LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Presidente –
Dott. BALESTRIERI Federico – rel. Consigliere –
Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –
Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –
Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 29808/2015 proposto da:
S.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GRAMSCI 24, presso lo studio dell’avvocato RITA MATTICOLI, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
POSTE ITALIANE S.P.A., *****, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE EUROPA 190, (AREA LEGALE TERRITORIALE CENTRO DI POSTE ITALIANE), presso lo studio dell’Avvocato DORA DE ROSE, rappresentata e difesa dall’avvocato LUIGI GIACOMO TOMMASO ZUCCARINO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 98/2015 della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO, depositata il 30/06/2015 r.g.n. 168/2013.
RILEVATO
che:
Il Tribunale di Isernia, con sentenza del 5.6.13, dichiarava la sussistenza di un illegittimo demansionamento di S.M., dipendente di Poste Italiane con qualifica di “quadro”‘ A1, e per l’effetto condannava la società a risarcirgli il relativo danno quantificato in Euro 10.000, oltre interessi e rivalutazione monetaria.
Riteneva il Tribunale che, nonostante il riconoscimento in sede giudiziale della detta qualifica, Poste non gli consentì di svolgere le relative mansioni, ad esse assegnando altro personale, sovente anche di qualifica inferiore.
Avverso tale sentenza proponeva appello il S.; resisteva Poste, proponendo appello incidentale.
Con sentenza n. 98/2015, la Corte d’appello di Campobasso rigettava entrambi i gravami compensando integralmente le spese del grado, ritenendo insussistente il denunciato mobbing e non provato il dedotto danno non patrimoniale.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso il S., affidato a tredici motivi, poi illustrati con memoria, cui resiste Poste Italiane s.p.a. con controricorso.
CONSIDERATO
che:
Con i primi quattro motivi il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, per avere la sentenza impugnata, nel rigettare il gravame da esso proposto, fatto esclusivo e generico riferimento agli accertamenti compiuti dal giudice di primo grado.
I motivi, pur presentando profili di inammissibilità in ordine alla richiesta diversa valutazione di alcuni fatti, risultano per il resto fondati avendo la Corte d’appello molisana, nella laconica motivazione adottata, fatto fondamentale e decisivo riferimento ad accertamenti e valutazioni compiute dal primo giudice sui vari profili della domanda proposta dal S., in uno con la esistenza e quantificazione del danno da demansionamento e mobbing, senza alcuna autonoma valutazione delle censure proposte.
Deve infatti considerarsi che in tema di ricorso per cassazione, è nulla, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, la motivazione solo apparente, che non costituisce espressione di un autonomo processo deliberativo, quale la sentenza di appello motivata “per relationem” alla sentenza di primo grado, attraverso una generica condivisione della ricostruzione in fatto e delle argomentazioni svolte dal primo giudice, senza alcun esame critico delle stesse in base ai motivi di gravame (cfr. da ultimo Cass. n. 27112/18).
Il ricorso deve essere pertanto accolto, restando assorbite le ulteriori doglianze, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio ad altro giudice, in dispositivo indicato, per l’ulteriore esame della controversia, oltre che per la regolamentazione delle spese, comprese quelle del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie i primi quattro motivi di ricorso e dichiara assorbiti i restanti. Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per la regolamentazione delle spese, alla Corte d’appello di Campobasso in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 2 aprile 2019.
Depositato in Cancelleria il 7 ottobre 2019