LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Presidente –
Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –
Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –
Dott. BOGHETICH Elena – rel. Consigliere –
Dott. CIRIELLO Antonella – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 6328/2015 proposto da:
F.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI VAL TELLINA 87, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCA MASSI, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
MOLIVAN S.N.C. DI O.A. E V.C., O.A., V.C., tutti elettivamente domiciliati in ROMA, VIA GALLIA 86, presso lo studio dell’avvocato MONALDO MANCINI, che li rappresenta e difende;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 5521/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 08/09/2014 R.G.N. 1662/2009.
RILEVATO
che:
1. Con sentenza depositata l’8.9.2014, la Corte d’appello di Roma, in parziale riforma della pronuncia del Tribunale della medesima sede, accoglieva la domanda proposta da F.D. nei confronti della società Molivan di A.O. e C.V. s.n.c. e dei soci O.A. e V.C. per l’accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro svolto da luglio 2000 al febbraio 2006 dapprima come apprendista e, da luglio 2004, come operaio V livello di cui al c.c.n.l. settore Metalmeccanici Artigiani, previo accertamento della simulazione del contratto di lavoro a progetto stipulato il 3.10.2005.
2. La Corte distrettuale, per quel che interessa, riteneva accertata la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato per il periodo, più circoscritto, settembre 2000 ottobre 2005, con orario di lavoro ordinario (e svolgimento ulteriore di un modesto orario di lavoro straordinario per il primo anno), non essendo emersi elementi probatori a supporto della continuità del vincolo di subordinazione anche per il periodo di stipulazione del contratto a progetto, la cui eccepita nullità – per carenza di progetto – doveva ritenersi questione nuova e dunque inammissibile.
3. Avverso la sentenza, il F. propone ricorso per Cassazione, affidato a cinque motivi. La società e le parti personalmente resistono con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
CONSIDERATO
che:
1. Con il primo motivo di ricorso si deduce vizio di motivazione (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) avendo, la Corte distrettuale, tratto – dalle allegazioni contenute negli atti giudiziari e dalle deposizioni testimoniali – conclusioni errate circa lo svolgimento di lavoro in orario eccedente quello ordinario per il periodo settembre 2000 – dicembre 2001, nonostante il teste A. avesse confermato lo svolgimento dell’ampio orario di lavoro come dedotto nel ricorso introduttivo del giudizio.
2. Con il secondo ed il terzo motivo di ricorso si denuncia violazione degli artt. 414,420 e 421 c.p.c., nonchè degli artt. 1418,1421 c.c. e D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. 61 e segg. (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) avendo, la Corte distrettuale, trascurato che il ricorrente – nel ricorso introduttivo del giudizio aveva dedotto la simulazione di un contratto di lavoro autonomo che, in realtà, dissimulava un vero e proprio vincolo di subordinazione e, in ogni caso, avendo, la Corte, omesso di sollevare d’ufficio la nullità del contratto a progetto in considerazione della mancanza del progetto.
3. Con il quarto motivo si denuncia violazione dell’art. 2729 c.c. (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) avendo, la Corte distrettuale, trascurato – a differenza del Tribunale – il raggiungimento della prova della natura subordinata del rapporto di lavoro anche per il periodo 2005-2006 tramite presunzione semplice.
4. Con il quinto motivo si denuncia violazione degli artt. 414,420 e 421 c.p.c. (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) avendo, la Corte distrettuale, trascurato (in sede di conferimento dell’incarico al consulente tecnico d’ufficio contabile e con particolare riguardo al riconoscimento dell’una tantum prevista dal verbale di accordo sindacale del 23.7.2004) che il ricorrente, sin dal ricorso introduttivo del giudizio, aveva richiamato la circolare del Ministero delle Politiche sociali n. 1/2004.
5. Il primo motivo è inammissibile. Va osservato che la sentenza in esame (pubblicata dopo l’11 settembre 2012) ricade, ratione temporis, nel regime risultante dalla modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), ad opera del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134, il quale prevede che la decisione può essere impugnata per cassazione “per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”. L’intervento di modifica dell’art. 360 c.p.c., n. 5, come interpretato dalle Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 8053/2014), comporta una sensibile restrizione dell’ambito di controllo, in sede di legittimità, sulla motivazione di fatto, dovendosi interpretare, la norma, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.
6. Ebbene, la sentenza impugnata ha affrontato, con argomenti logici e coerenti, tutti i profili oggetto delle censure avanzate dal ricorrente, rilevando che “non può dirsi raggiunta la prova rigorosa del lavoro straordinario per l’intero periodo” e che “lo straordinario nella misura pretesa dal F. è stato escluso dal quesito dell’ausiliario per (la diversa ragione della) mancanza di prova rigorosa. Solo le quattro ore del sabato, una volta ogni tre settimane, limitatamente al periodo 2000-2001 sono sufficientemente provate e proprio per questo il quesito all’ausiliario è stato così limitato”.
7. Non è, quindi, ravvisabile alcuna lacuna o contraddizione motivazionale secondo il parametro del c.d. minimo costituzionale attualmente imposto dal novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
8. Il secondo ed il terzo motivo non sono fondati.
Il D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 69, vigente ratione temporis prevedeva:
“1. I rapporti di collaborazione coordinata e continuativa instaurati senza l’individuazione di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso ai sensi dell’art. 61, comma 1, sono considerati rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla data di costituzione del rapporto.
2. Qualora venga accertato dal giudice che il rapporto instaurato ai sensi dell’art. 61 sia venuto a configurare un rapporto di lavoro subordinato, esso si trasforma in un rapporto di lavoro subordinato corrispondente alla tipologia negoziale di fatto realizzatasi tra le parti.
3. Ai fini del giudizio di cui al comma 2, il controllo giudiziale è limitato esclusivamente, in conformità ai principi generali dell’ordinamento, all’accertamento della esistenza del progetto, programma di lavoro o fase di esso e non può essere esteso fino al punto di sindacare nel merito valutazioni e scelte tecniche, organizzative o produttive che spettano al committente”.
9. Dagli estratti del ricorso introduttivo del giudizio (riportati in ricorso) emerge chiaramente che il lavoratore ha introdotto un’azione tesa all’accertamento – al di là della sottoscrizione tra le parti di un contratto di lavoro a progetto – della sussistenza, in concreto, di un rapporto di lavoro subordinato, così come previsto dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 69, comma 2. Invero, il ricorrente ha disconosciuto la qualificazione del rapporto di lavoro instaurato con la società ed ha chiesto di accertare la simulazione del contratto di collaborazione in quanto dissimulante un rapporto di lavoro subordinato, richiamando complessivamente la normativa disciplinante il contratto a progetto (ossia rinviando al “D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. 61 e segg. e la circolare Ministero Lavoro n. 1/2004 par. II”).
10. Secondo consolidato orientamento di questa Corte, ai fini dell’individuazione della natura autonoma o subordinata di un rapporto di lavoro, la formale qualificazione operata dalle parti in sede di conclusione del contratto individuale, seppure rilevante, non è determinante, posto che le parti, pur volendo attuare un rapporto di lavoro subordinato, potrebbero aver simulatamente dichiarato di volere un rapporto autonomo al fine di eludere la disciplina legale in materia (cfr. ex multis Cass. n. 19199 del 2013, Cass. n. 13872 del 2004, Cass. n. 11502 del 2000).
11. La Corte distrettuale ha, dunque, correttamente esaminato la domanda di qualificazione del rapporto di lavoro avendo riguardo al comportamento in concreto tenuto nell’attuazione del rapporto, pervenendo all’accertamento, seppur parziale, della domanda proposta dal lavoratore e della insussistenza degli elementi tipici della subordinazione a seguito della stipulazione del contratto a progetto.
12. Nessuna allegazione risulta essere stata sviluppata, nel ricorso introduttivo del giudizio, in ordine alla regolarità formale del contratto (a progetto) stipulato tra le parti (e, in specie, con riguardo alla previsione, alla genericità o all’assenza di un progetto) e, dunque, correttamente, la Corte distrettuale ha dichiarato inammissibile la domanda di nullità del lavoro a progetto in considerazione della novità assoluta della questione. In particolare, parte ricorrente avrebbe dovuto trascrivere, nel ricorso, la parte dell’atto introduttivo del giudizio ove – a suo dire – era riportato il contenuto del contratto a progetto e sottolineata la carenza (o la genericità) del progetto, fornendo al contempo alla Corte elementi sicuri per consentirne l’individuazione e il reperimento negli atti processuali, potendosi solo così ritenere assolto il duplice onere, rispettivamente previsto a presidio del suddetto principio dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4.
13. Invero, il lavoratore che deduca con il ricorso introduttivo la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato e la simulazione di un contratto a progetto non può far valere successivamente nel corso del giudizio (in sede di appello, come nella specie) la nullità del contratto a progetto per mancanza del progetto in quanto tale ulteriore prospettazione costituisce domanda nuova, trattandosi di una diversa “causa petendi”, con l’inserimento di un fatto nuovo a fondamento della pretesa e di un diverso tema di indagine e di decisione. La preclusione posta dall’art. 414 c.p.c., non può essere superata ritenendo riconducibile la domanda di nullità del contratto per mancanza del progetto alla richiesta di accertamento della simulazione del contratto di collaborazione, atteso che la prospettazione della carenza dei profili formali del contratto implica l’allegazione di fatti nuovi rispetto alla deduzione delle modalità di svolgimento, in concreto, del rapporto (cfr., Cass. S.U. n. 8202 del 2005, e numerose altre conformi tra cui Cass. n. 14696 del 2007, Cass. n. 2577 del 2009, Cass. n. 20055 del 2016, con riguardo alla necessaria allegazione tempestiva dei fatti anche ai fini dell’esercizio dei poteri d’ufficio del giudice; Cass. n. 8264 del 2005, con riguardo alla tardiva deduzione di inosservanza della procedura della L. n. 300 del 1970, ex art. 7, ai fini della illegittimità del licenziamento; Cass. n. 17606 del 2007 con riguardo alla tempestiva deduzione dei fatti posti a base della detrazione dell’aliunde perceptum dal risarcimento del danno dovuto alla lavoratrice; Cass. nn. 6057 del 2014, 20436 del 2015, 10420 del 2017 in materia di tempestive allegazioni nella procedura di licenziamento collettivo).
14. Il quarto ed il quinto motivo sono inammissibili. In realtà, non può sottacersi che le svolte censure – seppur esposte mediante il paradigma normativo della violazione di legge – si traducono in critiche ed obiezioni avverso la valutazione delle risultanze istruttorie quale operata dal giudice del merito nell’esercizio del potere di libero e prudente apprezzamento delle prove a lui demandato dall’art. 116 c.p.c. e si risolvono altresì nella prospettazione del risultato interpretativo degli elementi probatori acquisiti, ritenuto dal ricorrente corretto ed aderente alle suddette risultanze, con involgimento, così, di un sindacato nel merito della causa non consentito in sede di legittimità (cfr. in motivazione, ex plurimis, Cass. 21 ottobre 2014 n. 22283).
15. Per consolidato orientamento di questa Corte, invero, tale sindacato è configurabile soltanto qualora dal ragionamento del giudice di merito, come risultante dalla sentenza impugnata, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione, ovvero quando sia evincibile l’obiettiva carenza, nel complesso della medesima sentenza, del procedimento logico che lo ha indotto, sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già quando, invece, vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato dal primo attribuiti agli elementi delibati, risolvendosi, altrimenti, il motivo di ricorso in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento di quest’ultimo tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (in termini, Cass. SS.UU. n. 24148 del 2013, Cass. SS.UU. n. 26242 del 2014).
16. Il ricorrente, nella specie, sollecita inammissibilmente a questa Corte una nuova valutazione di risultanze di fatto; la valutazione delle risultanze probatorie, al pari della scelta di quelle fra esse ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati in via esclusiva al giudice di merito, il quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento e della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre (pur astrattamente possibili e logicamente non impredicabili), non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere peraltro tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale ovvero a confutare qualsiasi deduzione difensiva.
17. La Corte, in sede di parziale riforma della sentenza di primo grado, ha sottolineato come non poteva ritenersi raggiunta la prova della continuità, per il periodo 20052006, di un rapporto di lavoro “con le medesime modalità precedenti” e che, quindi, in mancanza di prova del fatto noto, non poteva ritenersi raggiunta alcuna presunzione semplice ex art. 2729 c.c..
18. Infine, nessun argomento illustrativo viene sviluppato in ricorso circa la connessione tra il verbale sindacale del 23.7.2004 (prodotto, come ha rilevato la Corte distrettuale, tardivamente ossia solamente in sede di note conclusive), che prevede l’erogazione di un istituto retributivo c.d. una tantum, e la circolare ministeriale invocata (non riprodotta, quantomeno nei passi salienti, nel ricorso).
19. In conclusione, il ricorso va respinto. Le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 c.p.c..
20. Sussistono i presupposti per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare le spese del presente giudizio di legittimità liquidate in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 26 marzo 2019.
Depositato in Cancelleria il 1 ottobre 2019