Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.24484 del 01/10/2019

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. GARRI Fabrizia – rel. Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7382-2016 proposto da:

A.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIULIA 66, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO D’ATRI, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

RAI RADIO TELEVISIONE ITALIANA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25-B, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO PESSI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato MAURIZIO SANTORI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3355/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 11/08/2015 R.G.N. 6933/2013.

RILEVATO

CHE:

1. La Corte di appello di Roma, investita del giudizio in riassunzione all’esito della sentenza della Corte di Cassazione n. 22063 del 26 settembre 2013, ha ritenuto che A.L., dipendente della RAI sin dal 1969 che aveva chiesto il riconoscimento della qualifica dirigenziale, non aveva offerto elementi di prova a sostegno del potere decisionale individuato come essenziale allo svolgimento della qualifica dirigenziale. La Corte di appello, nel rammentare che il giudice del rinvio è vincolato, anche nell’ipotesi in cui sia stato accertato un vizio di motivazione, alle indicazioni vincolanti contenute nella sentenza di rinvio, ha evidenziato che il tratto distintivo del dirigente era stato individuato dalla Corte di cassazione nella sussistenza in capo alla lavoratrice del potere di decidere le scelte aziendali o una parte significativa di esse e che esulava dall’ambito di valutazione assegnato l’accertamento del possesso di una elevata competenza, responsabilità e professionalità posto che tali elementi erano stati ritenuti dalla Cassazione comuni alla qualifica di quadro. Conseguentemente ha ritenuto che la A. avrebbe dovuto allegare di avere un potere negoziale e di rappresentanza ed un’autonomia decisionale effettiva, seppure limitata ad un determinato settore. Pertanto, ha ritenuto insufficiente, a tal fine, che il dirigente condividesse spesso il suo operato con lei, continuando tuttavia ad assumersene la responsabilità.

2. Per la cassazione della sentenza propone ricorso A.L. che articola quattro motivi ai quali resiste con controricorso la RAI Radiotelevisione Italiana s.p.a.. Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative ai sensi dell’art. 380 bis 1. c.p.c..

CONSIDERATO

CHE:

3. Con il primo motivo di ricorso è denunciata la violazione dell’art. 384 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Sostiene la ricorrente che al giudice del rinvio era stato demandato di verificare l’ambito di decisionalità conferito al dipendente ed il rapporto con i superiori gerarchici e che la corte del rinvio non poteva procedere ad un nuovo esame dei fatti già accertati.

4. La censura è infondata.

4.1. Va rilevato che la sentenza della Corte di cassazione del 26 settembre 2013 n. 22063, con la quale era stata cassata con rinvio la decisione del giudice di appello che aveva riconosciuto lo svolgimento di mansioni dirigenziali da parte della A., aveva accertato che la Corte territoriale era incorsa nel vizio di motivazione denunciato e nella violazione e falsa applicazione delle declaratorie professionali applicabili ed aveva chiesto al giudice del rinvio di verificare se, in concreto, sussistevano i tratti distintivi della qualifica dirigenziale individuati nella decisionalità con la quale il dipendente può operare e la relazione esistente con i superiori gerarchici.

4.2. Attenendosi al comando contenuto nella sentenza che ha rimesso le parti davanti alla Corte di appello quest’ultima ha accertato, attraverso un nuovo esame dei fatti allegati in giudizio e delle prove acquisite, se erano stati “integrati tutti gli elementi distintivi della qualifica rivendicata, ivi compreso quei poteri di decisione richiamati anche con molta nettezza nella parte finale della declaratoria in relazione ai procuratori della società, ma che chiaramente configurano un quid pluris necessario rispetto ai compiti attribuiti o attribuibili ad un “quadro”.” (cfr. Cass. 22063 del 2013 in motivazione).

5. Con il secondo motivo di ricorso è denunciata la violazione degli artt. 2103,2071,2095 e 1362 – 1371 c.c. in relazione all’art. 1 del c.c.n.l. dei dirigenti aziende industriali dell’anno 1994 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Sostiene la ricorrente che nell’individuare le caratteristiche del “potere decisionale” e qualificare le mansioni svolte avrebbe dovuto considerare che è dirigente anche chi non può da solo promuovere coordinare e gestire la realizzazione degli obiettivi dell’impresa avuto riguardo all’esistenza di vari livelli di dirigenze con diversi gradi di responsabilità. Se applicate le clausole contrattuali nell’ambito della organizzazione aziendale la Corte, ad avviso della A., sarebbe pervenuta alla conclusione che sussisteva il diritto della lavoratrice all’inquadramento chiesto.

6. La censura è destituita di fondamento.

6.1. Va rammentato che se l’appartenenza alla categoria dei dirigenti è, come nel caso in esame, espressamente regolata dalla contrattazione collettiva, al fine di stabilire l’esatto inquadramento del dipendente occorre far riferimento, non alla nozione legale di tale categoria, ma alle relative disposizioni della contrattazione ed il giudice ha l’obbligo di attenersi ai requisiti dalle medesime previsti, poichè esse – riflettendo la volontà della parti stipulanti e la loro specifica esperienza di settore – assumono valore vincolante e decisivo, tenendo altresì conto che in organizzazioni aziendali complesse è ammissibile anche in riferimento alla prassi aziendale ed alla concreta organizzazione degli uffici – la previsione di una pluralità di dirigenti (a diversi livelli, con graduazione di compiti) i quali sono tra loro coordinati da vincoli di gerarchia, che però facciano salva, anche nel dirigente di grado inferiore, una vasta autonomia decisionale circoscritta dal potere direttivo generale di massima del dirigente di livello superiore (cfr. Cass. 26/04/2005 n. 8650 e 11/07/2007n. 15489. V. anche Cass. 04/08/2017 n. 19579 e 24/06/2009 n. 14385). L’accertamento compiuto alla stregua dei contratti collettivi da parte del giudice di merito è censurabile in cassazione solo sotto il profilo del vizio di motivazione o della violazione delle regole di ermeneutica contrattuale (cfr. Cass. ult. cit.).

6.2. A tali principi si è attenuta la Corte di appello alla quale in sede di rinvio era stato proprio chiesto di verificare nell’ambito di un potere decisionale graduato tra diversi livelli di dirigenza se esisteva in capo alla A., che rivestiva pur sempre mansioni riferibili alla qualifica di quadro, il potere decisionale qualificante per conseguire il chiesto livello dirigenziale.

7. Quanto al terzo motivo di ricorso va rilevato che la censura si risolve in una richiesta di nuovo e diverso esame delle emergenze istruttorie che, dalla pur sintetica motivazione, risultano tuttavia prese in esame dalla sentenza. La Corte di merito, come si è detto, si è attenuta alla regola dettata in sede di rinvio ed ha escluso la stessa allegazione di un potere di rappresentanza all’esterno e direttivo all’interno. La circostanza che le indicazioni della ricorrente fossero di fatto seguite non è indicativa del fatto che fosse necessario seguirle.

8. Neppure la sentenza è incorsa nella violazione dell’art. 132 c.p.c. denunciata con il quarto motivo di ricorso.

8.1. Seppur succintamente la Corte di merito ha motivato su tutte le questioni che le erano state rimesse dalla sentenza che ha cassato la decisione della stessa Corte di appello rinviandola per il nuovo esame. Va in proposito ricordato che la conformità della sentenza al modello di cui all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, non richiede l’esplicita confutazione delle tesi non accolte o la particolareggiata disamina degli elementi di giudizio posti a base della decisione o di quelli non ritenuti significativi, essendo sufficiente, al fine di soddisfare l’esigenza di un’adeguata motivazione, che il raggiunto convincimento risulti da un riferimento logico e coerente a quelle, tra le prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie vagliate nel loro complesso, che siano state ritenute di per sè sole idonee e sufficienti a giustificarlo, in modo da evidenziare l'”iter” seguito per pervenire alle assunte conclusioni, disattendendo anche per implicito quelle logicamente incompatibili con la decisione adottata (cfr. Cass. 02/12/2014 n. 25509 e 12/04/2011n. 8294).

9. In conclusione, per le ragioni su esposte, il ricorso deve essere rigettato. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater va poi dato atto del fatto che la ricorrente è tenuta al versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13 comma 1 bis del citato D.P.R..

PQM

La Corte, rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 4.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre agli accessori dovuti per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13 comma 1 bis del citato D.P.R..

Così deciso in Roma, nella udienza camerale, il 16 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 1 ottobre 2019

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472