Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.26361 del 17/10/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino L – Presidente –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. ANTEZZA Fabio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 4196/2014 proposto da:

AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, domicilia;

– ricorrente –

contro

CENTRO ASSISTENZA DOGANALE CAD LA SPEZIA s.r.l., in liquidazione, (p.

IVA: *****) con sede in *****, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli Avv. Filippo Bruno e Anselmo Carlevaro, con domicilio eletto presso l’Avv. Anselmo Carlevaro, con studio in Roma, in via Gian Giacomo Porro n. 8;

– intimato avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Liguria n. 95/01/2013, pronunciata il 27 maggio 2013 e depositata il 26 giugno 2013;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19 febbraio 2019 dal Consigliere Fabio Antezza.

FATTI DI CAUSA

1. L’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli (“A.D.”) ricorre, con tre motivi, per la cassazione della sentenza (indicata in epigrafe) di rigetto dell’appello principale dalla stessa Amministrazione proposto avverso la sentenza n. 47/01/2011 emessa dalla CTP di La Spezia e di accoglimento di quello incidentale esperito dal contribuente.

Il Giudice di primo grado, a sua volta, aveva parzialmente accolto l’impugnazione proposta da CENTRO ASSISTENZA DOGANALE CAD LA SPEZIA s.r.l., ora in liquidazione (di seguito anche: “CAD LA SPEZIA”) avverso avviso di rettifica di accertamento definitivo e relativo atto di contestazione sanzioni (rispettivamente n. ***** del 13 gennaio 2010 e n. ***** del 16 marzo 2010).

2. Per quanto emerge dalla sentenza impugnata e dagli atti di parte, CAD LA SPEZIA, quale rappresentante indiretto dell’importatore in procedura di domiciliazione, presentò in Dogana (per l’importatore) dichiarazione d’importazione di calzature, dichiarandole come aventi origine in Macao ma risultanti, anche in forza di servizio OLAF, di origine della Repubblica Popolare Cinese. All’esito di “controllo a posteriori”, ex art. 78 C.D.C. e del D.Lgs. 8 novembre 1990, n. 374, art. 11, dal quale emerse la falsità del relativo documento d’origine, l’A.D. emise (anche) avverso rappresentante indiretto avviso di rettifica del’accertamento definitivo e conseguente atto di contestazione di sanzioni TULD, ex art. 303, (rispettivamente n. ***** del 13 gennaio 2010 e n. ***** del 16 marzo 2010).

3. I detti atti impositivi furono impugnati a cura di CDA LA SPEZIA e la CTP, pur confermando la legittimità dell’avviso di rettifica, annullo l’atto di contestazione di sanzioni, per l’assunta inapplicabilità del TULD, art. 303, per il caso di differenze qualitative, con sentenza appellata da entrambe le parti.

4. L’A.D., con appello principale, sindacò la statuizione di primo grado in merito alle ragioni dell’annullamento dell’atto di contestazione di sanzioni, mentre il contribuente, con appello incidentale, criticò la sentenza della CTP riproponendo le critiche mosse all’avviso di rettifica con l’atto introduttivo del giudizio tributario.

5. La CTR, in accoglimento dell’appello incidentale del contribuente, annullò l’avviso di rettifica, e rigettò l’appello principale proposto dall’Amministrazione, per aver l’annullamento dell’avviso di rettifica determinato l’illegittimità dell’atto di contestazione delle sanzioni.

La Commissione regionale, in particolare, argomentò l’illegittimità dell’avviso di rettifica dalla violazione del diritto al contraddittorio, in ragione del mancato rispetto del termine dilatorio di cui alla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 12, comma 7, (c.d. statuto dei diritti del contribuente), oltre che in forza della ritenuta non responsabilità del rappresentante indiretto dell’importatore, in procedura di domiciliazione, per la dichiarazione doganale dallo stesso presentata (citando, senza argomentare, Cass. sez. 5, 01/08/2000, n. 10047, Rv. 538995).

Il Giudice di secondo grado, infine, ritenne fondata anche la dedotta prescrizione dell’azione di recupero dei (maggiori) dazi all’importazione, in ragione dell’assunta violazione del D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 84, (di seguito, anche: “TULD”), avendo l’A.D. segnalato il fatto (da intendersi fatto-reato) all’Autorità giudiziaria ma non dimostrato il conseguente incardinamento di un procedimento penale “in relazione all’esposto presentato sulle importazioni de quibus”.

6. Contro la sentenza d’appello l’A.D. propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, mentre il contribuente intimato non si costituisce.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso merita accoglimento, in relazione a tutti i motivi nei quali esso si articola.

2. Con il motivo n. 1 di ricorso, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 64, 76 e 201 C.D.C..

In sostanza, si critica la sentenza impugnata per aver interpretato la normativa di cui innanzi nel senso della irresponsabilità del rappresentante indiretto dell’importatore, in procedura di domiciliazione, in merito alla dichiarazione doganale dallo stesso rappresentante presentata e per il caso di mancata corrispondenza dell’origine reale della merce rispetto a quella dichiarata (ancorchè risultante della documentazione allegata e presentata in dogana).

2.1. Il motivo è fondato, per le ragioni e nei termini di seguito evidenziati.

Limitando il riferimento, per quanto ancora in questa sede interessa, alla norma che rileva nella specie, quella di cui all’art. 201 C.D.C., (applicabile, ratione temporis), l’obbligazione doganale (paragrafi 1 e 2) sorge al momento dell’accettazione della dichiarazione in dogana, in seguito all’immissione in libera pratica di una merce soggetta a dazi all’importazione (ovvero al vincolo di tale merce al regime dell’ammissione temporanea con parziale esonero dai dazi all’importazione).

Il debitore della detta obbligazione è il dichiarante, quindi il rappresentante indiretto dell’importatore nel caso di presentazione della dichiarazione da parte sua, ex artt. 4, 5 e 201 C.D.C., paragrafo 3, e del Reg. (CEE) n. 2454 del 1993, art. 199, del Consiglio (recante talune disposizioni d’applicazione del C.D.C., di seguito anche: “D.A.C.”), ed in caso di rappresentanza indiretta è parimenti debitrice la persona per conto della quale è presentata la dichiarazione (art. 201 C.D.C., paragrafo 3).

Sicchè, ex art. 201 C.D.C., l’obbligazione tributaria sorge in capo al rappresentante indiretto in forza della mancata riscossione dei dazi (dovuti per legge) a seguito di dichiarazione, da lui presentata, con riferimento a falso certificato d’origine delle merci e la cui mancata rispondenza al vero avrebbe egli dovuto invece accertare con l’ausilio della diligenza ragguagliata alla natura dell’attività professionale esercitata (diligenza qualificata ex art. 1176 c.c.), che implica un obbligo di informazione ma anche di attenta verifica dell’esattezza dei dati dichiarati, strumentali rispetto al corretto espletamento dell’incarico conferito (per il riferimento alla diligenza si vedano: Cass. sez. 5, 28/02/2019, n. 5908, in motivazione; quanto al riferimento ad un “operatore diligente ed accorto”, ancorchè in ordine alla fattispecie di cui all’art. 202 C.D.C., Corte giust., 17/11/2011, C-454/10, Jestel, punto n. 22, come anche chiarito, con riferimento all’art. 201 C.D.C., da Cass. sez. 5, 18/01/2018, n. 1142, in motivazione).

E’ infine appena il caso di rilevare l’inconferenza, nella specie, del riferimento (peraltro solo al numero ed all’anno) fatto dalla CTR, a suffragio della propria statuizione, a Cass. sez. 5, 01/08/2000, n. 10047, Rv. 538995, in quanto inerente fattispecie differente e pregressa normativa.

2.2. Ne consegue l’accoglimento del motivo e l’enunciazione, ex art. art. 384 c.p.c., comma 1, del seguente principio di diritto, al quale dovrà attenersi il Giudice del rinvio.

“In materia doganale, ex art. 201 C.D.C., ratione temporis applicabile, l’obbligazione tributaria sorge in capo al rappresentante indiretto in forza della mancata riscossione dei dazi (dovuti per legge) a seguito di dichiarazione, da lui presentata, con riferimento a falso certificato d’origine delle merci e la cui mancata rispondenza al vero avrebbe egli dovuto invece accertare con l’ausilio della diligenza ragguagliata alla natura dell’attività professionale esercitata (diligenza qualificata ex art. 1176 c.c.), che implica un obbligo di informazione ma anche di attenta verifica dell’esattezza dei dati dichiarati, strumentali rispetto al corretto espletamento dell’incarico conferito”.

3. Con il motivo n. 2 di ricorso, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si deduce la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7.

In sostanza, si sindaca la sentenza impugnata per aver ritenuto applicabile al contraddittorio doganale il citato art. 12, comma 7.

3.1. Il motivo è fondato, per le ragioni e nei termini di seguito evidenziati.

In adesione a costante orientamento di questa Corte, dal quale non vi sono motivi per discostarsi, deve difatti ribadirsi che il c.d. “statuto dei diritti del contribuente”, art. 12, non è applicabile al contraddittorio doganale, operando in merito alla rettifica degli accertamenti doganali il diverso jus speciale di cui al citato art. 11, (ex plurimis: Cass. sez. 5, 29/03/2019, nn. 8834 e 8835, in motivazione; Cass. sez. 5, 01/10/2018, n. 23669; Cass. sez. 6-5, 23/05/2018, n. 12832, Rv. 648523-01, in motivazione, oltre che, tra le tante, Cass. sez. 5, 20/07/2014, n. 15032, Rv. 631845-01, e Cass. sez. 5, 05/04/2013, n. 8399, Rv. 626110-01).

Ai sensi del citato art. 11, commi 5, 7 ed 8, nel testo, ratione temporis applicabile, anteriore rispetto alla citata novella del 2012, quando dalla revisione, eseguita sia d’ufficio sia su istanza di parte, emergono inesattezze, omissioni, o errori relativi agli elementi presi a base dell’accertamento, “l’ufficio procede alla relativa rettifica e ne dà comunicazione all’operatore interessato, notificando apposito avviso” di rettifica motivato. Entro trenta giorni dalla data della notifica dell’avviso, l’operatore può contestare la rettifica e in tal caso è redatto apposito verbale dall’Ufficio doganale “ai fini della eventuale instaurazione dei procedimenti amministrativi per la risoluzione delle controversie previsti dal TU, art. 66 ss., delle Disp. legislative in materia doganale approvato con D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43”.

Il procedimento amministrativo in questione era preordinato a garantire un contraddittorio pieno, in un momento anticipato rispetto all’impugnazione in sede giurisdizionale dell’atto, nel corso del quale il contribuente era posto in grado di esporre tutte le ragioni difensive ed allegare nuovi fatti, indicando le opportune prove, al fine di sollecitare l’attivazione dei poteri di autotutela dell’Amministrazione doganale e, quindi, l’annullamento o la revoca dell’avviso di rettifica.

La specialità della disciplina in materia doganale trova conferma nella normativa sopravvenuta (ancorchè non applicabile nella specie, ratione temporis).

Il D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, (conv., con modif., dalla L. 24 marzo 2012, n. 27), nel disporre che gli accertamenti in materia doganale sono disciplinati in via esclusiva dal D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11, ha difatti introdotto un meccanismo di contraddittorio vicino a quello previsto dallo statuto dei diritti del contribuente (ex plurimis: Cass. sez. 5, 29/03/2019, nn. 8834 e 8835, in motivazione; Cass. sez. 5, 01/10/2018, n. 23669; Cass. sez. 6-5, 23/05/2018, n. 12832, Rv. 648523-01, in motivazione, nonchè Cass. sez. 5, 20/07/2014, n. 15032, Rv. 631845-01, e Cass. sez. 5, 05/04/2013, n. 8399, Rv. 626110-01).

Come già chiarito da questa Corte (Cass. sez. 5, 29/03/2019, nn. 8834 e 8835, nonchè Cass. sez. 5, nn. 23669 e 12832/2018, cit.), la Corte di giustizia, con sentenza 20 dicembre 2017, causa C-276/16, Preqù/Italia, ha promosso la normativa italiana, nella versione, antecedente alla novella del 2012, che è quella applicabile anche nel caso in questione nell’odierno giudizio e che, si è visto, non scandiva direttamente la fase procedimentale, lasciando all’iniziativa del contribuente la contestazione della rettifica idonea a instaurare l’interlocuzione con l’Amministrazione.

Limitando i riferimenti a quanto specificamente rileva nel presente giudizio, la Corte, ha difatti stabilito che “Il diritto di ogni persona di essere ascoltata prima dell’adozione di qualsiasi decisione che possa incidere in modo negativo sui suoi interessi deve essere interpretato nel senso che i diritti della difesa del destinatario di un avviso di rettifica dell’accertamento, adottato dall’autorità doganale in mancanza di una previa audizione dell’interessato, non sono violati se la normativa nazionale che consente all’interessato di contestare tale atto nell’ambito di un ricorso amministrativo si limita a prevedere la possibilità di chiedere la sospensione dell’esecuzione di tale atto fino alla sua eventuale riforma rinviando al Reg. (CEE) del Consiglio, del 12 ottobre 1992, n. 2913 del 1992, art. 244, che istituisce un codice doganale comunitario, come modificato dal Reg. (CE) del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 16 novembre 2000, n. 2700 del 2000, senza che la proposizione di un ricorso amministrativo sospenda automaticamente l’esecuzione dell’atto impugnato, dal momento che l’applicazione di detto Reg., art. 244, comma 2, da parte dell’autorità doganale non limita la concessione della sospensione dell’esecuzione qualora vi siano motivi di dubitare della conformità della decisione impugnata con la normativa doganale o vi sia da temere un danno irreparabile per l’interessato”.

Proprio con riferimento ad un avviso di rettifica adottato dall’autorità doganale italiana, la Corte Europea ha sottolineato che il principio generale del diritto dell’Unione del rispetto dei diritti della difesa non si configura come una prerogativa assoluta, ma può soggiacere a restrizioni, purchè esse rispondano a obiettivi di interesse generale e siano rispetto a questi proporzionate. E, nel caso in esame, la Corte ha ravvisato l’interesse generale prevalente in quello dell’Unione a recuperare tempestivamente le proprie entrate, che richiede rapidità ed efficacia dell’attività di controllo (concludendo, con riferimento al caso concreto sottopostole, nel senso per il quale proprio il detto interesse generale giustifica la mancanza di automatismo della sospensione dell’esecuzione dell’avviso qualora esso sia impugnato).

Per quanto più specificamente rileva ai presenti fini, poi, la Corte di giustizia, proprio con riguardo alla versione del D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11, anteriore alla citata novella del 2012, ha ritenuto che esso non imponga “…all’amministrazione che procede ai controlli doganali l’obbligo di ascoltare i destinatari degli avvisi di rettifica dell’accertamento prima di procedere alla revisione degli accertamenti ed alla loro eventuale rettifica” (punto 48). Essa, a chiusura, ha ribadito che, in virtù del principio di strumentalità delle forme, la violazione del diritto di essere ascoltati determina l’annullamento del provvedimento adottato al termine del procedimento amministrativo di cui trattasi soltanto se, in mancanza di tale irregolarità, il procedimento avrebbe potuto comportare un risultato diverso.

Quanto innanzi, nel confermare l’inapplicabilità con riferimento al c.d. “contraddittorio doganale” della L. n. 212 del 2000, art. 12, evoca in particolare la c.d. “prova di resistenza”, in merito alla quale deve difatti farsi applicazione di consolidati principi sanciti da questa Corte, anche in considerazione della giurisprudenza della Corte di giustizia, dai quali non vi è motivo di discostarsi.

In materia doganale, difatti, il principio del rispetto del contraddittorio anche nella fase amministrativa, pur non essendo esplicitamente richiamato dal Reg. (CEE) n. 2913 del 1992, (CDC), si evince dalle previsioni espresse del D.Lgs. 8 novembre 1990, n. 374, art. 11, e costituisce un principio generale del diritto comunitario che trova applicazione ogni qualvolta l’Amministrazione si proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto ad esso lesivo (cfr. Corte di Giustizia CE, sent. 18 dicembre 2008, in causa C349/07).

Ne deriva che la denuncia di vizi di attività dell’Amministrazione, capaci di inficiare il procedimento, è destinata ad acquisire rilevanza soltanto se, ed in quanto, l’inosservanza delle regole abbia determinato un concreto pregiudizio del diritto di difesa della parte, direttamente dipendente dalla violazione che si sia riverberata sui vizi del provvedimento finale (ex plurimis: Cass. sez. 5, 29/03/2019, nn. 8834 e 8835, in motivazione; Cass. sez. 5, 15/03/2013, n. 6621, Rv. 626116-01, che argomentano anche da Corte giust, 18/12/2008, C349/07, Sopropè).

La violazione del detto principio in materia di contraddittorio doganale è quindi suscettibile di determinare l’invalidità del provvedimento solo se il contribuente dimostri che il rispetto dello stesso avrebbe condotto ad un risultato diverso, quindi un pregiudizio concreto al proprio diritto di difesa, cd. “prova di resistenza” (Cass. sez. 5, 29/03/2019, nn. 8834 e 8835, in motivazione, nonchè Cass. sez. 6-5, 23/05/2018, n. 12832, Rv. 648523-01, che argomentano, oltre che da diverse pronunce di questa Corte, anche da diverse decisioni della Corte di giustizia tra le quali: Corte giust, 18/12/2008, C-349/07, Sopropè; Corte giust, 03/07/2014, cause riunite C-129/13 e C-130/13, Kamino International Logistics e Datema Hellmann Worldwide Logistics, e Corte giust., 20/12/2017, C-276/16, Preqù, emessa in sede di rinvio pregiudiziale da parte di questa Corte; si veda, in merito anche al riferimento a sentenza della Corte di giustizia ed in particolare alla citata sentenza Preqù, anche Cass. sez. 5, n. 23669/2018, cit.).

3.2. Quanto innanzi evidenzia quindi che l’errore nel quale è incorsa la CTR si è sostanziato nell’applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, invece non applicabile con riferimento al contraddittorio doganale oltre che, nella specie, comunque inoperante per la mancanza del relativo presupposto fattuale. Trattasi, per quanto emerge dagli atti di parte e dalla sentenza impugnata, di accertamenti documentali c.d. “a tavolino”, cioè in assenza di accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali destinati all’esercizio dell’attività (ex plurimis, Cass. Sez. U., 09/12/2015, n. 24823, Rv. 637605-01).

La Commissione regionale, per converso, non ha applicato il descritto quadro dei principi che regolano il contraddittorio doganale, per come innanzi evidenziati, con riferimento anche alla c.d. “prova di resistenza”.

Così facendo il Giudice di merito ha dunque disatteso i principi giurisprudenziali sopra richiamati, con conseguente cassazione, con rinvio, della sentenza impugnata.

4. Con il motivo n. 3 di ricorso, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si deduce la violazione e/o falsa applicazione del TULD, art. 84, in materia di prescrizione triennale dei diritti doganali.

In sostanza, si sindaca la sentenza impugnata per aver ritenuto non applicabile, nella specie, la disposizione di cui al citato art. 84, ai sensi del quale in caso di mancato pagamento (totale o parziale) dei diritti abbia causa da un reato, il termine di prescrizione decorre dalla data in cui il decreto o la sentenza, pronunciati, nel procedimento penale, sono divenuti irrevocabili. Per la CTR, non troverebbe applicazione la disposizione in argomento avendo l’A.D. segnalato il fatto (da intendersi fatto-reato) all’Autorità giudiziaria ma non dimostrato il conseguente incardinamento di un procedimento penale “in relazione all’esposto presentato sulle importazioni de quibus”.

Per il ricorrente, quindi, l’errore di diritto nel quale sarebbe incorsa la CTR sarebbe da ravvisarsi nel non aver ritenuto configurati i presupposti di cui alla sospensione in esame nonostante l’emissione, nel triennio, da parte dell’A.D. di un atto individuante un illecito anche penalmente rilevante oltre che idoneo ad incidere sul presupposto d’imposta. Si tratterebbe peraltro di atto anche comunicato, a cura dell’Ufficio doganale alla Procura della repubblica (con nota prot. ***** del 27 gennaio 2010) sempre nel detto triennio, come risulterebbe dal relativo timbro apposto.

4.1. Il motivo è fondato.

In tema di tributi doganali, questa Corte ha chiarito che ove il mancato pagamento derivi da un reato, sia il termine di prescrizione dell’azione di recupero dei dazi all’importazione, che quello di decadenza per la revisione dell’accertamento del D.Lgs. n. 374 del 1990, ex art. 11, sono prorogati sino ai tre anni successivi alla data d’irrevocabilità della decisione penale, a condizione che, nel triennio decorrente dall’insorgenza dell’obbligazione doganale, l’Amministrazione emetta un atto nel quale venga formulata una notitia criminis ovvero lo stesso sia ricevuto dall’Autorità giudiziaria o da ufficiali di polizia giudiziaria, come i funzionari doganali (si veda, ex plurimis: Cass. sez. n. 5, 12/01/2018, n. 615, Rv. 646805-01, per la quale, ai detti fini, la relazione redatta dall’OLAF configura un documento che integra detta notitia criminis, la cui formulazione e trasmissione è idonea a determinare il raddoppio dei termini di accertamento degli illeciti doganali). Deve peraltro trattarsi di atto non solo individuante un atto illecito ma che sia penalmente rilevante oltre che idoneo ad incidere sul presupposto d’imposta, pur prescindendo dall’esito assolutorio o di proscioglimento ovvero di archiviazione (ex plurimis, Cass. sez. 5, 16/12/2016, n. 26045, Rv. 641951-01; Cass. sez. 6-5, 03/12/2015, n. 24674, Rv. 637507-01, nonchè, in materia di IVA all’importazione, Cass. sez. 5, 06/09/2013, n. 20468, Rv. 628114-01).

5. In conclusione, in accoglimento di tutti i motivi di ricorso, la sentenza impugnata deve essere cassata, in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Liguria, in diversa composizione, che provvederà anche alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti, e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Liguria, in diversa composizione, che provvederà anche a regolare le spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 19 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 ottobre 2019

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