Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.24672 del 03/10/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PERRINO Angel – Maria –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – rel. Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. GRASSO Gianluca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 12074 del ruolo generale dell’anno 2012 proposto da:

Agenzia delle dogane, in persona del direttore generale pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui Uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, è domiciliata;

– ricorrente –

contro

Genesis Asia Service Limited di *****;

– intimata –

per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Veneto, n. 42/29/2011, depositata in data 12 aprile 2011;

udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 26 ottobre 2018 dal Consigliere Giancarlo Triscari;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore generale Dott.ssa Paola Mastroberardino, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del secondo motivo di ricorso, con assorbimento degli altri motivi;

udito per l’Agenzia delle dogane l’Avvocato dello Stato Giovanni Palatiello.

FATTI DI CAUSA

L’Agenzia delle dogane ricorre con quattro motivi per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Veneto con la quale è stato accolto l’appello proposto dalla contribuente avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Treviso.

Dalla narrazione in fatto della pronuncia del giudice di appello si evince che: l’Agenzia delle dogane aveva notificato alla società contribuente degli avvisi di rettifica dell’accertamento per maggiori dazi doganali e Iva sull’importazione, cui erano seguiti gli avvisi di irrogazione delle sanzioni, con i quali si era rideterminato il valore dichiarato nelle bollette doganali di importazione per gli anni 2006-2007; avverso i suddetti avvisi la contribuente aveva proposto separati ricorsi che, previa riunione, erano stati rigettati dalla Commissione tributaria provinciale di Treviso; avverso la suddetta pronuncia aveva proposto appello la contribuente, nel contraddittorio con l’Agenzia delle dogane.

La Commissione tributaria regionale del Veneto ha accolto l’appello. In particolare, ha ritenuto che, poichè nella fattispecie la merce importata non era stata oggetto di transazione commerciale, in quanto era transitata direttamente dalla casa madre sita in ***** al proprio rappresentante fiscale, e solo dopo l’ingresso nel territorio italiano da quest’ultimo trasferita all’importatore, se era corretto ritenere non applicabile, ai fini della determinazione del valore in dogana della merce, la previsione di cui all’art. 29 CDC, il suddetto valore avrebbe dovuto essere determinato secondo l’ordine stabilito dall’art. 30 CDC; sotto tale profilo, negli atti notificati alla contribuente non era stata precisata la ragione per la quale l’ufficio doganale non aveva ritenuto di applicare quanto disposto dall’art. 30 CDC, par. 2, lett. a) e b), avendo, invece, applicato direttamente il criterio di cui all’art. 30 CDC, par. 2, lett. c), con conseguente difetto di motivazione dei medesimi atti. Avverso la suddetta pronuncia ha proposto ricorso l’Agenzia delle dogane affidato a quattro motivi di censura.

La contribuente non si è costituita.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza per violazione della L. n. 241 del 1990, art. 3, della L. n. 212 del 2000, art. 7, del D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11, comma 5 bis.

In particolare, parte ricorrente ritiene che la sentenza ha erroneamente ritenuto che i provvedimenti impositivi erano viziati per difetto di motivazione, non essendo stato riportato in essi il procedimento logico secondo cui, nella fattispecie, non potevano trovare applicazione i criteri di determinazione del valore della merce importata secondo le previsioni di cui all’art. 30 CDC, par. 2, lett. a) e b), avendo, invece, l’ufficio doganale chiaramente rappresentato, nella motivazione degli atti, la ragione della applicazione del criterio di cui all’art. 30 CDC, par. 2, lett. c).

Il motivo benchè in astratto fondato, non giova alla prospettazione generale del ricorso, in quanto, essendo relativo alla questione del difetto di motivazione degli atti impositivi, il suo accoglimento perde di rilievo in considerazione del successivo rigetto del secondo e terzo motivo di ricorso, relativi alla non legittimità della pretesa, secondo quanto di seguito precisato, che assumono, quindi, valore assorbente.

In particolare, va preliminarmente precisato che, pur essendo il motivo in esame rubricato quale violazione di legge, deve ritenersi che, tenuto conto del contenuto del medesimo, lo stesso contenga una censura per vizio di motivazione della sentenza impugnata, come chiaramente evincibile dalla circostanza che, nel motivo di ricorso in esame, viene riportato il passaggio della sentenza con cui si è dichiarato il difetto di motivazione degli atti impugnati e il contenuto dei processi verbali dai quali, invero, parte ricorrente intende evidenziare come i suddetti atti impositivi fossero adeguatamente motivati.

Ciò è in linea con l’orientamento di questa Suprema Corte (Cass. civ., Sez. VI, 11 ottobre 2018, n. 25362; Cass. S. Un., 24 luglio 2013, n. 17931) e successiva giurisprudenza conforme), secondo cui l’errore nell’indicazione del parametro normativo di riferimento quanto alla critica svolta nei confronti della sentenza impugnata non comporta l’inammissibilità del motivo allorchè la sua formulazione, al di là dalla rubrica dello stesso, consenta di cogliere l’effettiva censura svolta nei confronti della sentenza impugnata.

Ciò precisato, va osservato che la Corte di Giustizia (9 novembre 2017, causa C-46/16, Valst/LS Customs Service SIA), ha precisato che “L’art. 31 del regolamento n. 2913/92, come modificato dal Reg. n. 955 del 1999, in combinato disposto con tale Reg., art. 6, paragrafo 3, come modificato, deve essere interpretato nel senso che le autorità doganali sono tenute ad indicare, nella decisione che stabilisce l’importo dei dazi all’importazione dovuti, le ragioni che le hanno indotte a disattendere i metodi per la determinazione del valore in dogana di cui detto Reg. come modificato, artt. 29 e 30, prima di potere concludere nel senso dell’applicazione del metodo previsto al cit. art. 31, nonchè i dati sulla base dei quali è stato calcolato il valore in dogana delle merci, e ciò al fine di consentire all’interessato di valutarne la fondatezza e di decidere con piena cognizione di causa se sia utile proporre ricorso contro di essa”.

Dall’esame, in particolare, dei processi verbali di constatazione riprodotti nel ricorso (pag. 7 e 8) si evince che l’ufficio doganale aveva chiaramente precisato che, poichè il valore in dogana non poteva essere determinato a norma dell’art. 29 CDC, era necessario procedere alla rideterminazione sulla base della previsione di cui all’art. 30 CDC, par. 2, lett. c).

Si evince, inoltre, da quanto riportato nel ricorso, che negli avvisi di rettifica era stato chiaramente precisato che, stante la impossibilità di configurare una transazione commerciale tra lo speditore extracomunitario e l’importatore nazionale deriva che il valore in dogana delle merci importate non può essere determinato ai sensi del Reg. Ce n. 2913 del 1992, art. 29, (…) ai sensi dei quali la base primaria per il valore in dogana delle merci è rappresentata proprio dal valore di transazione, cioè dal prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci quando sono vendute per l’esportazione verso il territorio doganale della Comunità, lo stesso deve essere rideterminato ai sensi delle disposizioni di cui al Reg. Ce n. 2913 del 1992, art. 30, par. 2, lett. c), (…).

In sostanza, con i suddetti atti, era stato precisato che il valore delle merci in dogana era inferiore rispetto a quello effettivo e che non vi erano transazioni commerciali cui fare riferimento per l’applicazione dei criteri di cui all’art. 30 CDC, lett. a) e b), ma solo operazioni di trasferimento, da cui derivava la necessità dell’applicazione immediata dell’art. 30 CDC, lett. c).

Tenuto conto, quindi, dei suddetti elementi, non corretta è la pronuncia nell’avere ritenuto che gli atti impositivi erano da considerarsi privi di motivazione.

Tuttavia, come anticipato, sebbene il presente motivo sia fondato, lo stesso è assorbito dal rigetto del secondo e terzo motivo di ricorso.

Con il secondo motivo si censura la sentenza per violazione degli art. 29 e 30 CDC, per avere ritenuto illegittima la pretesa in quanto non correttamente era stato applicato il criterio di cui all’art. 30 CDC, par. 2, lett. c), dovendosi, invece applicare i criteri prioritari di cui all’art. 30 CDC, lett. a) e b).

In particolare, parte ricorrente evidenzia che, poichè nella fattispecie non sussisteva un valore dichiarato per la vendita all’importazione, posto che la merce era transitata presso il rappresentante fiscale dell’esportatore, correttamente era stato applicato direttamente il criterio di cui all’art. 30 CDC, lett. c), atteso che quelli di cui all’art. 30, lett. a) e b), presuppongono che sussista una vendita all’atto dell’introduzione della merce.

Il motivo è infondato.

Va precisato che il codice doganale comunitario ha stabilito, con gli artt. 29, 30 e 31, una rigida sequenza di regole di determinazione del valore doganale e che il valore di transazione deve comunque riflettere il valore economico reale della merce importata e tener conto di tutti gli elementi di rilievo economico di essa.

Ne consegue che, diversamente da quanto sostenuto dalla difesa della ricorrente, nel seguire la rigida scansione delle regole fissate dal codice doganale comunitario, quando il valore in dogana non possa essere determinato mediante ricorso al valore di transazione delle merci importate, la valutazione doganale si dovrà attenere alle disposizioni del cit. codice, art. 30, applicando, in sequenza, i metodi previsti da quest’ultimo art., lett. da a) a d), paragrafo 2, (Corte giust. in causa C-116/12, cit., punto 41) e soltanto quando non sia possibile determinare il valore in dogana delle merci importate neppure sulla base dell’art. 30 codice doganale, si opererà la valutazione in dogana conformemente alle Disp. del cit. codice, art. 31, (sentenza in causa C-116/12, punto 42).

La Corte di giustizia, sul punto, ha precisato (Corte di giustizia, causa C-291/15) che: “Quando il valore in dogana non può, tuttavia, essere determinato, ai sensi dell’art. 29 del codice doganale, mediante il valore di transazione delle merci importate, la valutazione doganale è effettuata conformemente alle Disp. di tale codice, art. 30, applicando, in sequenza, i metodi previsti da quest’ultimo art., lett. da a) a d), paragrafo 2, (sentenza del 12 dicembre 2013, Christodoulou e a. C-116/12, EU:C:2013:825, punto 41)”.

In definitiva, i criteri di determinazione del valore in dogana devono essere applicati in base agli artt. 29, 30 e 31 codice doganale, comunitario ma rispettando il nesso di sussidiarietà tra essi esistente: soltanto quando il valore in dogana non possa essere determinato applicando la disposizione precedente, si deve far riferimento a quella immediatamente successiva secondo l’ordine stabilito dal codice (Corte di giustizia, C-116/12, punto 43; in termini, nell’ambito della giurisprudenza interna, Cass. civ., 27 settembre 2018, nn. 23245 e 23246).

Ciò precisato, va esaminata ora la questione, prospettata dalla ricorrente, della ritenuta immediata applicabilità dell’art. 30 CDC, lett. c), al caso di specie.

In particolare, si evince dalla sentenza che la merce non aveva formato oggetto di transazione commerciale tra lo speditore extracomunitario e l’operatore economico importatore, trattandosi di mero trasferimento dalla casa madre di Hong Kong al proprio rappresentante fiscale nominato in Italia e che il valore di transazione è stato determinato dall’ufficio doganale facendo riferimento al valore della successiva vendita dall’importatore all’acquirente finale.

Tuttavia, la peculiarità della vicenda in esame, caratterizzata dal fatto che al momento dell’introduzione della merce nel territorio unionale non vi era stata una transazione commerciale, non comporta, come invece sostenuto dalla ricorrente, che, in tal caso, si possa prescindere dal rispetto dei criteri di determinazione del valore in dogana di cui agli artt. 29, 30 e 31 codice doganale comunitario, secondo il nesso di sussidiarietà tra essi esistente.

Invero, il fatto che non vi sia stata una transazione commerciale al momento dell’introduzione della merce nel territorio unionale, ma si è proceduto solo successivamente alla vendita in favore di terzi da parte dell’importatore, comporta l’applicazione della previsione di cui all’art. 29 CDC, paragrafo 1, ove risulti, come è incontestato nella fattispecie, che la merce ha fatto ingresso nel territorio unionale al fine della vendita per l’esportazione, ciò in linea con la previsione di cui all’art. 147 DAC, secondo cui: “Ai fini d del codice art. 29, il fatto che le merci oggetto di una vendita siano dichiarate per l’immissione in libera pratica è da considerarsi un’indicazione sufficiente che esse sono state vendute per l’esportazione a destinazione del territorio doganale della Comunità”.

Tale circostanza, quindi l’avvenuta immissione in libera pratica al fine di procedere alla vendita per l’esportazione a destinazione del territorio doganale, comporta che si debba procedere, ove possibile, alla determinazione del valore di transazione facendo riferimento a quello di merci identiche, vendute per l’esportazione a destinazione della Comunità ed esportate nello stesso momento o pressappoco nello stesso momento delle merci da valutare, ovvero a quello di merci similari, vendute per l’esportazione a destinazione della Comunità ed esportate nello stesso momento o pressappoco nello stesso momento delle merci da valutare, di cui alle lett. a) e b), par. 2, CDC, e solo successivamente, ove non sussistano elementi per procedere in tal senso, può trovare applicazione il criterio sussidiario di cui alla lett. c), CDC.

Sulla base delle considerazioni che precedono, deve essere formulato il seguente principio di diritto: “I criteri di determinazione del valore delle merci di cui all’art. 30 CDC, e, in particolare, la sequenza da esso stabilita nelle lett. a), b) e c), del par. 2, trovano applicazione anche quando la merce transita in dogana non per effetto di una vendita dall’esportatore straniero all’importatore, ma a seguito di un mero trasferimento nel territorio dell’Unione presso il rappresentante fiscale dell’esportatore.”

Con il terzo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per insufficiente motivazione circa un fatto decisivo e controverso per il giudizio, avendo ritenuto che, nella fattispecie, era possibile l’applicazione della previsione di cui all’art. 30 CDC, par. 2, lett. a) e b), in quanto vengono sicuramente introdotte nel territorio comunitario merci identiche, o almeno similari, a quelle importate dalla Genesis Asia Service Limited, senza alcuna indicazione dei fatti e degli elementi di prova tenuti in considerazione al fine di pervenire alla statuizione censurata e senza dare conto delle ragioni per cui ha ritenuto che le suddette importazioni fossero “identiche” o “similari” a quella in esame.

Viene, inoltre censurato con il medesimo motivo il passaggio motivazionale della sentenza con cui si afferma che si deve tenere conto per quanto riguarda le modalità operative della società contribuente, di costi aggiuntivi che, tra l’altro, non sono risultano compiutamente verificati, non tenendo conto del fatto che l’ufficio doganale aveva provveduto a dedurre tutti i costi risultati registrati e documentati.

Il motivo è inammissibile.

Come evidenziato, il giudice del gravame ha compiuto un accertamento in ordine alla circostanza che la determinazione del valore doganale delle merci importate avrebbe potuto essere effettuata facendo riferimento al valore di merci, identiche o similiari, sicuramente introdotte nel territorio comunitario.

Rispetto a questo punto della decisione, la ricorrente prospetta un vizio di insufficiente motivazione senza individuare specifiche circostanze di senso diverso rispetto a quelle accertate dalla pronuncia impugnata che avrebbero potuto condurre a una diversa valutazione.

Circa il riferimento, poi, al passaggio motivazionale relativo ai costi non tenuti in considerazione, va osservato, in primo luogo, che lo stesso non ha costituito la ragione fondante la decisione, consistente, come detto, nel fatto che occorreva osservare la rigida sequenza di determinazione del valore delle merci prevista dall’art. 30, par. 2, nella fattispecie non applicata, stante la diretta applicazione della lett. c), del suddetto paragrafo, profilo che già, di per sè, costituisce motivo di illegittimità della pretesa.

Sotto tale profilo, è priva di rilevanza la circostanza, evidenziata dalla ricorrente, che, in sede di redazione del processo verbale di constatazione, erano stati scomputati tutti i costi che la contribuente aveva debitamente registrato e documentato.

E’ vero che, come correttamente sostenuto con il presente motivo, la pronuncia censurata, nel ritenere non compiutamente verificati ulteriori costi aggiuntivi, non ha fatto corretta applicazione dei principi in materia di onere probatorio, tenuto conto del fatto che, invece, l’onere di provare elementi di costo ai fini della riduzione del debito tributario è da porsi a carico di chi intende avvalersi di tale vantaggio, quindi alla contribuente.

Tuttavia, questo profilo di censura, non solo è privo di pregio alla luce della considerazione sopra esposta in ordine alla ratio decidendi della pronuncia in esame, ma costituisce una ragione di contestazione riconducibile, eventualmente, al vizio di violazione di legge, essendo relativo alla violazione della regola del riparto dell’onere probatorio, che avrebbe dovuto essere adeguatamente prospettato differenziandolo, nel contenuto, dal contesto nel quale è inserito, senza autonoma valenza, relativo unicamente alla ritenuta insufficienza motivazionale della sentenza.

Con il quarto motivo si censura la sentenza per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 1,2 e 7, essendosi limitata a dichiarare non legittima la pretesa, senza procedere, di conseguenza, alla determinazione dell’effettivo valore della merce, attivando i poteri valutativi ed estimativi, sostituendo la propria valutazione a quella operata dall’ufficio.

Il motivo è fondato.

La giurisprudenza di questa Suprema Corte è ferma nel ritenere che, essendo il processo tributario annoverabile tra quelli di “impugnazione-merito”, in quanto diretto ad una decisione sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente sia dell’accertamento dell’Ufficio, il giudice, ove ritenga invalido l’avviso di accertamento per motivi non formali, ma di carattere sostanziale, non può limitarsi al suo annullamento, ma deve esaminare nel merito la pretesa e ricondurla alla corretta misura, entro i limiti posti dalle domande di parte (Cass. civ. Sez. V, 4 ottobre 2018, n. 24306; conf. Cass. civ, 28 giugno 2016, n. 13294; Cass. civ., 28 novembre 2014, n. 25317; Cass. civ., 19 novembre 2014, n. 24611).

Nella fattispecie, poichè il giudice del gravame ha ritenuto non legittima la pretesa dell’ufficio doganale fondata sulla determinazione del valore della merce secondo l’importo indicato nella fattura di vendita della merce dal rappresentante fiscale all’importatore, e, inoltre, avendo accertato l’introduzione nel territorio comunitario di merci identiche o similari a quelle importatore, avrebbe dovuto procedere alla determinazione del valore di transazione della merce sulla base degli elementi a disposizione, eventualmente attivando, nei limiti dei fatti dedotti dalle parti, i poteri istruttori di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7.

La sentenza censurata, pertanto, essendosi limitata a annullare l’atto impugnato senza procedere alla determinazione del valore di transazione della merce, è incorsa nel vizio di violazione di legge.

In conclusione, il secondo motivo di ricorso è infondato, assorbito il primo, il terzo è inammissibile, va accolto il quarto motivo di ricorso, con cassazione della sentenza impugnata per il motivo accolto e rinvio alla Commissione tributaria regionale anche per la liquidazione delle spese del presente grado di giudizio.

PQM

La Corte:

accoglie il quarto motivo di ricorso, infondato il secondo, assorbito il primo, inammissibile il terzo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Veneto, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del presente grado di giudizio.

Così deciso in Roma, il 26 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 3 ottobre 2019

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