Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.24674 del 03/10/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. D’AURIA Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 8291-2015 proposto da:

AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

GRAPHITE SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA G.G. PORRO 8, presso lo studio dell’avvocato ANSELMO CARLEVARO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato SIMONA ARPINATI giusta delega in calce;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1779/2014 della COMM. TRIB. REG. di BOLOGNA, depositata il 14/10/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 06/02/2019 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE D’AURIA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. IMMACOLATA ZENO che ha concluso per l’accoglimento del ricorso principale, inammissibilità ricorso incidentale;

udito per il ricorrente l’Avvocato COLLABOLLETTA che si riporta agli atti.

FATTI DI CAUSA

L’Ufficio delle dogane di ***** richiedeva alla Graphite srl Euro 25294,53, per effetto dell’emissione dell’atto di rettifica dell’accertamento prot. ***** del 12-10-2009; inoltre per tale violazione emanava atto di contestazioni delle sanzioni n. ***** relativo alla dichiarazione di importazione definitiva, *****, per parti di bicicletta provenienti della Cina.

La pretesa fiscale traeva origine dalla circostanza che la Dogana riteneva di classificare la merce alla NC 8714911011 e Nc 8710913011 ovvero ad una voce tariffaria identica nella descrizione della merce a quella dichiarata dal contribuente ma gravata di un ulteriore dazio, non essendo l’importatore in possesso di una apposita autorizzazione che consentisse in caso di importazioni inferiore a 300 pezzi al mese di non pagare l’ulteriore dazio antidumping.

Avverso tali atti impositivi il contribuente proponeva distinti ricorsi, deducendo sia vizi procedurali che l’inesistenza della pretesa.

La commissione tributaria di Rimini accoglieva, i ricorsi riuniti, perchè l’avviso di rettifica non era stato preceduto dal verbale di revisione dell’accertamento e per il mancato rispetto del termine di 60 giorni previsto dalla L. n. 212 del 2000, art. 12, e per le sanzioni, oltre a tali ragioni, escludeva la colpa D.Lgs. n. 472 del 1992, ex art. 5, applicando altresì la causa di non punibilità prevista dalla cit. L., art. 6.

A seguito di appello della agenzia Delle Dogane, la Commissione Regionale dell’Emilia Romagna, respingeva il gravame ritenendo non necessario per l’esenzione il rilascio della autorizzazione da parte della dogana, e la dichiarazione resa era sufficiente per non pagare gli ulteriori dazi antidumping trattandosi di modiche quantità.

Propone ricorso in Cassazione l’Agenzia Delle Dogane, tramite l’avvocatura dello Stato, con un unico motivo, deducendo la violazione e o falsa applicazione del Reg. CE 88 del 1997, art. 14, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3.

Si costituiva la società Graphite chiedendo il rigetto del gravame e ribadiva la nullità della contestazione avvenuta in violazione della disposizione di cui all’art. 12 statuto del contribuente, nonchè la condanna alle spese per i pregressi gradi erroneamente compensate.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo la parte ricorrente assume che il giudice di appello era incorso in violazione di legge, avendo ritenuto non necessaria la autorizzazione espressa per aver diritto alla esenzione del dazio antidumping per importazioni al di sotto di 300 parti di biciclette dalla Cina. Il motivo è fondato.

Occorre premettere il principio generale che in via ordinaria rimane sottinteso per la sua ovvietà, anche se nel caso pare pretermesso dal ricorrente, secondo cui l’esenzione, costituendo un beneficio in deroga al regime generale antidumping, è di stretta interpretazione e comporta una presunzione relativa in ordine alla sussistenza dei presupposti per il pagamento del tributo, cui consegue che grava l’onere della prova a carico del contribuente circa le condizioni per l’applicazione del beneficio. Pertanto correttamente, nel caso in esame, la Amministrazione ha provveduto a rettificare i dazi dovuti, concernente la non ricorrenza delle condizioni di esenzione, per non essere l’importatore in possesso della relativa autorizzazione per il controllo della destinazione particolare, avvalendosi della procedura di revisione onnicomprensiva prevista dal D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11, comma 5, (tale controllo si estende a qualsiasi ipotesi di mancata od inesatta contabilizzazione dei diritti doganali, dovendo ritenersi in essa unificate tutte le ipotesi attinenti sia agli “errori di calcolo nella liquidazione o di erronea applicazione delle tariffe” che quelle concernenti “l’erroneo od inesatto accertamento della qualità, della quantità, del valore o della origine della merce”), secondo cui si procede al recupero del dazio risultante da una obbligazione doganale tutte le volte che il relativo importo sia stato contabilizzato ad un livello inferiore all’importo legalmente dovuto, indipendentemente quindi se ciò sia o meno dipeso da un errore od una inesattezza della Amministrazione doganale inerente al calcolo ovvero inerente alla individuazione e classificazione della merce. Nella specie la società importatrice ha corrisposto il dazio alla importazione in misura inferiore all’importo legalmente dovuto (non potendo fruire della agevolazione daziaria prevista per la quantità minima non avendo la relativa autorizzazione) il che legittimava l’accertamento in revisione della dichiarazione doganale a posteriori. In tema di tributi doganali, l’applicazione del regime di esenzione o riduzione daziaria presuppone la regolarità formale e sostanziale della documentazione. Sul contenuto normativo e sull’efficacia operativa del cit. art. 14, si è registrata la pronuncia della Corte di giustizia che, nella causa C-371/09, ha affermato: “Il Reg. (CEE) del Consiglio 12 ottobre 1992, n. 2913, art. 212 bis, che istituisce un codice doganale comunitario, come modificato dal Reg. (CE) del Parlamento Europeo e del Consiglio 16 novembre 2000, n. 2700, non consente di concedere l’esenzione dai dazi antidumping ad un importatore che non possieda l’autorizzazione preventiva per beneficiare di un’esenzione da tali dazi in base al Reg. n. 88 del 1997, art. 14, lett. c).” Tale affermazione è stata pacificamente recepita anche dalla suprema Corte, ed a tale indirizzo si intende dare continuità, secondo cui In tema di tributi doganali, ai sensi del Reg. CEE n. 2913 del 1992, art. 212-bis, come interpretato dalla Corte di giustizia nella sentenza del 29 luglio 2010, in causa C-371/09, deve essere esclusa la sussistenza delle condizioni per l’esenzione dal dazio antidumping del Reg. CE n. 88 del 1997, ex art. 14, pur in presenza di importazione in quantitativo inferiore alla soglia minima prevista, ove la merce non sia stata sottoposta al controllo di destinazione particolare, a cui è normativamente subordinata l’esenzione, e non abbia, pertanto, ottenuto la preventiva autorizzazione dell’ufficio doganale competente. e ciò, quindi, anche quando l’importazione riguardi un quantitativo di merce al di sotto della soglia ivi prevista (sentenza n. 2072 del 27/01/2017), principio ribadito con l’ordinanza n. 14582 del 06/06/2018 secondo cui in tema di tributi doganali per l’importazione di parti essenziali di biciclette, il regime di esenzione dal dazio “antidumping”, del Reg. CE n. 88 del 1997, ex art. 14, presuppone, a prescindere dal quantitativo, la preventiva autorizzazione dell’ufficio doganale di cui al Reg. CEE n. 2454 del 1993, art. 292, non surrogabile dal mero riscontro materiale dei presupposti per il suo rilascio. Vero è che il controricorrente ha nelle sue difese dedotto la buona fede, peraltro senza proporre sul punto ricorso incidentale, comunque la buona fede può sussistere solo se l’errore sia tale da non poter essere ragionevolmente riconosciuto dal debitore in buona fede, nonostante la sua esperienza professionale e diligenza, provocato da un comportamento “attivo” degli uffici doganali che procedettero allo sdoganamento.

In sintesi per la deroga al recupero a posteriori è necessario ai sensi dell’art. 220, già richiamato, che l’errore da cui scaturisca la buona fede non può consistere nella mera ricezione di dichiarazioni inesatte da parte della Dogana, dato che l’Amministrazione non deve verificarne o valutarne la veridicità in via immediata, ma richiede un comportamento attivo, perchè il legittimo affidamento del debitore è protetto solo se le autorità competenti hanno determinato i presupposti su cui si basa la sua fiducia. Il Fisco non è tenuto a sopportare le conseguenze pregiudizievoli di comportamenti poco diligenti degli importatori.

In conclusione poichè nel caso in esame alcun comportamento attivo ha posto in essere la Dogana che si è limitata a recepire la dichiarazione del contribuente, che nulla aveva detto circa la mancanza della autorizzazione, non spetta il benefico invocato. Come si vede c’era stato ab initio una palese omissione dell’importatore che quindi si era astenuto dall’informarsi, nella massima misura possibile, delle circostanze necessarie per poter pagare un dazio in misura inferiore. Il concetto di buona fede implica non solo uno stato di ignoranza, ma anche che tale ignoranza sia incolpevole, cioè non superabile dall’interessato con l’uso dell’ordinaria diligenza. Nel caso di specie non pare che sia stata spiegata dallo spedizioniere la ordinaria diligenza professionale che comprendeva anche quella di accertarsi della necessità della autorizzazione per ottenere il beneficio invocato. In via di massima al momento dell’accettazione della dichiarazione in dogana, l’autorità suddetta non si pronuncia sull’esattezza delle informazioni fornite dal dichiarante, di cui quest’ultimo si assume la responsabilità, proprio per non ostacolare le operazioni di sdoganamento. Nel caso di specie, può solo affermarsi l’esistenza di uno stato soggettivo di ignoranza irrilevante e l’omesso rilievo immediato della irregolarità non può aver efficacia esimente non traducendosi in un comportamento positivo su cui fare affidamento, altrimenti l’obbligo in materia doganale che grava, infatti, sull’importatore (e sul suo rappresentante) di vigilare sull’esattezza dell’informazione fornita alle autorità doganali si trasferirebbe illegittimamente sulla P.A.

Nel controricorso la srl GrAphite deduce la violazione della Disp. della L. 212 del 1992, art. 12, avendo erroneamente la sentenza gravata ritenuto non applicabile al caso concreto tale normativa.

Nel caso non era necessario una specifica esposizione dei fatti potendo il requisito di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, ritenersi sussistente, visto che dal contesto dell’atto di impugnazione si rinvengono gli elementi indispensabili per la precisa cognizione dell’origine e dell’oggetto della controversia, senza necessità di ricorso ad altre fonti, anche in considerazione della laconica affermazione contenuta nella sentenza circa la non applicabilità dello Statuto del contribuente (Cass. S.U. 13.2.1998, n. 1513).

Comunque tale motivo è da ritenersi infondato.

Deve ritenersi che il sistema del TU n. 43 del 1973, cui rinviava il D.Lgs. n. 274 del 1990, art. 11, nel testo applicabile “ratione temporis”, realizzava, attraverso il procedimento contenzioso amministrativo, una forma anticipata di contraddittorio pieno, che, in seguito, è venuta ad essere sostituita da una diversa modalità di assicurazione della garanzia del contraddittorio (assimilabile a quella già prevista dalla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7), ma soltanto a far data dalla entrata in vigore del D.L. n. 24 gennaio 2012, n. 1, (art. 1, comma 1), convertito nella L. 24 marzo 2012, n. 44, che ha introdotto il D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11, comma 4 bis, prevedendo che in caso di “revisione di ufficio”, ovvero all’esito di “accessi – ispezione – verifiche”, all’operatore deve essere, rispettivamente, notificata ovvero consegnata “copia del verbale delle operazioni compiute”: dalla data della ricezione della notifica o dalla data della consegna decorre il termine di gg. 30 entro il quale l’operatore interessato “può comunicare osservazioni e richieste che sono valutate dall’Ufficio doganale prima della notifica dell’avviso di cui al successivo comma 5,” (e cioè della notifica avviso di rettifica), intervento normativo che è stato successivamente completato dal D.L. 2 marzo 2012, n. 16, art. 12, comma 1, conv. in L. 26 aprile 2012, n. 27, (recante “disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficienza e potenziamento delle procedure di accertamento”) con l’abrogazione del D.Lgs. n. 274 del 1990, art. 11, comma 7, e parzialmente del comma 6, e la conseguente eliminazione del sistema dei ricorsi amministrativi contenziosi in materia doganale. Risulta dunque infondata la censura sollevata con il ricorso alla decisione di secondo grado che non ha ritenuto applicabile la disciplina dello Statuto del contribuente visto che la legge doganale all’epoca della prima già prevedeva una forma di garanzia del contraddittorio. Pertanto questa Corte intende confermare l’indirizzo giurisprudenziale costante già espresso da ultimo anche dalla sentenza n. 15032 del 02/07/2014 e n. 8199 del 2013.

Chiaramente resta assorbito l’ulteriore motivo del ricorso incidentale del contribuente relativo alla condanna alle spese per i gradi di merito, stante la sua soccombenza rispetto al ricorso principale. Poichè è rimasto acclarato il corretto operato dell’Ente impositore nel richiedere il pagamento di una somma suppletiva per i dazi doganali, non avendo il contribuente diritto alla esenzione del dazio antidumping, e le conseguenti sanzioni, i ricorsi introduttivi riuniti vanno respinti non essendovi necessità di ulteriori indagini. Tenuto conto della novità delle questioni trattate con riferimento alla fase introduttiva del giudizio di primo grado, appare opportuno procedere alla compensazione delle spese delle fasi di merito, mentre in questo giudizio le spese seguono la soccombenza.

PQM

La Corte accoglie il ricorso principale;

rigetta il primo motivo del ricorso incidentale e dichiara assorbito il secondo motivo; si dà atto della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2202, art. 13, comma 1 quater, in relazione al ricorso incidentale.

cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito, rigetta i ricorsi originari del contribuente che condanna al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità liquidandole in Euro 5200 oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 6 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 ottobre 2019

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