufficio. E tale potere si traduceva al dunque in un dovere di acquisizione, dal momento che lo stesso tribunale ha esplicitato di ritenere quella documentazione (la domanda di ammissione e il decreto di esecutività dello stato passivo adottato dal giudice delegato) bisognosa “dei necessari riscontri”.

Resta assorbito il secondo motivo.

Il decreto va cassato con rinvio al medesimo tribunale di Foggia, in diversa composizione, per nuovo esame.

Il tribunale si uniformerà ai principi esposti e provvederà anche sulle spese del giudizio svoltosi in questa sede di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo e il terzo motivo, assorbito il secondo, cassa il decreto impugnato e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, al tribunale di Foggia.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 2 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2019

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