Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.25911 del 14/10/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21246-2018 proposto da:

CEMENTI DELLA LUCANIA FRATELLI M. FU MI. SPA IN CONCORDATO PREVENTIVO, in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA PAGANICA 13, presso lo studio dell’avvocato CARMINE GENOVESE, rappresentato e difeso dall’avvocato DONATELLO GENOVESE;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE *****, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 19/1/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della BASILICATA, depositata il 12/01/2018;/

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 28/05/2019 dal Consigliere Relatore Dott. GORI PIERPAOLO.

RILEVATO

che:

– Con sentenza n. 19/1/18 depositata in data 19 gennaio 2018 la Commissione tributaria regionale della Basilicata accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza n. 15373/39/16 della Commissione tributaria provinciale di Roma con cui era stato accolto il ricorso proposto da Cementi della Lucania Fratelli M. fu Mi. Spa avverso avvisi di accertamento per IVA 2007-10; la ripresa ad imposizione conseguiva all’indebita applicazione del regime di esenzione su operazioni di fornitura di cemento per l’esportazione in San Marino;

– Avverso tale decisione, ha proposto ricorso per cassazione la contribuente deducendo due motivi. L’Agenzia delle entrate ha depositato controricorso.

CONSIDERATO

che:

– Con il primo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – la contribuente deduce la violazione e falsa applicazione di plurime disposizioni di legge e del principio di buona fede in materia doganale, principio del tutto trascurato dalla CTR nella sentenza impugnata, oltre che il vizio motivazionale in cui sarebbe incorsa;

– Il motivo è inammissibile. Va al proposito ribadito che: “Con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sè coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione” (Cass. 7 aprile 2017 n. 9097);

“In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura è possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione.” (Cass. 30 dicembre 2015 n. 26110);

– La doglianza si pone in contrasto con i restanti principio di diritto espressi in tali arresti giurisprudenziali. In primo luogo, la CTR ha accertato in fatto non solo la presenza di irregolarità formali ai fini del godimento del regime di esenzione (apposizione del timbro prescritto, annotazione nell’apposito registro), ma “l’assenza di una effettiva uscita dei prodotti compravenduti dal territorio nazionale”, e ciò determina la mancanza dei presupposti per godere del regime di esenzione invocato dalla contribuente. A fronte di tale accertamento di merito sulla base delle risultanze del compendio istruttorio, in secondo luogo, apoditticamente la contribuente afferma esistenti i presupposti senza dare evidenza di documenti ritualmente versati in atti, riproducendoli se ritenuti decisivi, e di cui la CTR non avrebbe tenuto conto. Nella sostanza, la contribuente in questa sede critica la decisione del giudice tributario di appello contestandone le valutazioni probatorie e quindi richiedendo a questa Corte una “revisione” del relativo giudizio meritale riservato alla CTR;

– Con il secondo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – la contribuente deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1973, art. 57, nel testo vigente ratione temporis, per aver CTR mancato di dichiarare la decadenza dal potere accertativo relativamente al 2007;

– In via preliminare, l’Agenzia ha eccepito l’inammissibilità del motivo per esistenza di giudicato interno sulla questione;

– Il motivo è inammissibile. Va ribadito che: “In tema di ricorso per cassazione, il principio di autosufficienza – prescritto, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3 – è volto ad agevolare la comprensione dell’oggetto della pretesa e del tenore della sentenza impugnata, da evincersi unitamente ai motivi dell’impugnazione: ne deriva che il ricorrente ha l’onere di operare una chiara funzionale alla piena valutazione di detti motivi in base alla sola lettura del ricorso, al fine di consentire alla Corte di cassazione (che non è tenuta a ricercare gli atti o a stabilire essa stessa se ed in quali parti rilevino) di verificare se quanto lo stesso afferma trovi effettivo riscontro, anche sulla base degli atti o documenti prodotti sui quali il ricorso si fonda, la cui testuale riproduzione, in tutto o in parte, è invece richiesta quando la sentenza è censurata per non averne tenuto conto.” (Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 24340 del 04/10/2018, Rv. 651398 – 01);

– Nel caso di specie la sentenza impugnata non dà alcun conto della proposizione della questione avanti alla CTR e, se la questione fosse stata tempestivamente introdotta nel giudizio di primo grado e non oggetto di decisione espressa da parte della CTP, sarebbe stato onere della contribuente vincitrice riproporre in sede di controdeduzioni in appello la questione rimasta assorbita in primo grado. In conclusione, il ricorso in relazione al motivo difetta di autosufficienza, non avendo fornito la contribuente i necessari elementi a completamento della doglianza affinchè possa essere decisa dalla Corte;

– In conclusione, va dichiarata l’inammissibilità del ricorso e il regolamento delle spese di lite segue la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso per inammissibilità dei motivi, e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di lite, liquidate in Euro 5.600,00 per compensi, oltre Spese prenotate a debito.

La Corte dà atto che, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013), per effetto del presente provvedimento sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore contributo unificato di cui al testo unico spese di giustizia D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 28 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 14 ottobre 2019

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