Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.24790 del 03/10/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – rel. Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 20508/2018 proposto da:

V.N., rappres. e difeso dalla tutrice, avv. Monica Bosi la quale lo rappres. e difende come da procura speciale in atti;

– ricorrente –

contro

V.M.P., elett.te domic. in Roma presso l’avv. Cynthia De Conciliis, rappres. e difeso dall’avvocato Momoli Maria Bianca, con procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

W.S.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 926/2018 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 31/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 21/05/2019 dal Cons. Dott. CAIAZZO ROSARIO

RILEVATO

che:

Con sentenza dell’8.1.2014 il Tribunale dei minori di Brescia dichiarò lo stato di adottabilità del minore V.N., sospese la responsabilità dei genitori, V.M.P. e W.S. e nominò il tutore, disponendo il collocamento del minore presso una coppia in lista d’attesa per l’adozione nazionale, con sospensione dei rapporti tra il minore e tutti i parenti.

Al riguardo, il Tribunale osservò che: era stato provato lo stato d’abbandono morale e materiale del minore, essendo emersa dall’istruttoria l’irrecuperabilità della capacità genitoriale di entrambi i genitori, sia per le condotte abusanti, che per il disinteresse dimostrato per le esigenze di equilibrato sviluppo del figlio; in particolare, era da stigmatizzare la condotta della madre la quale consumava stupefacenti e abusava di alcool, senza seguire le indicazioni fornite; le informative dei servizi sociali avevano evidenziato le scarse capacità genitoriali del padre, anche con riferimento ai figli nati da precedenti relazioni, come confermato dalla volontà espressa che il figlio venisse etero-affidato.

Con sentenza del 6.6.2014 la Corte d’appello di Brescia confermò la decisione di primo grado. Tale sentenza fu impugnata con ricorso per cassazione, accolto dalla Corte con sentenza del 2016, che annullò la sentenza con rinvio, osservando che il giudice d’appello: aveva omesso di valutare la relazione del 14.10.2013, pervenuta al Tribunale dei minori il 5.2.14, dalla quale emergevano fatti nuovi riguardo al significativo miglioramento del rapporto tra V.M.P. e il figlio secondo quanto riferito dalla famiglia di appoggio presso cui il minore era stato collocato; aveva omesso di considerare che le analisi ematiche eseguite sul padre avevano avuto esito negativo circa l’uso di stupefacenti e alcool; non aveva preso in considerazione la manifestata volontà del nonno paterno di prendersi cura del nipote, nè erano state valutate le mutate condizioni della madre la quale aveva aderito ad un percorso di recupero.

Riassunto il giudizio ed espletata c.t.u., la Corte d’appello, con sentenza del 31.5.18, in riforma dell’impugnata sentenza, dichiarò non luogo a provvedere sulla richiesta di dichiarazione dello stato di adottabilità del minore, revocando la dichiarazione in primo grado.

In particolare, la Corte territoriale osservò che: dalla suddetta relazione del 5.2.2014 e dalla c.t.u. era emerso che il padre del minore fosse persona munita di adeguata capacità genitoriale, il quale aveva registrato un rilevante miglioramento delle relative funzioni rispetto a quanto accertato in primo grado, avendo altresì manifestato disponibilità a supportare il minore, risultando superate le criticità pregresse legate allo stile di vita trasgressivo e legato all’uso di stupefacenti e all’abuso di alcool; l’esclusione dei presupposti della dichiarazione di adottabilità non poteva essere posta in discussione dal rilievo – segnalato dal c.t.u. – dell’attuale stabilizzazione del minore presso la famiglia collocataria e dei possibili pregiudizi che il rientro nella famiglia d’origine potrebbe determinare. La tutrice del minore V.N. ha presentato ricorso per cassazione affidato a tre motivi, illustrati con memoria.

Resiste V.M.P. con controricorso. Non si è costituita W.S..

RITENUTO

che:

Con il primo motivo è dedotto l’omesso esame circa la certezza della capacità genitoriale di V.M., padre del minore, in quanto dalla c.t.u. non si desume l’idoneità del V. a svolgere i compiti genitoriali.

Con il secondo motivo è denunziata la violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, avendo la Corte d’appello adottato una motivazione apparente, e comunque contraddittoria, in ordine alle capacità genitoriali del V., senza tener conto di quanto esposto dal c.t.u. riguardo ai rischi per il minore rappresentati dall’abbandono della famiglia collocataria.

Con il terzo motivo è denunziata violazione del medesimo art. 132 c.p.c., n. 4, per l’inosservanza della L. n. 184 del 1983, art. 5, comma 1, u.p., in quanto il giudice d’appello non aveva considerato il diritto del minore alla continuità affettiva in ordine alle relazioni consolidatesi con gli affidatari i quali erano idonei all’adozione del minore.

Il primo motivo è infondato in quanto la Corte d’appello ha esaminato e valutato la questione delle adeguate capacità genitoriali del V., non emergendo alcuna omissione valutativa.

Il secondo e terzo motivo, esaminabili congiuntamente poichè tra loro connessi, sono infondati.

Circa il secondo motivo, la motivazione esiste e non è apparente. Invero, la Corte territoriale, ha affermato che dalla relazione sopravvenuta e dalla c.t.u. emergeva un miglioramento della valutazione delle capacità genitoriali del V. – evidenziandone i progressi-, pur rilevando, nel contempo, delle criticità consistenti nel fatto che tale miglioramento era frutto di una forzatura piuttosto che il risultato di un maturo processo di evoluzione, come riferito dal c.t.u., e soggiungendo che non erano esattamente preventivabili i rischi del rientro del minore nella famiglia d’origine, dato il suo pieno inserimento nella famiglia dei collocatati.

Orbene, la ricorrente tutrice si duole che la decisione di non provvedere sull’accertamento dello stato di non adottabilità del minore abbia leso il diritto di quest’ultimo alla continuità affettiva nell’ambito della relazione determinatasi nell’ambito della famiglia dei collocatari.

Invero, i motivi in esame implicano una valutazione che predica il bilanciamento dei due contrapposti – e per certi versi incompatibili – diritti in questione, cioè quello del genitore che intenda esercitare la sua capacità genitoriale e il diritto suddetto alla continuità affettiva di cui è titolare il minore.

Al riguardo, giova osservare che la giurisprudenza di questa Corte è consolidata nell’affermare che la L. 4 maggio 1983, n. 184, art. 1 (nel testo novellato dalla L. 28 marzo 2001, n. 149) attribuisce al diritto del minore di crescere nell’ambito della propria famiglia d’origine un carattere prioritario – considerandola l’ambiente più idoneo al suo armonico sviluppo psicofisico – e mira a garantire tale diritto attraverso la predisposizione di interventi diretti a rimuovere situazioni di difficoltà e di disagio familiare (Cass., n. 1837/11).

E’ stato sul punto precisato che il prioritario diritto dei minori a crescere nell’ambito della loro famiglia di origine non esclude la pronuncia della dichiarazione di adottabilità quando, nonostante l’impegno profuso dal genitore per superare le proprie difficoltà personali e genitoriali, permanga tuttavia la sua incapacità di elaborare un progetto di vita credibile per i figli, e non risulti possibile prevedere con certezza l’adeguato recupero delle capacità genitoriali in tempi compatibili con l’esigenza dei minori di poter conseguire una equilibrata crescita psico-fisica (Cass., n. 16357/18).

Ne consegue che il diritto del minore a crescere ed essere educato nella propria famiglia d’origine comporta, anche alla stregua della giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo, che il ricorso alla dichiarazione di adattabilità sia praticabile solo come “soluzione estrema”, quando, cioè, ogni altro rimedio appaia inadeguato con l’esigenza dell’acquisto o del recupero di uno stabile ed adeguato contesto familiare in tempi compatibili con l’esigenza del minore stesso; qualora però, a prescindere dagli intendimenti dei genitori e dei parenti, la vita da loro offerta a quest’ultimo risulti inadatta al suo normale sviluppo psico-fisico, ricorre la situazione di abbandono ai sensi della L. 4 maggio 1983, n. 184, art. 8 e la rescissione del legame familiare è l’unico strumento che possa evitargli un più grave pregiudizio (Cass., n. 881/15; n. 7391/16; n. 13435/16).

Corollario di quanto esposto è che il giudice di merito deve operare un giudizio prognostico teso, in primo luogo, a verificare l’effettiva ed attuale possibilità di recupero delle capacità e competenze genitoriali, con riferimento sia alle condizioni di lavoro, reddituali ed abitative, senza però che esse assumano valenza discriminatoria, sia a quelle psichiche, da valutarsi, se del caso, mediante specifica indagine peritale (Cass., n. 7559/18).

Ora, nel caso concreto, la Corte d’appello ha accertato che a fondamento dell’assoluta inidoneità del padre a farsi carico delle esigenze educative e di crescita del minore furono a suo tempo individuate problematiche legate ad uno stile di vita improntato a trasgressività e all’abuso di alcol e stupefacenti risalenti ad epoca precedente, ma non più attuali già alla data della pronuncia della sentenza di primo grado. Invero, il giudice d’appello ha affermato che il relativo dato fattuale, come desumibile dalla relazione d’aggiornamento redatta dai servizi sociali in data 14.10.13 – ma pervenuta al Tribunale dei minori il successivo 5.2.14 – e dalla c.t.u. disposta in grado d’appello, era costituito, da un lato, dall’esito negativo dei controlli cui lo stesso padre si era sottoposto dal 2011, e dall’altro, dall’atteggiamento positivo ed interessato manifestato dopo il collocamento del minore presso la prima famiglia d’appoggio.

In particolare, la Corte di merito ha rilevato che, per quanto emerso dalla c.t.u., il V. manifestava attualmente una buona condizione di adattamento psicosociale con evidente miglioramento delle sue funzioni, con indiscutibile progresso rispetto alle condizioni valutate in primo grado, sebbene il consulente abbia ritenuto che tale condizione sia, in realtà, da intendere come una forzatura piuttosto che il risultato di un maturo processo evolutivo.

Lo stesso c.t.u. ha evidenziato profili di criticità, come detto, argomentando che il padre necessita di una realtà semplice e priva di sollecitazioni per potersi ad essa rapportare adeguatamente, soggiungendo che non era possibile fare previsioni su quanto il rientro del minore Nicolas potrebbe incidere sugli equilibri che egli ha costruito nella sua nuova condizione di vita.

Ora, la Corte d’appello, preso atto delle varie relazioni acquisite sulle capacità genitoriali del V., ed esaminandone il complesso contenuto, ha formulato un giudizio prognostico favorevole in ordine alla recuperata capacità genitoriale del padre di Nicolas, rilevando significativamente che i presupposti di tale pronuncia erano sussistenti già alla data della sentenza di primo grado e non portati al vaglio del giudice per il ritardo della trasmissione della relazione di aggiornamento dei servizi sociali datata 14.10.2013. Inoltre, la Corte di merito, pur dando atto delle criticità evidenziate dal c.t.u. riguardo alle conseguenze del rientro del minore presso la famiglia d’origine, abbandonando i soggetti cui era stato affidato, e presso i quali si era inserito positivamente, ha affermato di dover fondare la propria decisione sull’avvenuto recupero delle capacità genitoriali del V. che escludevano, dunque, la necessità di recidere il legame del minore con la sua famiglia d’origine, dato il carattere di estremo rimedio della dichiarazione di adottabilità, per quanto sopra esposto. Peraltro, la Corte territoriale, nel ritenere l’idoneità genìtoriale del V., ha altresì evidenziato che se negli ultimi quattro anni non vi erano stati contatti tra il minore, il padre e gli altri familiari d’origine, ciò non era addebitabile a cattiva volontà o a negligenza degli stessi, quanto al fatto che, in forza della decisione a suo tempo assunta dal Tribunale, ogni possibile frequentazione tra il minore, il padre e gli altri familiari era stata inibita.

La Corte territoriale ha dunque motivato in maniera esaustiva in ordine alla sussistenza dei presupposti della revoca dello stato di adottabilità del minore, applicando il consolidato orientamento di questa Corte, senza incorrere in nessuna contraddizione, e ben evidenziando le ragioni che inducevano ad escludere la violazione dell’invocato diritto alla continuità affettiva circa la relazione con gli affidatari del minore, pur ponendo in evidenza la necessità di adottare tutte le misure idonee a garantire la gradualità del reinserimento dello stesso minore nella famiglia d’origine.

Peraltro, la doglianza afferente alla contraddittorietà della motivazione è inammissibile quale vizio di legittimità non declinabile ratione temporis.

Considerato che la particolarità della motivazione induce ad escludere una piena soccombenza della ricorrente tutrice, le cui ragioni inerenti alla necessità di piena tutela in caso di reinserimento del minore nella famiglia d’origine sono state riconosciute dal giudice d’appello, ricorrono i presupposti per compensare le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di legittimità.

Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati significativi, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 21 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 ottobre 2019

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