Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.25097 del 08/10/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – rel. Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. CHIESI Gian Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 7639/2012 R.G. proposto da:

Carrara S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via Ricasoli n. 7, presso lo studio dell’avv. Antonio Prejanò, che la rappresenta e difende, giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, sez. staccata di Brescia, n. 176/64/11, depositata il 28 settembre 2011.

Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 13 giugno 2019 dal Pres. Biagio Virgilio.

RILEVATO

che:

con l’impugnata sentenza la C.T.R. della Lombardia ha confermato la prima decisione che aveva respinto i ricorsi riuniti proposti dalla Carrara s.p.a. avverso un avviso di accertamento col quale era stata recuperata IVA per il 2006 in relazione a cessioni comunitarie accompagnate da Modelli Intrastat che indicavano inesistenti codici identificativi di quattro acquirenti esteri e contro la conseguente cartella di pagamento;

per quanto ancora interessa in questa sede, il giudice d’appello ha ritenuto che la presentazione dei Modelli Intrastat “con dati inesatti”, consistenti in codici identificativi inesistenti, ha comportato “una violazione di carattere sostanziale” del D.L. n. 331 del 1993, artt. 41 e 50, dalla quale discende l’assoggettabilità a IVA delle operazioni in questione;

la contribuente propone ricorso articolato in due motivi e illustrato con memoria;

l’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo è denunciata la violazione o falsa applicazione del D.L. 30 agosto 1993, n. 331, artt. 41 e 50, convertito dalla L. 29 ottobre 1993, n. 427, per aver il giudice a quo in sostanza ritenuto che dall’errata indicazione dei codici identificativi conseguisse necessariamente l’assoggettamento a IVA delle operazioni come cessioni interne al territorio dello Stato;

il motivo è fondato, dovendosi ribadire il principio in virtù del quale, in tema di cessioni intracomunitarie, l’omessa o errata comunicazione da parte del soggetto passivo del codice identificativo del tributo costituisce una violazione meramente formale che non incide sul regime di esenzione previsto per gli scambi tra operatori comunitari, quando la ricorrenza, in capo al destinatario, della qualità di soggetto d’imposta nello Stato d’appartenenza, secondo il principio di tassazione del luogo di destinazione dei beni, non sia contestata e non sussistano seri indizi che lascino supporre l’esistenza di una frode (da ult., Cass. n. 25651 del 2018);

il secondo motivo, con il quale la contribuente addebita alla C.T.R. la violazione dell’art. 112 c.p.c. per aver omesso di pronunciare sulla eccezione di illegittimità dell’irrogazione della sanzione effettuata con la cartella di pagamento, resta assorbito;

il ricorso va quindi accolto e la sentenza cassata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, anche per il regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 13 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 ottobre 2019

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