Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.26147 del 16/10/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA E. Luigi – Presidente –

Dott. NONNO G. Maria – Consigliere –

Dott. TRISCARI G. – rel. Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. MUCCI Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 1884 del ruolo generale dell’anno 2017 proposto da:

Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, è

domiciliata;

– ricorrente –

contro

Idroenergia S.c.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, per procura speciale a margine del controricorso, dagli Avv.ti Paolo Puri e Alberto Mula, elettivamente domiciliata in Roma, via XXIV Maggio, n. 43, presso lo Studio legale tributario Puri Bracco Lenzi e associati;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Toscana, n. 23/36/2016, depositata in data 13 gennaio 2016;

udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 18 aprile 2019 dal Consigliere Dott. Triscari Giancarlo;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore generale Dott.ssa De Renzis Luisa, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso;

udito per l’Agenzia delle dogane l’Avv. dello Stato Francesca Subrani e per la società l’Avv. Alberto Mula.

FATTI DI CAUSA

Dalla esposizione in fatto della sentenza impugnata si evince che: Idroenergia S.c.r.l. aveva presentato, per l’anno 2003, la dichiarazione dei consumi di energia elettrica e, successivamente, rilevata l’erroneità dei dati forniti (per carenza dei requisiti di non imponibilità), aveva, mediante ravvedimento operoso, rettificato i dati di riferimento e corrisposto la sanzione ridotta, ai sensi del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 13, relativa all’omesso versamento dell’imposta dovuta; l’Agenzia delle dogane aveva contestato la corretta determinazione della sanzione, ritenendo che la condotta della contribuente non doveva essere considerata come un omesso versamento del tributo, consistendo, piuttosto, in una errata dichiarazione riconducibile alla diversa previsione di cui al T.U. Accise D.Lgs. n. 504 del 1995, art. 59, comma 1, lett. c), sicchè aveva notificato alla società un atto di contestazione e irrogazione della maggiore sanzione non versata; avverso il suddetto atto impositivo Idroenergia S.c.r.l. aveva proposto ricorso che era stato accolto dalla Commissione tributaria provinciale di Biella; avverso la decisione del giudice di primo grado l’Agenzia delle dogane aveva proposto appello che era stato parzialmente accolto dalla Commissione tributaria regionale della Toscana, che aveva rideterminando in Euro 500,00 l’importo della sanzione dovuta.

In particolare, il giudice del gravame ha ritenuto che: la società contribuente aveva commesso solo un mero errore formale, cui aveva peraltro posto rimedio attivandosi mediante ravvedimento operoso; tali circostanze assumevano rilievo per la individuazione della previsione normativa da applicare ai fini della sanzione; in questo ambito, correttamente la parte aveva ritenuto di dovere fare riferimento alla previsione di cui al D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13, in quanto la sanzione di cui al T.U. Accise, art. 59, comma 1, lett. c), postulava l’accertamento di un comportamento del contribuente finalizzato all’evasione dell’imposta, certamente non riscontrabile nella fattispecie; in ogni caso, trovava applicazione la norma sopravvenuta di cui al D.L. 16 del 2012, art. 11, comma 6, che aveva introdotto, al D.L. n. 262 del 2006, art. 1, il comma 1-bis, prevedendo che le irregolarità relative alla presentazione della dichiarazione del consumo annuale dell’energia elettrica dovevano essere punite con la sanzione amministrativa di cui al D.L. n. 504 del 1995, art. 50, comma 1, cioè da un minimo di Euro 500,00 ad un massimo di Euro 3.000,00; nella fattispecie, peraltro, doveva essere applicato l’importo minimo della sanzione.

Avverso la suddetta pronuncia ha proposto ricorso l’Agenzia delle dogane affidato a due motivi di censura.

Idroenergia S.c.r.l. si è costituita depositando controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1995, art. 59, comma 1, per avere ritenuto che, al fine dell’applicazione della previsione normativa in esame, è necessario accertare che la violazione sia commessa dal contribuente con l’intenzione di realizzare l’evasione dell’imposta.

Con il secondo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione del D.L. n. 262 del 2006, art. 1, comma 1-bis (convertito dalla L. n. 24 novembre 2006, n. 286), introdotto dal D.L. 2 marzo 2012, n. 16 (convertito dalla L. 26 aprile 2012, n. 44), per avere comunque ritenuto applicabile la suddetta previsione normativa, quale ius superveniens, atteso, invece, il rapporto di specialità sussistente tra essa e la disciplina di cui al T.U. Accise, art. 59, comma 1.

I motivi, che possono essere esaminati unitamente, sono fondati. Preliminarmente va disattesa l’eccezione di inammissibilità, proposta dalla controricorrente, del primo motivo di ricorso, in considerazione del fatto che le argomentazioni a supporto della ritenuta violazione di legge non sarebbero specifiche, intellegibili ed esaurienti.

Invero, dall’analisi del contenuto del suddetto motivo di ricorso si evince che il profilo centrale dell’argomentazione prospettata e che condurrebbe alla ritenuta violazione di legge è la considerazione che la finalità evasiva non costituisce elemento costitutivo della fattispecie sanzionatoria, essendo sufficiente la coscienza e volontà della condotta e il comportamento quantomeno colposo dell’autore, non essendo richiesto, invece, tra gli elementi costitutivi, anche il dolo specifico.

Ciò posto, è certo, in quanto riportato nella sentenza e rappresentato da entrambe le parti nei loro atti difensivi, che Idroenergia S.c.r.l. ha presentato per l’anno 2003 una dichiarazione dei consumi di energia elettrica contenente dati erronei, in quanto non aveva in essa riportato il debito di imposta relativo all’energia elettrica prodotta in assenza delle condizioni per potere godere dell’esenzione.

Si è posta quindi la questione della individuazione della previsione normativa sanzionatoria applicabile alla violazione tributaria realizzata dalla società contribuente.

In questo contesto, il giudice del gravame ha ritenuto di dovere applicare il D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 13, che sanziona la condotta di chi non esegue, in tutto o in parte, alle prescritte scadenze, i versamenti in acconto, i versamenti periodici, il versamento di conguaglio o a saldo dell’imposta risultante dalla dichiarazione, detratto in questi casi l’ammontare dei versamenti periodici e in acconto, anche se non effettuati, anche quando, in seguito a correzione di errori materiali o di calcolo rilevati in sede di controllo della dichiarazione, risulti una maggiore imposta o una minore eccedenza.

La norma in esame, quindi, presuppone che il soggetto obbligato abbia presentato la dichiarazione, abbia correttamente denunciato le imposte da versare e, purtuttavia, abbia omesso di versare le relative somme, sicchè il presupposto sanzionatorio è la fedeltà della dichiarazione seguita dall’omesso o tardivo versamento dell’imposta.

Se questi sono i presupposti della suddetta previsione normativa, la fattispecie in esame non è riconducibile nel suo ambito di applicazione, in quanto, secondo quanto sopra precisato, Idroenergia S.c.r.l. non aveva riportato nella dichiarazione di cui al T.U. Accise, art. 53, comma 8, il debito di imposta relativo all’energia elettrica prodotta in assenza delle condizioni per potere godere dell’esenzione.

Alla fattispecie in esame, invero, va applicata la previsione di cui al D.Lgs. n. 504 del 1995, art. 59, comma 1, lett. c), che sanziona, fra l’altro, la condotta del soggetto obbligato, ai sensi del precedente art. 53, che omette o redige in modo incompleto o inesatto le dichiarazioni di cui al T.U. Accise, art. 53, comma 8 e art. 55, comma 2, e, segnatamente, la dichiarazione di consumo annuale, contenente, fra l’altro, tutti gli elementi necessari per l’accertamento del debito di imposta relativo a ogni mese solare, nonchè l’energia elettrica prodotta, prelevata o immessa nella rete di trasmissione o distribuzione (T.U. Accise, art. 53, comma 8).

Questa previsione normativa, invero, ha la specifica finalità di sanzionare la condotta del soggetto obbligato che, tenuto alla presentazione della dichiarazione annuale di consumo, non consente, per omissione, incompletezza o inesattezza, di accertare la misura del consumo ed è questo profilo a costituire l’elemento specifico che connota la fattispecie tipizzata della condotta illecita censurata.

In questo quadro, viene in esame la questione interpretativa della previsione contenuta nel D.Lgs. n. 504 del 1995, art. 59, comma 1, laddove prevede che, indipendentemente dall’applicazione delle pene previste per i fatti costituenti reato, la misura della sanzione amministrativa è commisurata dal doppio al decuplo dell’imposta evasa o che si è tentato di evadere, in ogni caso non inferiore a Euro 258.

Il giudice del gravame ha ritenuto che il riferimento contenuto nella previsione normativa all’imposta evasa o che si è tentato di evadere abbia una valenza costitutiva della fattispecie sanzionatoria in esame, evidenziando che dalla ratio della medesima dovrebbe farsi discendere che la stessa possa trovare applicazione solo qualora il soggetto obbligato realizzi la condotta con il fine di evadere l’imposta, sicchè nella fattispecie, anche tenuto conto del successivo ravvedimento operoso compiuto dalla contribuente, la sanzione in esame non potrebbe essere applicata. Questa linea interpretativa non è corretta.

L’esatta individuazione della condotta sanzionata con la previsione normativa in esame è operabile unicamente tenuto conto di quanto contenuto nell’art. 59, comma 1, lett. c), secondo cui ad essere sanzionato è il comportamento omissivo, ovvero la redazione incompleta o inesatta delle dichiarazioni annuali di consumo.

Il riferimento, invero, compiuto nel comma 1, alinea, attiene unicamente alla diversa disciplina della commisurazione dell’importo da corrispondere, che è determinato in relazione all’imposta evasa o che si è tentato di evadere, sicchè tali profili non vengono in considerazione per la individuazione della condotta illecita, ma ai soli fini del calcolo della sanzione.

Tali considerazioni derivano non solo dall’esame del contenuto lettera della norma, ma anche dalla stessa finalità della previsione normativa in esame, che è quella di sanzionare quelle condotte che, di per sè, sono idonee a determinare o a costituire i presupposti per l’evasione dell’imposta, proprio in base al fatto che qualunque comportamento omissivo o che non renda chiaro il consumo operato nel corso dell’anno si riflette, inevitabilmente, in un mancato pagamento dell’imposta.

Peraltro, facendo riferimento alla vicenda in esame, la condotta della contribuente non è configurabile in termini di mero errore formale, in quanto la stessa non aveva provveduto al pagamento dell’imposta in base alla ritenuta sussistenza dei presupposti per potersi avvalere del particolare regime di agevolazione, sicchè si è tradotta proprio in quella evasione di imposta tenuta in considerazione dal legislatore al fine della commisurazione dell’importo dovuto nell’applicazione della correlata sanzione.

Nè è corretto fare riferimento all’attivazione della società in sede di ravvedimento operoso, profilo valorizzato dal giudice del gravame per escludere l’intento evasivo della contribuente, sia perchè lo stesso è irrilevante ai fini della valutazione dell’illiceità della condotta realizzata dalla contribuente, da valutarsi con riferimento al momento in cui la stessa non ha osservato gli obblighi cui era tenuta, sia in quanto l’unico effetto del suddetto comportamento successivo alla realizzazione della condotta illecita è la riduzione delle sanzioni per determinati inadempimenti o irregolarità fiscali e non può comportare ulteriori benefici non previsti dal D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 13.

Infine, va esaminata la valenza, nella controversia in esame, della previsione di cui al D.L. n. 262 del 2006, art. 1, comma 1 bis, (convertito dalla L. n. 24 novembre 2006, n. 286), introdotto dal D.L. 2 marzo 2012, n. 16 (convertito dalla L. 26 aprile 2012, n. 44).

In particolare, il D.L. n. 16 del 2012, art. 11, ha introdotto al D.L. n. 262 del 2006, art. 1, comma 1-bis, che prevede che “Indipendentemente dall’applicazione delle pene previste per le violazioni che costituiscono reato, la omessa, incompleta o tardiva presentazione dei dati, dei documenti e delle dichiarazioni di cui al comma 1, ovvero la dichiarazione di valori difformi da quelli accertati, è punita con la sanzione amministrativa di cui al D.Lgs. 26 ottobre 1995, n. 504, art. 50, comma 1”.

La previsione normativa in esame è stata inserita nell’ambito della disciplina contemplata dal suddetto D.L. n. 262 del 2006, in particolare la stessa prevede la sanzione di cui al D.Lgs. n. 504 del 1995, art. 50, comma 1, anche all’ipotesi di presentazione esclusivamente in forma telematica, fra l’altro, delle dichiarazioni di consumo per il gas metano e l’energia elettrica di cui al T.U. Accise, artt. 26 e 55.

La stessa, quindi, ha avuto la finalità di applicare un regime sanzionatorio anche alle dichiarazioni di consumo per il gas metano e l’energia elettrica previste dal T.U. Accise presentate esclusivamente con modalità telematica, applicando anche per esse la misura sanzionatoria già prevista, nell’ambito del medesimo regime, in caso di omessa o tardiva presentazione delle dichiarazioni e denunce prescritte.

Si tratta, peraltro, di un regime sanzionatorio distinto e diverso da quello contemplato nell’art. 59, comma 1, lett. c), cui sopra si è fatto riferimento.

Invero, il D.L. n. 16 del 2012, nell’introdurre la previsione sanzionatoria sopra citata, non è in alcun modo intervenuto sulla diversa fattispecie sanzionatoria di cui all’art. 59, comma 1, lett. c), cit., che, come detto, ha riguardo alla fattispecie di omessa o incompleta o inesatta dichiarazione di cui al T.U. Accise, art. 53, comma 8, e art. 55, comma 2, la cui disciplina è rimasta immutata.

La fattispecie di illecito introdotta con l’inserimento del D.L. n. 262 del 2006, art. 1, comma 1 bis, si riferisce unicamente alle ipotesi di dichiarazioni di consumo per l’energia elettrica di cui al T.U. Accise, art. 55, sicchè sanziona condotte diverse da quelle di cui all’art. 59, comma 1, lett. c), cit., che richiama, al fine di individuare la fattispecie illecita, a quella di cui all’art. 52, comma 8, distinta e diverse dalle altre dichiarazioni di consumo contemplate dall’art. 55.

La scelta normativa, di distinguere, sotto il profilo sanzionatorio, le diverse condotte sopra indicate deriva dalla evidente linea di fondo della maggiore pericolosità della violazione di cui all’art. 52, comma 8, tenuto conto del fatto, in quest’ultimo caso, la stessa si correla ad un evidente rischio di evasione dell’imposta, giustificando, in tal modo, la maggiore sanzione prevista rispetto alle altre fattispecie sanzionatorie.

Ne consegue l’accoglimento del primo e secondo motivo di censura e la cassazione della sentenza impugnata e, non essendo necessario ulteriori accertamenti di fatto, la controversia può essere decisa nel merito, con il rigetto della domanda introduttiva proposta dalla società.

Con riferimento alle spese di lite, vanno compensate quelle relative ai giudizi di merito, e la controricorrente va condannata al pagamento di quelle relative al presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte:

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda introduttiva proposta dalla contro ricorrente.

Compensa le spese di lite relative ai giudizi di merito, condanna la controricorrente al pagamento in favore della ricorrente delle spese di lite del presente giudizio che si liquidano in complessive Euro 3.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 18 aprile 2019.

Depositato in cancelleria il 16 ottobre 2019

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