Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.24514 del 01/10/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24797-2017 proposto da:

D.G.A.A., elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato DOMENICO SIMONE;

– ricorrente –

contro

ASL DI AVELLINO, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato MARIAROSARIA DI TROLIO;

– controricorrente –

e contro

AM TRUST EUROPE LIMITED, in persona della procuratrice speciale pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato GAETANO SCUOTTO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 696/2017 del TRIBUNALE di BENEVENTO, depositata il 07/04/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 12/04/2019 dal Consigliere Relatore Dott. MARCO ROSSETTI.

FATTI DI CAUSA

1. Nel 2012 D.G.A.A. convenne dinanzi al Giudice di pace di Ariano Irpino la ASL di Avellino, esponendo che:

-) il 7 marzo 2012 si era recato nell’ospedale “*****” di Ariano Irpino, al fine di sottoporsi ad un programmato ciclo di chemioterapia da eseguirsi mediante catetere vescicale;

-) giunto sul posto, gli venne riferito dal personale sanitario che non era possibile eseguire l’intervento a causa della mancanza di un infermiere di sesso maschile, e che sarebbe stato avvisato quando l’intervento sarebbe divenuto possibile;

-) adirato per l’appuntamento saltato, si rivolse ad una pattuglia della polizia municipale incontrata per caso, che l’accompagnò in ospedale ove, grazie all’intervento delle forze dell’ordine, fu possibile ottenere la fissazione di un nuovo appuntamento.

Concluse pertanto chiedendo la condanna della ASL convenuta al risarcimento del danno patito in conseguenza dei fatti sopra descritti.

2. La ASL si costituì e chiese il rigetto della domanda; in subordine chiese di essere tenuta indenne dal proprio assicuratore della responsabilità civile, la società AM Trust Europe Ltd., che provvide a chiamare in causa.

Anche la AM Trust Europe Ltd. si costituì, negando la responsabilità della propria assicurata.

3. Con sentenza n. 178 del 2014 il Giudice di pace rigettò la domanda, ritenendo che quello patito dall’attore fosse un mero fastidio, insuscettibile di generare un diritto al risarcimento del danno.

La sentenza venne appellata dalla parte soccombente.

4. Con sentenza 7 aprile 2017 n. 696 il Tribunale di Benevento rigettò il gravame, correggendo la motivazione adottata dal primo giudice.

Il Tribunale escluse che nella condotta tenuta dal personale sanitario potessero ravvisarsi gli estremi della colpa civile.

Rilevò che, contrariamente a quanto dedotto dall’attore, i sanitari sin da subito invitarono il paziente, dopo che questi ritornò in ospedale insieme agli agenti della polizia municipale, a sottoporsi illico et immediate alla chemioterapia, e che questi rifiutò; rilevò che al paziente venne immediatamente dato un nuovo appuntamento a distanza di soli due giorni; e comunque sin da subito il personale sanitario si era attivato per reperire un valido sostituto dell’infermiere mancante.

5. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione da D.G.A.A. con ricorso fondato su quattro motivi.

Hanno resistito con separati controricorsi la ASL di Avellino e la AM Trust.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso.

1.1. Col primo motivo il ricorrente lamenta che la Corte d’appello avrebbe travalicato l’effetto devolutivo dell’appello e, con esso, il giudicato interno.

Deduce che in primo grado il Giudice di pace rigettò la domanda attorea ritenendo insussistente un danno risarcibile, e tale statuizione era stata da lui impugnata.

Aggiunge che, tuttavia, la Corte d’appello ha interpretato il suo gravame come se esso fosse teso ad una “rivalutazione del materiale istruttorio” concernente lo svolgimento dei fatti.

Il che non era, perchè l’appellante non aveva affatto inteso rimettere in discussione la ricostruzione dei fatti così come compiuta dal giudice di pace.

1.2. Il motivo è infondato.

Il Giudice di pace, infatti, aveva deciso la causa in primo grado senza esaminare il problema della sussistenza d’una condotta colposa imputabile alla ASL, ma aveva adottato la soluzione c.d. della questione più liquida, rigettando la domanda perchè, quali che fossero state le valutazioni da compiersi sulla colpa, comunque non riteneva sussistente il danno.

Pertanto, essendo rimasta impregiudicata la questione della rimproverabilità della condotta ascritta dall’attore alla ASL, il Tribunale in virtù dell’effetto devolutivo dell’appello poteva e doveva affrontare la relativa questione, in quanto elemento costitutivo della responsabilità civile.

Per contro una preclusione derivante dal giudicato, come quella invocata dal ricorrente, la si sarebbe potuta concepire solo se il primo giudice avesse accertato ed affermato che il personale della ASL tenne una condotta omissiva e colposa: il che, per quanto detto, non avvenne.

2. Il secondo motivo di ricorso.

2.1. Col secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 116 c.p.c.

Sostiene che tale norma sarebbe stata violata in quanto il Tribunale, nel ricostruire i fatti, avrebbe malamente interpretato sia le prove testimoniali, sia le prove documentali.

2.2. Il motivo è inammissibile, in quanto censura la valutazione delle prove.

In ogni caso resterebbe assorbito dall’eventuale rigetto del primo motivo di ricorso.

In terzo luogo, varrà la pena aggiungere che, secondo un consolidato orientamento di questa Corte, la violazione dell’art. 116 c.p.c. può dirsi sussistente, e costituire valido motivo di ricorso per cassazione, solo in un caso: quando il giudice di merito attribuisca pubblica fede ad una prova che ne sia priva oppure, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova a valutazione vincolata, come l’atto pubblico (Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016; il principio è stato altresì ribadito dalle Sezioni Unite di questa Corte, nella decisione pronunciata da Sez. U, Sentenza n. 16598 del 05/08/2016, al p. 14 dei “Motivi della decisione”).

Per contro, la valutazione delle prove in un senso piuttosto che in un altro, ovvero l’omessa valutazione di alcune fonti di prova, non costituisce di per sè violazione dell’art. 116 c.p.c., e quindi un error in procedendo, ma soltanto – a tutto concedere – un error in indicando.

Tale errore, nel concorso delle altre condizioni stabilite dalle Sezioni Unite di questa Corte, potrebbe al massimo integrare gli estremi del vizio di omesso esame d’un fatto decisivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, quando le prove non esaminate dimostravano quel fatto, conseguentemente trascurato (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).

3. Il terzo motivo di ricorso.

3.1. Col terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 1176,1218 e 2697 c.c..

Sostiene che, essendo la ASL legata al paziente da un rapporto di tipo contrattuale, sarebbe stato onere dell’azienda convenuta dimostrare la propria assenza di colpa, prova che non era stata data, sicchè erroneamente il Tribunale aveva ritenuto insussistente una condotta colposa in capo all’amministrazione convenuta.

3.2. Il motivo resta assorbito dal rigetto di quelli precedenti: infatti, non essendoci un danno risarcibile, è superfluo discorrere sull’esistenza o inesistenza di una condotta colposa del personale sanitario.

In ogni caso il motivo sarebbe altresì inammissibile perchè censura il modo in cui il Tribunale ha valutato le prove.

4. Il quarto motivo di ricorso.

4.1. Col quarto motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 2059 c.c.; dell’art. 32 Cost.; dell’art. 3 Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo.

Il motivo in realtà non contiene alcuna censura rivolta alla sentenza impugnata, ma si limita a invocare dalla Corte di cassazione una decisione nel merito ex art. 384 c.p.c., da fondare sull’assunto che nel caso di specie la lesione del diritto alla salute sarebbe stata in re ipsa.

4.2. Anche questo motivo è inammissibile, per più ragioni.

In primo luogo, esso è assorbito dal passaggio in giudicato della sentenza d’appello, nella parte in cui ha ritenuto insussistente una colpa civile a carico del personale dipendente della ASL.

In secondo luogo, lo stabilire se una certa condotta illecita abbia causato una lesione della salute; se tale lesione sia stata o non sia stata grave; se abbia o non abbia avuto conseguenze futili; sono altrettante di appressamenti di fatto riservata al giudice di merito.

5. Le spese.

5.1. Le spese del presente giudizio di legittimità vanno a poste a carico del ricorrente, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, e sono liquidate nel dispositivo.

5.2. Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

PQM

(-) rigetta il ricorso;

(-) condanna D.G.A.A. alla rifusione in favore di ASL di Avellino delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 1.500, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 2, comma 2;

(-) condanna D.G.A.A. alla rifusione in favore di AM Trust Europe Ltd. delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 1.500, di cui Euro 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 2, comma 2;

(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di D.G.A.A. di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione civile della Corte di cassazione, il 12 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 1 ottobre 2019

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