Corte di Cassazione, sez. III Civile, Sentenza n.25025 del 08/10/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19955/2017 proposto da:

ENERGIA SRL, in persona del suo amministratore unico Dott. F.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA GIULIANA, 66, presso lo studio dell’avvocato PIETRO PATERNO’ RADDUSA, rappresentata e difesa dall’avvocato BENIAMINO RICCA;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO ***** SRL;

– intimato –

nonchè da:

FALLIMENTO ***** SRL, in persona del suo Curatore Dr.

A.M., domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato ELENA BRAMBILLA;

– ricorrente incidentale –

contro

ENERGIA SRL, in persona del suo. amministratore unico Dott. F.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA GIULIANA, 66, presso lo studio dell’avvocato PIETRO PATERNO’ RADDUSA, rappresentata e difesa dall’avvocato BENIAMINO RICCA;

– controricorrente all’incidentale –

avverso la sentenza n. 1212/2017 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 31/05/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/03/2019 dal Consigliere Dott. LINA RUBINO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SOLDI Anna Maria, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso incidentale e in relazione al principale previa declaratoria di improponibilità della riconvenzionale; rigetto principale in subordine accoglimento principale per il motivo 4b;

udito l’Avvocato PIETRO PATERNO’ RADDUSA per delega.

I FATTI DI CAUSA 1.- Questi i fatti, per quanto ancora qui rilevino:

– la ***** s.r.l. e la Energia s.r.l. (d’ora innanzi, Energia) sottoscrissero nel 2005 un contratto di affitto di azienda per la produzione di energia idroelettrica con scadenza al 2032. Nel contratto si escludeva espressamente, in base a quanto ricostruito dalla sentenza impugnata, che fosse inclusa anche la locazione degli immobili di proprietà della ***** in cui veniva esercitata l’attività imprenditoriale di produzione di energia;

– nel 2009 fallì (a *****) la locatrice società ***** s.r.l. (d’ora innanzi, il Fallimento), – ed il curatore continuò fino al 2014 ad incassare i canoni dell’affitto di azienda, quindi, dal luglio 2014, data in cui venne venduto l’immobile, il curatore continuò ad incassare le somme, che l’affittuario continuava a versare, qualificandole non più come canoni di locazione ma come indennità di occupazione senza titolo dell’immobile nel frattempo aggiudicato a un terzo, previa notifica dell’ordine di rilascio;

– nel febbraio 2015 il Fallimento notificò ad Energia l’atto di precetto per rilascio di immobile, sulla base di un provvedimento di liberazione dell’immobile, ex art. 560 c.p.c., emesso dal giudice delegato del Tribunale di Milano e notificato ad Energia nel luglio 2014, quindi le notificò l’avviso di sloggio;

– nel 2015, dopo aver ricevuto l’avviso di sloggio notificato dal Fallimento, Energia propose opposizione all’esecuzione per rilascio dell’immobile davanti al Tribunale di Verbania, chiedendo preliminarmente la sospensione dell’efficacia del provvedimento al giudice dell’esecuzione, sostenendo di essere titolare di un titolo opponibile – il contratto di affitto di azienda sottoscritto nel 2005 – che abilitava la società a rimanere nella detenzione dell’azienda fino al 2032, e sostenendo che l’immobile, costruito in parte su suolo demaniale, avesse un vincolo di destinazione all’esercizio dell’attività di produzione di energia elettrica, che era stata affidata ad Energia. Il Fallimento si costituì e spiegò domanda riconvenzionale, volta ad accertare e dichiarare la nullità del contratto di affitto di azienda per impossibilità dell’oggetto, e a condannare Energia alla restituzione, e in subordine chiese accertarsi e dichiararsi la risoluzione del contratto di affitto di azienda. Energia eccepì in via preliminare l’esistenza di una clausola arbitrale nel contratto di affitto di azienda, e chiese dichiararsi l’improcedibilità delle domande riconvenzionali per difetto della mediazione obbligatoria;

– nel 2016 il Tribunale di Milano, in persona del giudice delegato, trasferì formalmente la proprietà dell’immobile all’aggiudicataria, tranne le porzioni di proprietà demaniale circostanti i fabbricati, che vennero concesse in uso a titolo precario all’acquirente;

– con sentenza n. 379 del 2016, il Tribunale di Verbania rigettò l’opposizione all’esecuzione per rilascio proposta da Energia, dichiarando che l’ordinanza ex art. 560 c.p.c., emessa dal G.D. fosse valida ed efficace e, in accoglimento delle riconvenzionali del fallimento, dichiarò la nullità del contratto di affitto di azienda per impossibilità dell’oggetto, perchè i beni costituiti in azienda, senza poter disporre del godimento dell’immobile, sarebbero stati inutilizzabili per le finalità aziendali, condannando la Energia s.r.l. alla restituzione dell’azienda. Affermava inoltre l’inoperatività ex lege nei confronti del Fallimento della clausola compromissoria. Infine, escludeva la vis attractiva del tribunale fallimentare, affermando che esistesse soltanto una connessione occasionale tra la causa di risoluzione del contratto di affitto di azienda e il fallimento;

la Corte d’Appello di Torino, con la sentenza n. 121 del 31 maggio 2017 qui impugnata, rigettò l’impugnazione della Energia s.r.l., affermando che Energia aveva sempre occupato l’immobile senza averne titolo, in quanto non era incluso nel contratto di affitto di azienda il fabbricato in cui esisteva la centrale elettrica (il fabbricato non era ad esclusivo uso aziendale, in quanto nello stesso esistevano anche un appartamento e un box), per cui riteneva che l’esistenza del contratto di affitto di azienda non fosse titolo idoneo per opporsi al rilascio dell’immobile, occupato sine titulo, “la cui proprietà quanto meno superficiaria, non è mai stata in discussione tra le parti”. Affermava che la clausola arbitrale, quand’anche opponibile alla curatela, non fosse comunque invocabile, perchè la controversia non riguardava la validità e l’efficacia del contratto di affitto di azienda, ma la sua idoneità ad essere opposto in sede di rilascio dell’immobile.

Avverso la sentenza n. 1212/2017 della Corte d’Appello di Torino, notificata a mezzo pec il 19.6.2017, propone ricorso per Cassazione, con sei motivi, la Energia s.r.l..

Resiste il Fallimento ***** s.r.l. con controricorso contente anche un motivo di ricorso incidentale.

Avverso il ricorso incidentale del Fallimento ha depositato controricorso la Energia s.r.l..

Nessuna delle due parti ha presentato memoria.

LE RAGIONI DELLA DECISIONE Si richiamano sinteticamente, per completezza, i motivi del ricorso principale e dell’incidentale, che non verranno esaminati nel merito in quanto esiste questione preliminare idonea a definire il giudizio.

I motivi del ricorso principale.

Con il primo motivo, si deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere la Corte d’appello fatto erronea applicazione del principio di non contestazione in merito alla sussistenza in capo al fallimento della “proprietà superficiaria” dell’edificio oggetto di esecuzione.

La ricorrente lamento che l’errore in cui sarebbe incorsa la Corte d’appello, la quale ha ritenuto non contestata la proprietà superficiaria dell’edificio che sorge in parte su suolo demaniale, risieda nel non aver considerato gli effetti delle argomentazioni di Energia S.r.l. dedotte sin dal primo grado e aventi a oggetto la contestazione in capo a ***** S.r.l. della proprietà del suolo su cui in parte sorge l’edificio al cui piano terra e seminterrato, in corrispondenza della porzione di immobile insistente su suolo demaniale oggetto di concessione di occupazione scaduta, insistendovi l’azienda di produzione di energia elettrica.

Deduce che l’eccezione di Energia abbia non solo onerato il Fallimento della prova volta a dimostrare di avere titolo a mantenere su suolo pubblico l’edificio di cui trattosi, ma altresì avrebbe dovuto indurre la Corte d’appello ad approfondire e delibare il tema della legittimazione attiva del Fallimento.

La ricorrente lamenta pertanto che la violazione dell’art. 115 c.p.c., sia palese perchè ad Energia, ai fini dell’applicabilità dell’art. 934 c.c., bastava eccepire la demanialità del suolo su cui edificio e azienda sorgono, onerando la controparte della prova per vincere l’operatività del disposto di legge di cui alla richiamata norma.

Con il secondo motivo, si deduce l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, in merito alla proprietà dell’immobile insistente su terreno demaniale.

La ricorrente lamenta che Energia avesse evidenziato, sin dal primo grado, la problematica relativa alle porzioni di immobile o fabbricato di proprietà demaniale, ribadendo la circostanza anche nell’atto d’appello quale specifico motivo gravame.

Deduce che da una perizia commissionata dal Fallimento ***** S.r.l. – prodotta da Energia sin dal primo grado di giudizio- si ricavasse che la citata concessione per l’occupazione del suolo demaniale, già nel 1988, fosse ormai scaduta e non rinnovata, circostanza, questa, mai sconfessata dal Fallimento ***** S.r.l.; e lamenta che anche la Corte d’appello abbia omesso l’esame di tale decisiva circostanza, oggetto di discussione tra le parti.

Con il terzo motivo, si deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., art. 81 c.p.c. e artt. 934,953 c.c. e art. 49 c.n., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere la Corte d’appello ritenuto esistente una “proprietà superficiaria dell’immobile” separata dal suolo demaniale con conseguente legittimazione attiva del Fallimento ***** S.r.l. all’azione di rilascio.

La ricorrente lamenta che la Corte d’appello abbia violato l’art. 934 c.c., art. 953 c.c., art. 2697 c.c. e che la Corte avrebbe dovuto invece rilevare, anche d’ufficio, la carenza di legittimazione attiva del Fallimento ***** S.r.l. rispetto all’azione proposta per rilascio dell’ immobile o fabbricato insistente su suolo demaniale e anch’esso di proprietà demaniale, giacchè ai sensi dell’art. 81 c.p.c.. “Fuori dai casi espressamente previsti dalla legge, nessuno può far valere nel processo in nome proprio un diritto altrui”.

Con il quarto motivo, si deduce la violazione e/o falsa applicazione della L. Fall., art. 83-bis, in relazione all’applicabilità nel caso di specie della clausola compromissoria contenuta nel contratto di affitto di azienda inter partes.

La ricorrente afferma che dalla lettura della L. Fall., artt. 83-bis e 79, si ricavi che l’opponibilità al Fallimento della clausola arbitrale dipenda dall’efficacia del contratto nella quale è inserita: che nel caso di specie il contratto di affitto d’azienda non sia stato sciolto dalle parti, bensì sia proseguito regolarmente per altri cinque anni dopo il fallimento; che conseguentemente, come già evidenziato nell’atto di appello da Energia, la clausola compromissoria contenuta nel citato contratto sia pienamente valida ed efficace con conseguente fondatezza dell’eccezione di compromesso arbitrale formulata in primo grado dall’appellante.

Con il quinto motivo, si deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1362 c.c. e segg., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, sull’interpretazione della clausola compromissoria contenuta nel contratto di affitto di azienda inter partes.

La ricorrente lamenta che la Corte d’appello abbia erroneamente interpretato la clausola compromissoria, posto che la stessa non farebbe riferimento soltanto all’interpretazione o esecuzione del contratto d’affitto, bensì anche alla validità e giuridica esistenza del contratto, con la conseguenza che la dichiarazione di nullità del contratto – oggetto di domanda riconvenzionale da parte del Fallimento ***** S.r.l. – debba ritenersi ricompresa nella portata della citata clausola; e che, conseguentemente, la competenza a decidere della citata domanda riconvenzionale del Fallimento non spetti all’Autorità Giudiziaria Ordinaria.

Con il sesto motivo, si deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1418,1325,1367 e 1346 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, con riferimento alla ritenuta nullità del contratto di affitto di azienda per impossibilità dell’oggetto.

La ricorrente lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1367 c.c. (6.A dei motivi di ricorso), affermando che le parti non avrebbero avuto nessun interesse a stipulare un contratto, come quello oggetto di giudizio, se l’immobile funzionalmente collegato all’esercizio dell’azienda fosse stato da escludersi dall’oggetto dell’affitto; e che, se anche si volesse ritenere che l’immobile di proprietà della ***** S.r.l., a cui si fa cenno nel contratto d’affitto, fosse l’edificio costruito su suolo demaniale, ciò non significhi che del citato immobile la ***** S.r.l. non intese concedere in godimento a Energia S.r.l., ma soltanto che l’immobile stesso non fu fatto oggetto specifico del contratto di affitto d’azienda (essendo stato considerato dalle parti bene funzionalmente destinato all’esercizio dell’impresa di produzione di energia elettrica oggetto di contratto); nè potrebbe far scattare il combinato disposto degli artt. 1418 e 1346 c.c. (6.B dei motivi di ricorso), giacchè il fatto che l’edificio entro il quale Energia in parte è ubicata sia stato o meno ricompreso nel contratto di affitto d’azienda non inciderebbe sulla sua validità perchè la prestazione oggetto del contratto, che è la produzione di energia elettrica, sarebbe possibile in tanto in quanto Energia è il solo soggetto nelle condizioni di poter ottenere, come subentrante ex novo, la concessione di utilizzo dell’immobile edificato su suolo demaniale e funzionalmente destinato a centrale di produzione di energia idroelettrica.

Il ricorso incidentale.

Con l’unico motivo del ricorso incidentale del Fallimento ***** S.r.l., si deduce la violazione dell’art. 345 c.p.c. e del divieto di nuove domande e nuove eccezioni in appello, nonchè l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

Il ricorrente incidentale censura l’impugnata sentenza nella parte in cui, nel respingere la censura di Energia S.r.l. secondo cui il Giudice di primo grado non aveva considerato la proprietà demaniale del mappale su cui insiste l’immobile oggetto di rilascio, ha affermato che non vi fosse alcuna domanda nuova di accertamento della proprietà demaniale, per cui la relativa eccezione della difesa del Fallimento dovesse essere disattesa.

Il ricorrente incidentale lamenta che, così statuendo, la Corte d’appello da un lato abbia omesso di esaminare un fatto decisivo per il giudizio, ampiamente dibattuto tra le parti nel grado (ossia la modifica della causa petendi della domanda della Società ricorrente: in primo grado, infatti, all’occupazione degli immobili oggetto di esecuzione per rilascio Energia avrebbe opposto il contratto di affitto d’azienda; in appello e nel presente grado opporrebbe invece la proprietà demaniale dell’immobile), dall’altro abbia violato l’art. 345 c.p.c., nel non dichiarare inammissibile la domanda nuova svolta nelle conclusioni da Energia, oltre che le eccezioni nuove sollevate nell’atto di citazione e nella memoria autorizzata.

Riepilogati, per darne adeguatamente conto, le vicende processuali e i motivi di ricorso di ambo le parti, l’opposizione all’esecuzione per rilascio, proposta dalla odierna ricorrente Energia (senza neppure evocare in giudizio, tra l’altro, l’aggiudicataria degli immobili, di certo interessata alle vicende concernenti il rilascio degli immobili che aveva appena acquistato), non avrebbe potuto essere proposta,’ e di conseguenza sono inammissibili anche le domande riconvenzionali in quella sede proposte.

Dalla inammissibilità dell’opposizione all’esecuzione discende la necessità di cassare senza rinvio la sentenza impugnata, che di questa inammissibilità non si è fatta carico, nè se ne sono avvedute le parti, perchè quel giudizio non avrebbe dovuto, una volta introdotto, proseguire fino alla decisione di merito, ma avrebbe dovuto arrestarsi, in limine, ad una pronuncia di inammissibilità.

Recuperando i soli fatti salienti di tutta questa complessa vicenda, il giudice delegato del Fallimento ***** s.r.l., appartenente tra l’altro al Tribunale di Milano, quindi a diverso ufficio giudiziario rispetto a quello cui si sono rivolte le parti, avendo emesso ordinanza di vendita del compendio immobiliare assoggettato alla procedura concorsuale, aveva intimato ad Energia, che ne aveva la disponibilità materiale, il rilascio dei manufatti ove esercitava l’attività di produzione di energia in virtù di un contratto di affitto di azienda, con provvedimento del 2014, ex art. 560 c.p.c., notificato all’odierna ricorrente in data 21.7.2014 (come risulta dallo stesso ricorso principale), sul presupposto che l’occupante Energia non vantasse un titolo di detenzione degli immobili opponibile al Fallimento.

Va premesso che al giudice delegato è riconosciuta la possibilità di emettere un provvedimento immediato di liberazione dell’immobile assoggettato a procedura-concorsuale, modellato sull’art. 560 c.p.c. (fin da Cass. n. 2576 del 1970), senza dover preliminarmente passare dall’accertamento in sede contenziosa dell’esistenza o meno di un valido titolo in capo all’occupante, che sia opponibile alla massa. Il provvedimento, promanante dall’organo della procedura concorsuale, rimane un decreto del giudice delegato sebbene il suo contenuto sia strutturato sul modello di un tipico strumento del giudice dell’esecuzione, e come tale deve essere impugnato in sede fallimentare e con gli strumenti in quella sede previsti, in particolare con il reclamo (Cass. n. 21224 del 2011); non diviene, per il solo fatto di essere modellato su uno strumento proprio del giudice dell’esecuzione, un provvedimento del g.e., impugnabile con opposizione all’esecuzione dinanzi all’ufficio giudiziario individuato anche territorialmente secondo i diversi criteri applicabili e nei termini indicati dall’art. 560 c.p.c..

Nè tanto meno questo provvedimento ha autonoma valenza decisoria e definitiva, e quindi non è autonomamente impugnabile direttamente con ricorso per cassazione ex art. 111 Cost., comma 7, come già affermato da questa Corte a proposito dell’ordine di liberazione emesso dal g.e. ex art. 560 c.p.c. (Cass. n. 5523 del 2012; Cass. n. 12563 del 2010) nel testa vigente pro tempore.

A sua volta, il decreto del tribunale fallimentare che si fosse pronunciato in sede di reclamo sulla legittimità dell’ordine di liberazione emesso dal g.d., in quanto provvedimento avente immediata e diretta ricaduta sul contrasto dell’ordine ivi espresso tra le ragioni dell’occupante e le opposte ragioni della procedura e dell’aggiudicatario, avrebbe assunto carattere decisorio e come tale sarebbe stato ricorribile per cassazione (Cass. n. 21224 del 2011; Cass. n. 9930 del 2005).

Come precisato da Cass. n. 21224 del 2011, laddove il detentore legittimi il godimento del bene sulla base di un titolo valido ed altresì munito di data certa anteriore all’inizio della procedura, il giudice è chiamato a dirimere il conflitto che sorge tra le contrastanti posizioni di diritto soggettivo nel procedimento che il detentore è tenuto ad introdurre attraverso il rimedio dell’opposizione all’esecuzione, qualora l’esecuzione forzata abbia avuto luogo in sede ordinaria (rimanendo azionabile e non escluso dalla proclamazione di inimpugnabilità del provvedimento ex art. 560 c.p.c., il diverso rimedio della opposizione agli atti esecutivi ai sensi dell’art. 617 c.p.c. e non il ricorso straordinario ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7, in caso di vizi formali del provvedimento: v. Cass. n. 25654 del 2010).

Se invece all’espropriazione si dia corso – come nella specie – in sede fallimentare, lo strumento di difesa avverso l’ordine di liberazione emesso dall’organo della procedura concorsuale è quello proprio della procedura stessa, ovvero lo strumento del reclamo previsto dalla L. Fall., art. 26. La concorsualità e le sue tipiche esigenze connesse di concentrazione e speditezza, interne alla sistematica fallimentare, sintetizzano infatti coerentemente nel solo strumento endofallimentare ogni altro rimedio offerto dal codice di rito alle parti interessate, in caso la procedura concorsuale sia in corso, attribuendovi carattere di generalità e di esclusività.

Ne consegue che, essendo stato emesso nel caso di specie, dal g.d., ordine di liberazione dell’immobile notificato all’occupante, tale decreto avrebbe dovuto essere impugnato dinanzi al tribunale fallimentare, attivando – tempestivamente, nel termine di dieci giorni decorrente dalla notifica del provvedimento di liberazione dell’immobile, L. Fall., ex art. 26, comma 2 – il rimedio proprio in sede fallimentare, ovvero il reclamo avverso il provvedimento del giudice delegato, e tutte le questioni relative alla legittimità o meno di quel provvedimento che disponeva il rilascio, alla sua estensione (se comprensivo del fabbricato ove veniva esercitata l’attività di produzione di energia elettrica, degli altri fabbricati, del terreno adiacente) nonchè alla opponibilità al fallimento di un titolo giustificativo della occupazione avrebbero dovuto esser proposte in quella sede.

Non essendo stata proposta impugnazione nella sede competente, quel provvedimento è divenuto definitivo e non sono ulteriormente deducibili le questioni relative alla legittimità e all’estensione di esso.

L’opposizione all’esecuzione proposta solo nel 2016, a due anni di distanza, dinanzi al Tribunale di Verbania individuato come giudice competente sul procedimento di rilascio, avrebbe dovuto quindi essere dichiarata inammissibile, e con essa le domande riconvenzionali, perchè contenenti motivi che avrebbero dovuto essere dedotti prima della definitività del provvedimento di rilascio, e non più deducibili, e dinanzi al diverso giudice competente.

Pertanto, poichè l’opposizione e le domande riconvenzionali non avrebbero potuto essere proposte, la sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 382 c.p.c., u.c., deve essere cassata senza rinvio.

Attesa la complessità della situazione e la reciproca soccombenza, le spese dell’intero giudizio tra le parti sono compensate.

Il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, e sia il ricorrente che il ricorrente incidentale risultano soccombenti, pertanto sono gravati dall’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e incidentale, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis e comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte, pronunciando su entrambi i ricorsi, dichiara inammissibili l’originaria opposizione e le domande riconvenzionali; cassa senza rinvio la sentenza impugnata. Compensa le spese dell’intero giudizio tra le parti.

Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente e del ricorrente incidentale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di Cassazione, il 5 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 ottobre 2019

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