Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.26364 del 17/10/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – rel. Consigliere –

Dott. SAIJA Salvatore – Consigliere –

Dott. CORRADINI Grazia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 1428/2013 R.G. proposto da:

Promoplast s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv. Sara Armella e Maria Antonelli, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultima, sito in Roma, piazza Gondar, 22;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Liguria, n. 35, depositata il 24 maggio 2012.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12 marzo 2019 dal Consigliere Paolo Catallozzi.

RILEVATO

CHE:

– la Promoplast s.r.l. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Liguria, depositata il 24 maggio 2012, che, accogliendo l’appello principale dell’Ufficio e rigettando quello incidentale della contribuente, ha dichiarato la legittimità dell’atto di contestazione delle sanzioni emesso per infedele dichiarazione doganale in ordine alla qualità della merce importata;

– dall’esame della sentenza impugnata si evince che l’atto impositivo muove dalla contestazione della classificazione, operata nella dichiarazione, della merce importata sotto la voce di “giocattoli raffiguranti animali soggetti non umani”, ritenendo, invece, che la stessa rientrasse nella diversa voce “modelli ridotti e modelli simili per il divertimento – altri”, la quale è prevista l’applicazione del dazio nella misura del 4,7%;

– il giudice di appello, in riforma della sentenza impugnata, ha evidenziato che i prodotti importati dalla contribuente, raffiguranti personaggi di fantasia, noti per la loro diffusione tramite opere audiovisive e fumetti, presentano caratteristiche proprie delle figure umanoidi, così come indicate nelle note esplicative della voce di riferimento, sia per la struttura, sia per la tipologia dei personaggi raffigurati;

– il ricorso è affidato a sette motivi;

– resiste con controricorso l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli;

– il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Stanislao De Matteis, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del quinto e del settimo motivo di ricorso e il rigetto dei motivi restanti;

– la ricorrente deposita memoria ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c..

CONSIDERATO

CHE:

– con il primo motivo la società contribuente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza impugnata per difetto assoluto della motivazione;

– il motivo è infondato;

– come già rilevato, il giudice di appello è giunto alla conclusione della legittimità dell’atto impugnato e, conseguentemente, della infedeltà della dichiarazione doganale in ragione del fatto che le note esplicative pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee per i codici la cui applicazione è invocata dall’Ufficio comprendono le figure umanoidi rappresentanti personaggi di film o di fumetti, privi di parti mobili e di indumenti staccabili e fissi su supporto, e che i prodotti importati dalla contribuente “presentano proprio tali caratteristiche sia per la struttura sia per quanto riguarda la tipologia di persone raffigurati, che non possono essere semplici animali”, come, invece, sostenuto dalla parte;

– aggiunge che “i personaggi raffigurati presentano una serie di caratteristiche che li rendono affinità essere umani, parlano, ragionano, camminano in posizione eretta, sono dotati di mani, indossano vestiti, per cui debbano, senza ombra di dubbio, essere considerati umanoidi”, secondo l’accezione propria del termine;

– una siffatta argomentazione rende percepibile l’iter logico seguito dal giudice per la formazione del suo convincimento e, di conseguenza, permette un effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento;

– con il secondo deduce l’omessa motivazione in ordine a fatti controversi e decisivi per il giudizio, in relazione alla classificazione dei prodotti importati sotto la voce doganale che include le figure umanoidi, anzichè a quella, indicata dalla società che include giocattoli raffiguranti animali soggetti non umani;

– il motivo è inammissibile, in quanto non inerisce ad un fatto – e alla ricognizione della fattispecie concreta effettuata dal giudice di appello a mezzo delle risultanze di causa -, ma a un giudizio di diritto, vertente sulla applicazione della norma di diritto relativa alla tariffa doganale delle Comunità Europee (cfr., sull’oggetto del vizio di motivazione censurabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, Cass., ord., 28 settembre 2017, n. 22707; Cass. 4 agosto 2017, n. 19567);

– con il terzo motivo la contribuente si duole, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, della violazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia in ordine ai motivi dell’appello incidentale proposto;

– il motivo è infondato;

– la Commissione regionale ha ritenuto che l’appello incidentale dovesse essere rigettato in quanto l’accoglimento dell’appello principale dell’Ufficio, per le ragioni indicate della motivazione, rivestisse “carattere assorbente di ogni altra motivazione inerente giudizio”, aggiungendo che i motivi del gravame incidentale “non presentano un riscontro giuridico tale da poter far dichiarare di legittimità dell’atto impugnato”;

– si è dunque, in presenza di una pronuncia di assorbimento in senso improprio che ricorre quando la decisione assorbente esclude, secondo la valutazione del giudice, la necessità o la possibilità di provvedere sulle altre questioni ovvero comporta un implicito rigetto di altre domande;

– in tali casi l’assorbimento non comporta un’omissione di pronuncia (se non in senso formale) in quanto, in realtà la decisione assorbente permette di ravvisare la decisione implicita (di rigetto oppure di accoglimento) anche sulle questioni assorbite, la cui motivazione è proprio quella dell’assorbimento (cfr. Cass., ord., 16 gennaio 2019, n. 879; Cass., ord., 12 novembre 2018, n. 28995);

– con il quarto motivo si critica la decisione impugnata per violazione della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 10, in relazione alla violazione del principio del legittimo affidamento del contribuente, formatosi in ragione in ragione di precedenti analoghe operazioni, sempre avallate dall’Ufficio;

– il motivo è inammissibile, in quanto si fonda sul presupposto – non accertato nella sentenza, nè evincibile, comunque, dalla stessa – che l’Ufficio abbia omesso di procedere alla rettifica degli accertamenti relativi a dichiarazioni doganali rese per l’importazione di prodotti di identica natura;

– con il quinto motivo di ricorso la contribuente lamenta la violazione del Testo unico 23 gennaio 1973, n. 43, art. 303, comma 3, per aver il giudice di appello omesso di considerare che nel caso in esame troverebbe applicazione l’esimente prevista da tale art. di legge, comma 2, avuto riguardo alla corretta denominazione della merce sia nella bolletta doganale, sia nei documenti commerciali presentati all’atto dell’importazione;

– il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza, atteso che la mancata riproduzione della bolletta doganale (oltre che dei documenti commerciali presentati all’atto dell’importazione) non consente di esprimere una valutazione in ordine al fatto che la merce sia stata correttamente denominata in tali documenti e, conseguentemente, la sussistenza del requisito per l’applicazione dell’invocata esimente;

– con il sesto motivo si critica la sentenza impugnata per violazione del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 5, comma 1, in relazione alla ritenuta sussistenza della pretesa sanzionatorio dell’Ufficio, pur in assenza di una condotta colposa da parte della contribuente la quale, oltre a fare affidamento precedenti verifiche dell’Ufficio medesimo, aveva provveduto alla verifica della correttezza della voce da dichiarare acquisendo informazioni presso le autorità doganali francesi;

– il motivo è inammissibile per difetto del requisito dell’autosufficienza, mancando la riproduzione dei documenti da cui poter ritenere che la condotta della contribuente si sia conformata alle indicazioni ricevute dalle autorità doganali;

– con l’ultimo motivo di ricorso la società allega la violazione D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 12, per aver il giudice di appello omesso di applicare l’istituto della continuazione, anche in considerazione altre condotte oggetto di distinto provvedimento di irrogazione di sanzione;

– anche questo motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza, essendo del tutto omessa l’indicazione degli elementi relativi al dedotto diverso provvedimento, per cui non può compiersi alcuna valutazione in ordine ai presupposti per l’applicazione dell’invocato istituto della continuazione nella determinazione dell’importo della sanzione;

– pertanto, per le suesposte considerazioni, il ricorso non può essere accolto;

– le spese processuali seguono il criterio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in complessivi Euro 2.300,00, oltre rimborso spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 12 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 ottobre 2019

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