Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.24900 del 04/10/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18877/2016 proposto da:

N.M., P.L., domiciliato ope legis presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dallAvvocato MAURIZIO CAPURSO;

– ricorrenti –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F.

*****, in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A. –

Società di Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S. C.F. *****, elettivamente domiciliato in ROMA VIA CESARE BECCARIA 29 presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati ANTONINO SGROI, CARLA D’ALOISIO, EMANUELE DE ROSE, LELIO MARITATO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 443/2016 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 10/05/2016 R.G.N. 486/2015.

RILEVATO CHE:

1. Il Tribunale di Pisa, con sentenza n. 356 del 2014, accoglieva l’opposizione proposta da N.M. e P.L. avverso l’avviso di addebito INPS relativo ai contributi a percentuale omessi in relazione al maggior reddito accertato dall’Agenzia delle Entrate;

2. la Corte di appello di Firenze, con sentenza n. 443 del 2016, accoglieva il gravame dell’INPS e della S.C.C.I. e, per l’effetto, respingeva l’opposizione proposta da N.M. e P.L..

2.1. in estrema sintesi, a fondamento del decisum, la Corte territoriale ha ritenuto dovuta la contribuzione sul maggior reddito, come definitivamente accertato a seguito della definizione agevolata D.L. n. 98 del 2011, ex art. 39, comma 12, che “determina la cessazione della materia del contendere nel giudizio di opposizione avverso l’avviso di accertamento tributario” ed escluso la possibilità di qualsiasi contestazione (del maggior reddito, appunto) anche ai fini della determinazione dell’entità dei contributi dovuti;

3. hanno proposto ricorso per cassazione, N.M. e P.L., fondato su tre motivi ed illustrato con memoria ex art. 380 bis 1 c.p.c.;

4. hanno resistito, con controricorso, l’INPS e la SCCI.

CONSIDERATO CHE:

1. con il primo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – è dedotta violazione o falsa applicazione del D.L. n. 70 del 2011, art. 7, comma 2, lett. t), n. 2, convertito con modif. in L. n. 106 del 2011 e del D.L. n. 78 del 2010, art. 30, convertito in L. n. 122 del 2010, anche con riferimento all’art. 2909 c.c.; si imputa alla pronuncia di aver erroneamente interpretato la normativa di riferimento, laddove ha ritenuto rilevante, ai fini della prova del credito vantato dall’INPS per omessa contribuzione, il maggior reddito accertato a carico della parte ricorrente in sede fiscale;

1. secondo la parte ricorrente, la chiusura della lite fiscale non avrebbe consentito all’INPS di calcolare i maggiori contributi sulla base dell’accertamento compiuto in sede tributaria (id est: dei dati in esso contenuti), restando l’INPS gravato dell’onere di prova del maggior reddito in sede previdenziale e potendo l’Istituto solo avvalersi, come elemento di prova, dei dati dell’accertamento fiscale, salva la libera valutazione del giudice, al pari degli altri elementi di prova acquisiti in giudizio;

2. con il secondo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – è dedotta violazione o falsa applicazione del D.Lgs.n. 546 del 1992, art. 46, comma 1, in relazione al D.L. n. 98 del 2011, art. 39, comma 12, ed in relazione all’art. 2909 c.c.;

la parte ricorrente reitera le medesime considerazioni espresse in relazione al precedente motivo, osservando come anche l’esame delle ulteriori norme indicate in rubrica orienti per l’affermazione secondo cui nessun definitivo accertamento di maggiori redditi, ai fini della determinazione dei contributi INPS, possa conseguire dalla definizione della lite fiscale;

3. i motivi vanno congiuntamente trattati, in quanto intimamente connessi; essi pongono questione circa gli effetti della definizione concordata della lite tributaria sull’obbligazione contributiva previdenziale e dell’esito dell’accertamento da cui è derivata la maggiore pretesa contributiva;

3.1. la definizione ha ad oggetto esclusivamente, come recita il D.L. n. 98 del 2011, art. 39, comma 12, convertito, con modificazioni, in L. n. 111 del 2011, “le liti fiscali di valore non superiore a 20.000 Euro in cui è parte l’Agenzia delle entrate, pendenti alla data del 31 dicembre 2011 dinanzi alle commissioni tributarie o al giudice ordinario in ogni grado del giudizio e anche a seguito di rinvio” e si perfeziona “a domanda del soggetto che ha proposto l’atto introduttivo del giudizio, con il pagamento delle somme determinate ai sensi della L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 16”;

3.2. il tenore letterale delle norme in cui si inscrive l’istituto della definizione concordata delle lite fiscali (D.L. n. 98 del 2011, art. 39, comma 12 e della L. n. 289 del 2002, art. 16) e la finalità espressamente indicata dal legislatore nella rubrica dell’art. 39, recante “disposizioni in materia di riordino della giustizia tributaria”, inducono a ravvisare nella definizione agevolata delle liti tributarie l’esclusiva natura deflativa del contenzioso tributario – di valore inferiore a 20.000 Euro e già pendente alla data del 31 dicembre 2011 – allo scopo di liberare e concentrare le risorse dell’Agenzia delle Entrate sulla proficua e spedita gestione dei procedimenti di natura precontenziosa di cui dello stesso art. 39, comma 9, attraverso il pagamento di un importo percentualmente ridotto del tributo oggetto della lite;

3.3. invero alla deflazione del contenzioso previdenziale il D.L. n. 98, ha dedicato l’art. 38, nel quale fin dalla rubrica, recante “disposizioni in materia di contenzioso previdenziale e assistenziale”, è chiarito l’ambito applicativo e ribadito, nel periodo di apertura del comma 1, il fine di “deflazionare il contenzioso previdenziale” (D.L. n. 98 cit., art. 38, comma 1, primo periodo);

3.4.1a definizione concordata non incide in alcun modo sul contenuto dell’atto di accertamento dell’Agenzia e non importa definitività, propriamente detta, dell’accertamento compiuto dall’Agenzia ai sensi del D.Lgs. n. 462 del 1997, art. 1, la cui efficacia, ai fini extrafiscali del calcolo dei contributi INPS a percentuale sul maggiore reddito, rimane impregiudicata;

3.5. ciò nondimeno, l’accertamento conserva valore probatorio che può essere resistito da prove di segno contrario senza che ciò incida sul riparto dell’onere probatorio;

3.6. questa Corte (v., fra le altre, Cass. n. 13463 del 2017 e n. 19640 del 2018) ha già avuto modo di affermare che tale accertamento costituisce, anche in riferimento all’obbligazione contributiva, un atto amministrativo di ricognizione dell’avveramento del fatto giuridicamente rilevante (id est: la produzione di un certo reddito da parte del lavoratore autonomo);

3.7. come, altresì, chiarito da questa Corte (v. Cass. n. 17769 del 2015), ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis, è compito dell’Agenzia delle Entrate in sede di liquidazione delle imposte, contributi e premi dovuti in base alle dichiarazioni dei redditi, provvedere al controllo formale e sostanziale dei dati in esse contenuti; il D.Lgs. n. 462 del 1997, art. 1, emanato in attuazione della Legge Delega n. 662 del 1996, al fine di attuare l’unificazione dei criteri di determinazione delle basi imponibili fiscali e di queste con quelle contributive e delle relative procedure di liquidazione, riscossione, accertamento e contenzioso (L. n. 662 del 1996, art. 3, comma 134, lett. b)) ha disposto che: “Per la liquidazione, l’accertamento e la riscossione dei contributi e dei premi previdenziali ed assistenziali che (…)devono essere determinati nelle dichiarazioni dei redditi, si applicano le disposizioni previste in materia di imposte sui redditi”;

3.8. ciò significa che, a partire dalla dichiarazione 1999 (per i redditi 1998), l’Agenzia delle Entrate svolge un’attività di controllo, effettuando accertamenti formali e sostanziali sui dati denunciati dai contribuenti, richiedendo il pagamento dei contributi e premi omessi e/o evasi da trasmettere successivamente all’Inps e, in caso di mancato pagamento, l’Inps procede, sulla base dei dati forniti dalla Agenzia delle entrate, alla iscrizione a ruolo dei contributi totalmente o parzialmente insoluti (ai sensi del D.Lgs. n. 462 del 1997);

3.9. si è, dunque, in presenza di un sistema di accertamento, liquidazione e riscossione comune ai due rapporti, previdenziale e tributario, in cui gli atti di accertamento disposti dall’Agenzia delle Entrate costituiscono atti di esercizio anche del rapporto previdenziale, rispondendo al fine di semplificare ed uniformare le procedure di iscrizione a ruolo delle somme a qualunque titolo dovute all’INPS, nonchè di assicurare l’unitarietà nella gestione operativa della riscossione coattiva di tutte le somme dovute all’Istituto (cfr. anche D.L. n. 70 del 2011, conv., con modificazioni, in L. n. 106 del 2011, art. 7, comma 2, lett. t);

3.10. del resto, già con Cass. n. 8379 del 2014, questa Corte aveva chiarito che, in materia di iscrizione a ruolo dei crediti degli enti previdenziali (D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24, comma 3), l’accertamento, cui la norma si riferisce, non è solo quello eseguito dall’ente previdenziale, ma anche quello operato da altro ufficio pubblico come l’Agenzia delle entrate;

3.11. la giurisprudenza di questa Corte ha, inoltre, affermato, in ordine alla valenza probatoria degli accertamenti tributari (v., fra le tante, Cass. n. 14237 del 2017), che in tema di accertamento tributario relativo sia all’imposizione diretta che all’IVA, la legge – rispettivamente del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1 (richiamato dal successivo art. 40 per quanto riguarda la rettifica delle dichiarazioni di soggetti diversi dalle persone fisiche) ed D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 – dispone che l’inesistenza di passività dichiarate, nel primo caso, o le false indicazioni, nel secondo, possono essere desunte anche sulla base di presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti;

3.12. in definitiva, dalla portata presuntiva dell’accertamento tributario si desume la necessità che lo stesso venga resistito da colui che intenda, invece, evitare il consolidamento dell’accertamento stesso (id est: dei fatti oggetto dell’accertamento stesso);

3.13. in mancanza di tale resistenza di segno negativo offerta dall’obbligato, evidentemente, l’atto di accertamento dovrà ritenersi idoneo a rendere definitivo l’avveramento del fatto nello stesso contenuto;

4. nel caso di specie, gli odierni ricorrenti non deducono di aver contestato l’idoneità degli apprezzamenti posti a base dell’atto di accertamento tributario che ha fondato l’avviso di addebito notificato dall’INPS ma si limitano ad invocare a proprio favore la regola di riparto dell’onere probatorio quale conseguenza della irrilevanza, ai fini contributivi, della definizione agevolata della lite fiscale, ai sensi del D.L. n. 98 del 2011, art. 39, comma 12; da ciò consegue, per quanto fin qui esposto, che l’accertamento (id est: i dati in esso contenuti, con riferimento al maggior reddito) sono divenuti definitivi, con consequenziale riflesso sull’obbligazione contributiva;

5. i motivi, pur correggendosi nei sensi di cui sopra la motivazione ai sensi dell’art. 384 c.p.c., vanno dunque respinti;

6. con il terzo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – è dedotta violazione o falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c.; la censura riguarda il governo delle spese, regolato secondo soccombenza; la parte ricorrente imputa alla sentenza di aver, senza alcuna giustificazione, attribuito le spese alla parte vittoriosa, senza considerare i contrasti giurisprudenziali e la novità della disciplina;

6.1. il motivo è del tutto infondato, poichè la violazione delle disposizioni relative all’onere delle spese processuali è configurabile esclusivamente quando queste vengano poste in tutto o in parte, a carico della parte totalmente vittoriosa (ex plurimis, Cass. n. 7146 del 2017);

7. le spese si liquidano come da dispositivo, secondo soccombenza;

8. ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, ex art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 1.800,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali nella misura del 15% ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, ex art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 27 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 ottobre 2019

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