Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.25017 del 07/10/2019

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. BISOGNI Giacinto – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da S.L., nato in Gambia il *****, domiciliato in Roma, presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avv. Livio Neri (p.e.c. avvlivioneri.milano.pecavvocati.it) come da procura in calce al ricorso;

(ammesso p.s.s. Delib. 21 dicembre 2017 ord. Avv. Brescia);

– ricorrente –

nei confronti di:

Ministero dell’Interno e Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Brescia;

-controricorrente –

avverso la sentenza n. 1115/2017 della Corte di appello di Brescia emessa il 19 aprile 2017 e depositata il 10.8.2017 R.G. n. 739/2016;

sentita la relazione in camera di consiglio del relatore cons.

Bisogni Giacinto.

RILEVATO

CHE:

1. Il sig. S.L., cittadino del Gambia, ha chiesto il riconoscimento del suo diritto alla protezione internazionale esponendo di essere rimasto orfano di padre in tenera età e di aver lasciato il Gambia all’età di 18 anni (nel 2012) perchè il Governo aveva espropriato il terreno da cui la sua famiglia (la madre e il fratello sordomuto) traeva la fonte di reddito per il proprio mantenimento. Si era opposto all’esproprio e a causa di ciò aveva subito una carcerazione di due mesi. Dopo aver cercato di lavorare in Mali, Niger e Burkina Faaso si era recato in Libia dove aveva subito forme di schiavizzazione e carcerazione con trattamenti disumani.

2. La Corte di appello di Brescia, con sentenza 18.410.8.2017, ha respinto il ricorso in appello rilevando in particolare il radicale cambiamento della situazione politica in Gambia dopo la sconfitta elettorale e la fuga del dittatore Yahya Jammeh.

3. Propone ricorso per cassazione S.L. con tre motivi.

4. I primi due (violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3; violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. a, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) riguardano la situazione in Gambia che la Corte di appello di Brescia ha valutato positivamente ma in prospettiva e non all’attualità.

5. I due motivi da esaminare congiuntamente sono inammissibili perchè consistono in una divergente valutazione delle informazioni acquisite dalla Corte di Appello di Brescia sulla situazione politica e sociale del Gambia dopo la svolta determinata dalla fine del regime del dittatore Yhaya Jammeh che ha visto l’affermazione di un regime democratico. I due motivi sono carenti quanto alla deduzione delle citate violazioni e/o false applicazioni di legge. E’ in ogni caso non condivisibile l’affermazione del ricorrente secondo cui la Corte di appello si sarebbe basata su una mera previsione quando ha affermato che il nuovo regime non si sarebbe reso protagonista di violazione dei diritti umani. Al momento della decisione (aprile 2017) il cambio di regime era ormai consolidato e si era affermato proprio sulla volontà di restaurare la democrazia in Gambia. Nè il ricorrente adduce fonti informative contrastanti con l’affermazione della Corte di appello sia con riferimento all’epoca della decisione impugnata che a quella della proposizione del ricorso per cassazione.

6. Il terzo motivo (violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, dell’art. 10 Cost., comma 3, e dell’art. 3 C.E.D.U., ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) concerne la mancata concessione della protezione umanitaria nonostante le gravi vicende subite in patria e in Libia dal richiedente asilo.

7. Si tratta anche in questo caso di una contestazione relativa al merito della decisione della Corte di appello che ha motivatamente escluso che il ricorrente sarebbe esposto, sulla base delle circostanze esposte con riferimento alla sua richiesta di protezione umanitaria, a una situazione di vulnerabilità qualora ritornasse nel suo paese di origine stante il quadro politico profondamente mutato. Quanto ai maltrattamenti subiti in Libia la Corte di appello ha rilevato la irrilevanza delle situazioni che non riguardano il paese di origine. La decisione è conforme alla giurisprudenza di legittimità secondo cui l’indagine del rischio persecutorio o del danno grave in caso di rimpatrio va effettuata con riferimento al Paese di origine o alla dimora abituale ove si tratti di un apolide. Il paese di transito potrà tuttavia rilevare (dir. UE n. 115 del 2008, art. 3) nel caso di accordi comunitari o bilaterali di riammissione, o altra intesa, che prevedano il ritorno del richiedente in tale paese (Cass. civ. sez. I ordinanza n. 31676 del 6.12.2018).

8. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile senza statuizioni sulle spese del giudizio di cassazione. Non sussistono i presupposti per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, in relazione alla successiva ammissione al patrocinio a spese dello Stato deliberato il 21 dicembre 2017 dal C.O.A. di Brescia.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della insussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 5 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 7 ottobre 2019

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472